Non entrate in quell’AirBnB: breve storia del rental horror
Il rental horror è un sottogenere del cinema horror che porta il terrore dove dovrebbe esserci divertimento: nella case di vacanza in affitto.
Negli ultimi tre anni di cinema horror è emerso un peculiare trend che sfrutta le potenzialità terrorizzanti di una delle comodità moderne più diffuse al mondo. Tra sequel, prequel e requel, sta infatti spopolando il filone del cosiddetto rental horror, un sottogenere interamente dedicato a tutto ciò che può andare storto quando si prende in affitto una casa.
Il tema della casa non è certo una novità nella cinematografia (e prima ancora nella letteratura) dell’orrore, ma risulta particolarmente interessante vedere come questo topos narrativo si sia evoluto nel corso dei decenni, arrivando al secondo ventennio del XXI secolo con un bagaglio pesantissimo di trasformazioni socio-economiche. Partiamo dalle cose ovvie: dal 2020 il mondo ha dovuto rivedere molte delle proprie abitudini a causa della pandemia. Viaggiare è diventato prima vietato e possibilmente mortale, poi sconsigliato, poi concesso ma mai privo di ansia. Prendere un aereo o visitare una nuova città è diventato un rischio, così come l’alloggiare in casa di sconosciuti, perché il cuore del rental horror sta proprio nella gig economy, nell’affitto privato lontano dal circuito degli hotel e dell’ospitalità classica. Quando AirBnB venne lanciato nel 2007 diventò sinonimo di viaggio autentico, ma all’alba del 2023 l’entusiasmo per la app (e simili) si è tramutato in qualcos’altro.
Housing Crisis
Trovare una casa decente per un affitto a lungo termine o per l’acquisto a prezzi umani sta diventando una missione impossibile, specialmente nelle grandi città o nelle località turistiche balneari e montane. Non si tratta solo di soldi, le case non ci sono proprio, spesso perché un buon numero delle abitazioni non occupate sono riservate o appositamente comprate per gli affitti a breve termine su AirBnB e compagnia. Secondo dati del U.S. Census Bureau soltanto a Manhattan nel 2020 le case vuote e fuori dal mercato erano circa il 14%. “L’effetto AirBnB” è diventato uno dei principali responsabili della housing crisis globale dell’ultimo decennio, che ha portato gentrificazione di interi quartieri, aumento vertiginoso dei costi di affitto e difficoltà di collocamento per famiglie e residenti stabili. Non sorprende molto che l’horror moderno abbia fiutato odore di malvagio.
Il male ereditato
Ci sono case che dietro una mano di vernice fresca nascondono segreti e orrori passati di generazione in generazione. Solitamente non se ne conosce il proprietario, ma si scopre prima o dopo che insieme alle proprietà immobiliari sono stati lasciati anche misteri sanguinosi da riversare sul primo sciagurato che prenoterà tutto soddisfatto il suo soggiorno. In You Should Have Left di David Koepp del 2020 (lo trovate su Sky e Now) una coppia sposata con figlia affitta una casa dopo una lite famigliare, per poi scoprire che l’elegante struttura di design ha un’architettura cangiante e una volontà propria molto interessata al protagonista del film, per motivi che non spoilero ma che indico come rilevanti.
Ancor più utile per un discorso sul male insito nei beni immobiliari congelati fuori dal mercato è Barbarian di Zach Cregger del 2022 (visibile su Disney+). Una donna affitta su AirBnB una casa per sostenere un colloquio di lavoro a Detroit. Si ritrova in uno dei quartieri più dilaniati dalla crisi finanziaria dei prestiti del 2006, circondata da alloggi fatiscenti e squallore. La sua casa sembra carina, se non fosse che all’interno ci trova un altro affittuario, in un non raro caso di overbooking. Il problema però è tutto da scoprire e sta nascosto in cantina, ovviamente. Il vero orrore di Barbarian sta infatti nella storia meno recente della casa, nel suo originario occupante che ancora impregna di sadismo tutto l’edificio.
Evoluzione del genere
Per molti versi il rental horror può essere considerato una variazione sul tema dell’home invasion, quei film dove i protagonisti di turno si vedono attaccati nel luogo dove dovrebbero sentirsi più al sicuro, ovvero la propria casa. Come abbiamo visto, però, avere la propria casa oggi non è così semplice, complice la housing crisis ma anche il mancato adeguamento degli stipendi e la generale precarietà economica di una fetta sempre più ampia della popolazione giovane. Essere trucidati in una casa di proprietà è in sostanza diventato un miraggio, quindi è molto più plausibile che il fattaccio avvenga in una proprietà in affitto durante le brevi e ansiogene vacanze che un lavoratore medio può a malapena permettersi. L’assunto di partenza è che nella casa di persone sconosciute potrebbe esserci nascosto qualsiasi cosa, per mano del proprietario o magari degli affittuari precedenti, vai a sapere. Le conseguenze mortali di un affitto all’apparenza ristoratore e divertente stanno alla base di The Rental, diretto da Dave Franco nel 2020 (in streaming su Amazon Prime Video). Due coppie di amici programmano di passare un week-end rilassante in una villetta sulla costa dell’Oregon, ma la festa si guasta quando nel soffione della doccia viene scoperta una videocamera, che per puro caso ha anche filmato un episodio di infedeltà tra due dei villeggianti. Il resto è caos e panico, con finale aperto e decisamente inquietante.
Il ribaltamento più divertente del rental horror rispetto all’home invasion sta nel fatto che chi “invade” la casa è solitamente la vittima. Se il cattivo è l’host vuol dire che la casa è letteralmente di sua proprietà, e diventa anche il suo comodissimo terreno di caccia, come nel caso di Superhost di Brandon Christensen del 2021. Due travel vloggers in cerca di contenuti virali per incrementare il proprio seguito affittano la casa di Rebecca, che oltre a essere una proprietaria modello è anche un po’ mentalmente instabile, il perfetto volto dell’host super creepy, qui declinato al femminile, ma molto più spesso incarnato dal padrone di casa viscido che ha immancabilmente qualcosa da ridire sullo stile di vita dei propri ospiti.
Conflitto politico
Viaggiare non è sempre un’attività che si fa a cuor leggero, per esempio nel caso delle donne che partono all’avventura da sole o di persone LGBTQA+ in solitaria o, peggio ancora, in coppia. In questi casi si sa cosa si lascia ma non si sa cosa si trova, e il pensiero del pericolo costantemente in agguato può rovinare anche la più serena delle vacanze. In Men, film di Alex Garland del 2022, si parte male fin dal principio. Harper è vedova di fresco e vuole prendersi del tempo per sé affittando un cottage nella campagna inglese. Il suo host Geoffrey sembra molto gentile, sebbene estremamente creepy (forse anche a causa del trucco prostetico), ma girellando tra i boschi e il paese limitrofo la protagonista si imbatte di continuo in uomini che hanno scritto in faccia misoginia a caratteri cubitali. La metafora diventa progressivamente meno sottile, fino a creare una sorta di incubo pagano maschilista dove Harper è preda e oggetto di ossessione.
A volte però non è il proprietario di casa a fare la differenza, ma il contesto locale dove si ritrovano i personaggi, come nel caso di The Retreat, diretto da Pat Mills e scritto da Alyson Richards nel 2021. Una coppia lesbica si prende una pausa relax in montagna affittando uno chalet con alcuni amici, che però non si fanno trovare quando le due arrivano a destinazione. Quello che trovano è invece un gruppo di residenti apertamente omofobici che tenterà di farle fuori con un eccesso di risorse paramilitari. La morale di entrami i film è che il mondo fa schifo anche quando siamo in vacanza, ma non è un caso che sia Men che The Retreat raccontino di persone che fuggono dalla città verso la campagna o la montagna in cerca di pace, per trovare soltanto violenza, ostilità e morte.
L’ambientazione isolata ha senza dubbio dei plus a livello di necessità narrative, poiché in mezzo al nulla è naturalmente più facile rendere la richiesta di aiuto impossibile o la fuga molto più complicata, ma sotto c’è di più. Lo scollamento politico tra i grandi centri urbani e le piccole realtà rurali è una tema onnipresente nelle narrazioni di mezzo mondo, a partire dagli Stati Uniti post-Trump per arrivare nei sempre più numerosi paesi europei con governi o alti consensi populisti. Anche qui non si tratta di una novità assoluta, basti pensare a Non aprite quella porta o Le colline hanno gli occhi, ma di nuovo assistiamo a uno slittamento di focalizzazione. Se i vecchi film horror connotavano i residenti rurali in base alla loro infima situazione economica (vedi tutti i villain “white trash"), quelli più recenti tendono a utilizzare meno il classismo in favore di una generale atmosfera bigotta e retrograda, particolarmente virulenta nelle relazioni con tutto ciò che è considerato forestiero e corrotto, come nel caso dei turisti dalla città.
Che sia campagna, mare o montagna, la prossima volta che viaggiate forse è meglio se vi prenotate un bel hotel. Non si sa mai.