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Perché i livelli "specchiati" nei videogiochi sono difficili?

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Perché giocare un livello "specchiato" è così maledettamente difficile? Proviamo a rispondere con l'aiuto di Viola Nicolucci.

Fra tutti i processi coinvolti all’interno del game design e del level design uno fra i più interessanti ed affascinanti (o almeno uno fra quelli che più affascina il sottoscritto) è quello della definizione e creazione dei livelli di difficoltà: quanto e come posso rendere difficile il mio gioco per l’utente finale? A chi mi rivolgo? Il pubblico di riferimento si troverà di più a suo agio con una AI particolarmente complessa nel suo “pensiero” o con modi di proseguire decisamente ingegnosi e fuori dagli schemi?

 

L’argomento è piuttosto vasto e meriterebbe senza alcun dubbio d’essere sviscerato e analizzato a più riprese più che da un “semplice” scritto sul web e proprio per questo ho deciso di non analizzare a tutto tondo l’enormità del tema ma di concentrarmi su qualcosa di infinitamente più piccolo e, per molti, insignificante: i livelli a specchio.

 

Ora, una premessa del genere che si conclude con “i livelli a specchio” fa piuttosto ridere, è vero, perché le due cose non sembrano essere strettamente correlate fra di loro anche se, e qualcuno fra di voi magari se ne è anche accorto, l’espediente di specchiare i livelli di gioco come difficoltà aggiunta è largamente utilizzato dai game designer, specie all’interno di platform e affini.

Prima di addentrarmi in quelle che sono le dinamiche della “difficoltà” all’interno di sezioni di gioco di questo genere è bene fare, un’altra sì, doverosa premessa: per quanto, a conti fatti e per i motivi che vedremo di seguito, tali espedienti aumentino notevolmente la difficoltà di un gioco, spesso e volentieri tali soluzioni sono adottate per motivi differenti.

 

Inserire all’interno di un titolo, infatti, sezioni specchiate ha differenti vantaggi sull’economia dello sviluppo: il tempo di creazione dei livelli si riduce drasticamente e i file di gioco occupano meno spazio visto il “riciclo” di asset e situazioni.

 

Potremmo ricondurre tutto ad un banalissimo e mero “sviluppatori pigri” ma volendo vedere solo il buono delle cose c’è da dire che altrettanto spesso ci si preoccupa di creare un mondo di gioco che, se rimessi in discussione in fondamentali geometrici, risulta completamente “diverso” nonostante il 100% sia, a tutti gli effetti, un lavoro di riciclo.

 

Posto, quindi, che esistono dei motivi importanti legati allo sviluppo in sé proviamo a capire quali sono i motivi tali per cui, a conti fatti, i livelli e i mondi specchiati risultano piuttosto complicati per tutti i videogiocatori.

Esempi del genere li troviamo in molti racing-game in cui non è inusuale dover fare dei tracciati al contrario (come Mario Kart o Need for Speed 2), in qualche FPS (ad esempio Call of Duty: Modern Warfare 2 che propone qualche mappa da dover eseguire dalla fine verso l’inizio), svariati platform come Donkey Kong Country Returns o il più recente Crash Bandicoot 4 e via discorrendo. La lista sarebbe davvero lunga, ve lo assicuro e ve la risparmio.

 

È innegabile come, a conti fatti e pad alla mano, ripercorrere esattamente la stessa mappa ma al contrario sia incredibilmente più difficile del dovuto. Ma perché? Perché il nostro cervello non è in grado di rispondere in modo “normale” a situazioni di questo genere?

 

Pensate anche solo ai famigerati "parcheggi a S". Avete mai provato a farli a sinistra? Non ci sono mai, e sottolineo, mai riuscito.

 

Per capire, quindi, cosa succede all’interno della nostra testolina mi sono rivolto a un’esperta. Viola Nicolucci, Psicologa - Psicoterapeuta specializzata in Psicologia della Salute con un Master in Neuropsicologia e grande appassionata di videogiochi, mi ha aiutato a rispondere un po’ a questa domanda e non la ringrazierò mai abbastanza per la chiacchierata che abbiamo avuto assieme.

L’argomento, come si può benissimo immaginare, è piuttosto vasto pertanto con Viola siamo riusciti “semplicemente” a scalfirne la superficie senza esserci addentrati, quindi, nei meandri della materia.

 

I fattori, quindi, che entrano in gioco quando ci troviamo immersi in una “dimensione a specchio” possono essere tre: visual imagery, rotazione mentale e coordinazione-occhio mano.

 

Per visual imagery si va ad intendere quella capacità del cervello di “generare” un’immagine. Cosa vuol dire? Che se penso ad un cubo, tramite questo processo, siamo in grado di “vedere” nella nostra testa un cubo, esattamente così come lo immaginiamo. A questo concetto si lega anche quello di “immaginazione”, tramite visual imagery siamo anche in grado di costruire immagini che non trovano un corrispettivo nella realtà: se io vi parlo di un canguro rosa siete perfettamente in grado di disegnarlo nella vostra testa.

 

Per rotazione mentale si intende, invece, quel processo del cervello tale per cui siamo in grado di ruotare/traslare/spostare un oggetto che abbiamo immaginato: il concetto è molto “semplice”, pensate ad un cubo e iniziate a ruotarlo.
Tale concetto si può dividere in due stadi cognitivi: immaginare l’immagine un oggetto visto da tutte le direzioni (quindi la creazione di N immagini formate dall’angolo di visuale sempre differente), e iniziare a ruotarli. Per ogni rotazione decidere se sono uguali o meno e formulare una risposta alla comparazione.

Generalmente la rotazione mentale è applicata in alcuni test cognitivi in cui è necessario capire se due oggetti sono lo stesso oggetto o uno è l’immagine specchiata dell’altro.

 

La coordinazione occhio-mano, infine, rappresenta la capacità del sistema visivo di tradurre le informazioni del sistema visivo in informazioni per il sistema motorio coordinando correttamente entrambi i mondi.

 

Sì, per gli addetti ai lavori queste spiegazioni potrebbero essere estremamente riduttive e poco accurate e in effetti è così: non era nostra intenzione scavare tanto a fondo, per tutti gli interessati esiste un mondo di letteratura in merito (anche piuttosto interessante) se si volessero approfondire tutti questi concetti.

 

Tornando a noi cosa succede, dunque, quando ci troviamo di fronte ad un livello specchiato? A seconda dei casi potrebbero incidere uno o più dei processi visti poc’anzi. Il comune denominatore risiede nell’interferenza che viene a crearsi nella nostra testa che si è già costruita un’idea dell’andamento del livello.

 

Viene quindi generato un carico cognitivo sulle capacità di attenzione (dovuto al dover processare queste “nuove” rotazioni) con un conseguente rallentamento delle proprie azioni. Inoltre se tali modalità (normale e specchiata) dovessero alternarsi troppo spesso si richiede di instaurare un meccanismo di programmazione delle azioni di gioco che viene poi cambiato, quindi un abbandono mentale del processo precedente per instaurarne uno nuovo.

Chiaramente processi mentali di questo tipo sono applicabili su qualsiasi titolo che provi a giocare con la fisica: si pensi ai puzzle di Monument Valley che richiedono al giocatore un costante sforzo mentale di crearsi immagini in prospettiva in testa per poter trovare la soluzione appropriata al problema in corso, o al più recente Maquette che gioca con la prospettiva in modo molto più losco e più “cattivo” costringendo il giocatore a dover mettere in piedi, contemporaneamente, tutto quello di cui abbiamo parlato poco sopra.

 

Capito, dunque, cosa succede a grandi linee nella nostra testa quando affrontiamo una situazione in cui cambia radicalmente la prospettiva delle cose rispetto a quella a cui siamo abituati, diventa “facile” comprendere perché affrontare il primo mondo di Donkey Kong Country Returns nella modalità specchio è così maledettamente difficile: lo sforzo mentale in gioco è raddoppiato.

 

Curioso come, quindi, affrontare un livello per la prima volta dentro una dimensione specchiata possa risultare più semplice rispetto all’affrontarlo dopo aver creato nella nostra testa la sua immagine da un punto di vista prospettico differente.

 

Certo è che quello che Viola è riuscita a tirare fuori, così come mi dice anche lei in chiusura e come ribadito in apertura del pezzo, non è che la punta di un iceberg ben più grande di quanto si possa immaginare.

 

I meccanismi intrinsechi della mente umana sono tanti e tutti estremamente affascinanti ed è interessante osservare come le logiche di game design riescano a sfruttarle e piagarle ai loro scopi.
Ringrazio nuovamente Viola per l’aiuto fornitomi e rinnovo l’invito ad approfondire quanto detto per tutti i più curiosi perché, ve lo assicuro, non ve ne pentirete.

References:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26302073/https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2012.00224/full

https://www.sciencedirect.com/topics/engineering/mental-rotation

https://www.psytoolkit.org/experiment-library/mentalrotation.html

https://books.google.it/books?id=Pvl4TuxdETEC&pg=PA119&lpg=PA119

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