Brian e Wendy Froud "In Dark Crystal: La Resistenza rivive il genio di Jim Henson"
Una chiacchierata con due leggende del cinema sul mondo delle marionette, l'arte, la difficoltà di tornare nel mondo di Dark Crystal e... Yoda.
Dopo aver parlato con gli attori, i produttori e il regista è il momento di scendere nella parte forse più intima, bella e storica di Dark Crystal: La Resistenza, ovvero la chiacchierata con Brian e Wendy Froud. Se non sapete di chi stiamo parlando vi basti sapere che Brian è stato uno degli artisti più influenti sull’attuale iconografia del fantasy. Nel 1978 ha pubblicato un libro illustrato chiamato semplicemente Fate che ha praticamente gettato le basi dell’aspetto che oggi milioni di persone attribuiscono alle creature della mitologia nordica come, appunto, le fate, i troll e così via. Ha lavorato al primo Dark Crystal come artista concettuale, ruolo che ha ripreso in Labyrinth.
Anche Wendy, sua moglie è un pezzo da novanta del settore. Oltre a essere pittrice ha lavorato per anni come scultrice per il cinema, ha infatti realizzato Yoda e ha fatto parte del team di Frank Oz che lo animava sul set, oltre ad aver lavorato anche lei con Jim Henson a Dark Crystal e Labyrinth. Insieme formano un sodalizio umano e artistico impressionante, una coppia che ha fatto la storia del cinema, quella forse meno raccontata e più artigianale, ma non per questo meno importante.
La prima domanda che può venire in mente guardando il numero di pupazzi presenti nella serie Netflix è: “Come è stato passare da una storia con due gelfling, due creature protagoniste, a un racconto in cui queste diventano un’intera razza con otto clan differenti? “A dire il vero sono solo 10 – scherza Brian, prima che Wendy lo corregga – ma siamo stati bravissimi a muoverli in giro per i set! Scherzi a parte, è stata una sfida che siamo riusciti a superare grazie al talento e alle abilità di molti. Il mio lavoro è stato soprattutto concettuale, mi sono concentrato a pensare su come gli ambienti avrebbero influenzato i vari clan, modificando i loro corpi e soprattutto i costumi”.
“Per iniziare abbiamo preparato delle versioni rimpicciolite – spiega Wendy – delle bambole, diciamo, che abbiamo usato per le prove dei vestiti e dei lineamenti, aggiungendo ciò che ci convinceva ed eliminando il resto”.
Ognuno dei personaggi principali ha finito per avere almeno due “teste” di ricambio sempre pronte sul set, perché il materiale si deteriora abbastanza velocemente e ogni rallentamento della produzione costa un sacco di soldi, quindi era meglio prevenire eventuali rotture accidentali.
Ma come si può mettere nuovamente mano a qualcosa come Dark Crystal evitando di comprometterne o alternarne l’eredità culturale? “Il film mi ha richiesto circa cinque anni di lavoro continuo in cui mi sono occupato solo della realizzazione del mondo, la caratterizzazione di creature e personaggi e la loro creazione. Per la serie questo tempo si è ridotto a un anno e mezza – svela Brian – inizialmente la sensazione prevalente è stata l’angoscia. Oh dio come riusciremo a fare tutto questo?”.
E quale è stata la sfida più grande?
“Tutto, semplicemente tutto, guardando lo show non vi renderete neppure conto di quanto è stato difficile fare tutto questo”.
Dopo l’ok di Netflix inizia un lavoro di creazione che, per fortuna, può basarsi sul passato “Piano piano tutto è riaffiorato, non ho avuto bisogno di fare alcuna ricerca, i sono limitato a disegnare tutto ciò che mi veniva in mente. Per me la creatività è una questione di ritmi, forme, devi trasferire una sensazione di vita nel personaggio e soprattutto nel costume, ogni singolo dettaglio è fondamentale per rendere i personaggi vivi e per dare informazioni allo spettatore. Si gioca tutto sui dettagli minuscoli, che magari nessuno vede coscientemente, ma che sono essenziali”.
“Ci siamo resi conto – aggiunge Wendy – che più bello è il costume, più bello è il pupazzo e migliore è la performance del marionettista, perché vogliono stare al passo con la realizzazione artistica, vogliono far brillare il personaggio e quindi tutto lavora in sinergia. Questo vale anche per gli Skeksis, che sono belli a modo loro!”.
“Ricordo questo bellissimo momento con gli Skekis a inizio riprese – racconta Brian – ero sul set, tutto era silenzioso, non c’era quasi nessuno se non io e queste creature in circolo, immobili. Mi ricordo di aver pensato ‘Ci siamo, ci siamo veramente e questi personaggi sono veramente inquietanti!’. Ricordo di essere stato enormemente fiero, perché rappresentavano l’essenza del lavoro con le marionette ed eravamo riusciti a infondergli così tanta vitalità, così tanta personalità che spero gli spettatori apprezzeranno. Eravamo pionieri allora e lo siamo adesso, stiamo ancora spingendoci oltre i limiti di ciò che pensavamo fosse possibile fare con dei pupazzi”.
Ma quanto sono cambiate le cose rispetto al primo film? Quali avanzamenti tecnologici ci sono stati?
“Originariamente eravamo obbligati a progettare i personaggi per nascondere i meccanismi e i marionettisti, quindi dovevamo pensare a maniche particolarmente ampie, gobbe e vestiti che nascondessero i fili e così via – spiega Wendy – adesso possiamo sfruttare il green screen, quindi alcuni di essi possiamo muoverli dall’esterno”. “Sembra una cosa nuovissima – aggiunge Brian – ma in verità parliamo di una nuova versione di una antichissima tecnica giapponese, il Bunraku in cui dei marionettisti vestiti di nero stanno sul palco e muovono i personaggi. Noi l’abbiamo usata per i personaggi più grandi ed è interessante il paradosso di una tecnologia moderna che permette di recuperare qualcosa dal passato”.
Ma c’è un'altra cosa importantissima per la coppia che si lega a questo ritorno. “Dopo tutti questi anni una delle novità più belle per noi è il fatto che adesso con noi lavora anche nostro figlio Toby, forse parlo da padre, ma è veramente molto bravo, è dotato di un’ottima tecnica ed è stato i miei occhi e le mie orecchie quando non potevo essere sul set. Inoltre, è molto più diplomatico di me!”.
Ed forse perché si parla del figlio, forse ricordando i giorni sul set, ma è in questo momento che gli occhi di Froud cominciano a brillare e senza alcuna domanda continua a da solo: “è stato veramente bello poter tornare a fare tutto questo: arrivare sul set alle 6:30 e mettere le mani tra gli ingranaggi per far funzionare tutto. Alla fine, si riduce tutto a questo: la tua capacità di sporcarti le mani e forse anche di sanguinare per tutto questo, perché c’è un sacco di roba affilata ed è facile tagliarsi. Anche tu alla fine diventi parte di qualcosa di più grande che è letteralmente arte. Le persone lo capiscono inconsciamente e rispondo a questo sforzo, quando li vedi che lavorano sul set, che guardano la mostra o la serie, lo vedi che stanno guardando qualcosa che viene percepito come arte. Quando giri tutto è frammentato, quindi a volte non te ne accorgi, ma quando puoi finalmente vedere tutto montato, tutto come dovrebbe essere, ma senza che siano stati tolti i marionettisti è… incredibile, magico.”
“Questo mi ricorda un momento della produzione del primo film: volevamo vedere come rendeva sul grande schermo la scena di uno dei mistici che cammina in una vallata, nella versione finale dura pochi secondi, ma qua erano 10 minuti di camminata. Niente è stato bello nella mia vita come quel momento: è stato come vedere uno dei miei dipinti prendere vita, la stessa sensazione che sto vivendo in questo periodo”.
D’altronde la bellezza di questo procedimento sta proprio nel suo essere senza tempo: se guardiamo al film di Dark Crystal o al vecchio Yoda scolpito da Wendy sono ancora attualissimi, mentre le cose in CGI spesso invecchiano precocemente, mentre gli effetti pratici restino molto meglio. “Non c’è niente di male nella CGI, la migliore è quella che non vedi, ma quando credi qualcosa di tangibile crei qualcosa che ha delle restrizioni, che è ancorato alla realtà e quindi crei qualcosa che sembra da subito più vero e questa limitazione paradossalmente aumenta la creatività”.
“Ad esempio, prendi Yoda – continua Wendy – Frank Oz aveva bisogno di qualcosa che nascondesse dei fili e per questo motivo lo dotammo di un bastone per camminare. La sua caratterizzazione nasce dai limiti. Quando usi la CGI tendi a perdere il contatto con la realtà. I pupazzi, per quanto artificiali, non ingannano l’occhio sono qualcosa di vero, sono un mondo in cui puoi camminare e i personaggi ne fanno parte.”
L’ultima riflessione non può che essere legata a Jim Henson, perché era lui l’anima di Dark Crystal, come è stato lavorare senza di lui al fianco?
“In un certo senso, lui era là – conclude Wendy – il suo spirito era là e tutti volevano fare qualcosa che lo rendesse felice”. “Jim erano una luce del mondo – continua Brian – era una persona spettacolare, anche nel lavoro e stare al suo fianco era qualcosa che tutti avrebbero voluto fare. Tutti volevano seguirlo perché credevano nella sua visione. Quando se ne è andato quella luce è sparita, ma è anche stata passata a tutti quelli che lavoravano con lui, ognuno di noi porta con sé un po’ di quella luce e credo che la cosa più bella di questo lavoro sia continuare a tramandarla ad altri e penso che questo sia esattamente ciò che sta accadendo con questa serie”.