Neon Genesis Evangelion - Il nostro finale
La redazione di Nerdcore racconta il proprio punto di vista sulla fine di Neon Genesis Evangelion in un pezzo collettivo.
Evangelion è finito. Evangelion è finito? Dai sì, per ora è finito, facciamo di sì. Ma si può dire finito un qualcosa su cui discuterai e fari meme ancora per molti anni? Possiamo davvero dichiarare conclusa l’esperienza di qualcosa che in teoria possiamo rivedere quando vogliamo? In fondo le relazioni finiscono, le amicizie, finiscono, le vite finiscono, ma è veramente finito il rapporto di un’opera che magari non aggiunge più niente sul piano narrativo, ma possiamo vedere e rivedere nel tempo?
Non so se la nostra testa abbia il sesto senso nel capire i momenti importanti per scattarne una foto mentale. Ho scoperto da poco che la mia lo ha fatto per anni. E adesso mi ritrovo tutte questi ricordi perfettamente cesellati di ciò che c’era attorno a me quando giocavo un titolo che mi emozionava particolarmente. Allo stesso modo ricordo la VHS di Evangelion, comprata probabilmente dopo aver visto una pubblicità su Kappa Magazine, inserita totalmente a caso.
Ricordo il lento passare da “Che figata questi robottoni” a “Oh mio di ma io volevo solo dei robottoni perché mi fai questo?” e il conseguente rigetto.
I mecha delle generazioni precedenti ci invitavano a prendere il mondo per il collo e a rempirlo di pugni rotanti, esibendo eroi tormentati ma vincenti, mascolini e superiori, Evangelion no, ci avvisava del fatto che stringendo il mondo ci saremmo fatti malissimo, lo stesso dolore che provava Anno. Poche cose come Evangelion hanno un potere così generazionale, roba che se ti arriva addosso al momento giusto, quello in cui stai definendo i confini del tuo mondo, ti si inscrivono nel DNA.
Eppure, so che fa strano ammetterlo, soprattutto in un mondo in cui bisogna sempre fare la figura di quelli che avevano capito fin da subito i valori di un’opera, ma all’inizio Evangelion non mi piaceva, mi annoiava, io volevo le botte. Dai, chi, in tutta sincerità, vorrebbe identificarsi in Shinji? O in un'altra delle devastate figure di quel panorama?
Forse non c’entra qualcosa il fatto che non mi piacessi neppure io.
Ma in fondo, parafrasando il detto di Eraclito: non ci si bagna due volte nello stesso Evangelion. Ogni visione è influenzata dal momento che stai vivendo, perché è uno degli esempi più lampanti di un’opera che è cambiata assieme al suo creatore e così siamo cambiati noi. Per molti Evangelion è stato il prodotto che ci ha presi per mano e ci ha portato fuori dall’adolescenza, mostrandoci un mondo che faceva schifo e che non vedeva l’ora di schiacciarci, però dovevi avere la giusta predisposizione per capirlo. Negli anni quella predisposizione è arrivata.
E poi sono arrivate le riscritture, i ripensamenti, i film, i non ci capisco un cazzo, l’elaborazione, le analisi gli psicodrammi collettivi, le discussioni e adesso… la fine.
Una fine che al netto di salti logici assurdi e personaggi che sembrano imprigionati in un loop di “impact” a catena quasi comici ci mostra un Anno diverso, felice, sereno.
Questo forse toglie qualcosa a un’opera che faceva della sua disperazione il suo punto di forza?
Forse.
Ma se vogliamo veramente imparare la sua lezione prendiamo la mano che ci tende. Le mani che tutti noi tendiamo in questo articolo collettivo.
Non posso negare che parte della felicità che mi è rimasta dopo la visione di Thrice Upon a Time derivi anche dal modo in cui si è sviluppata la visione, con tutta la community di appassionati di N3rdcore che discutevano e si confrontavano.
E se da un ragazzino che se lo guardava in camera siamo passati a tante persone che ne discutono assieme… beh ditemi voi se non c’è un significato metanarrativo in tutto questo.
Buona lettura.
"Empatia e robottoni"
Luca Annunziata
Quando è uscito Evangelion in Italia avevo 18 anni. Mi ricordo che se ne parlava però già da un po', perché 'sto anime in Giappone era stato un successo e si diceva che riscrivesse le regole dell'animazione. Ricordo ancora quando arrivò la prima VHS, tenuta da parte nel mio negozio di fumetti di fiducia, portata a casa e vista e rivista assieme a mia sorella con entrambi letteralmente rapiti dalla qualità e dalla novità del racconto. Ricordo anche molto bene lo spaesamento con il procedere della serie: a un certo punto smette di essere una serie di robottoni, diventa altro. Solo che, all'epoca, non capivo cos'altro.
È stato solo molto tempo dopo, facciamo 20 anni?, che ho capito che cosa ha provato a fare Hideaki Anno per ben 4 volte (una volta con Nadia, una volta con Evangelion, poi coi film e ora con questa tetralogia cinematografica). Ci ha raccontato che cosa succede quando soffri di un disagio personale - nel suo caso forse depressione, ma conta fino a un certo punto - e cerchi il modo migliore per tirare avanti e farcela un giorno dopo l'altro. Ho capito, davvero!, cosa aveva in mente Anno quando ha creato i personaggi di Shinji, Asuka, Gendo, Rei, Misato, Kaji: sono tutti aspetti di sé che ha voluto mostrarci, spiegarci, e che finalmente ha trovato il modo giusto di raccontarci grazie a una costante maturazione come artista. È il dilemma del porcospino il vero centro di tutta la storia di Evangelion: il porcospino che vuole avvicinarsi e stare insieme agli altri animali, ma che finisce inevitabilmente per ferirli coi suoi aculei se si avvicina troppo.
Oggi per me Evangelion, giunto alla sua conclusione, è un'opera che mi ha divertito, appassionato, intrattenuto. Ma, soprattutto, come altre grandi opere mi ha permesso di crescere come spettatore: nella conoscenza di quanto di leggendario e fantastico c'è sullo schermo, ma soprattutto capendo un po' di più cosa c'è nella mente e nel cuore altrui. È stata una sorta di educazione sentimentale: non è semplicemente uno show di robottoni guidati da ragazzi che sconfiggono i cattivi.
Non solo.
"Il Pendolo di Dirac – Evangelion ed esoterismo"
Lorenzo Barberis
Un’opera ha segnato la mia vita, la storia di un uomo che supera la propria inettitudine, percorre il cammino delle Sefiroth e si riscatta in un sacrificio finale. Si tratta però del Pendolo di Foucault, che lessi qualche anno prima di ritrovare l’albero sefirotico sulla MTV dei primi anni 2000. Ero allora più vicino a Shinji che a Belbo, e i mecha mi riportavano una madaleine della prima infanzia. Le raffinate relazioni psicologiche mi colpirono, ma fu il gioco dei simbolismi esoterici ad affascinarmi, benché ingannevoli per dichiarazione stessa dell’autore – ma un vero esoterico finge di scherzare, dice Eco.
L’Albedo della perfetta serie tv postmoderna pop degli inizi si tramutava nella sua conclusione nella Nigredo che dissolveva la struttura narrativa, con lo scheletro dei disegni e la rottura fotografica della quarta parete. Dopo ¼ di secolo si riparte dalla Rubedo della Corification di Parigi, imperfetta terza fase alchemica, e Shinji sfiderà il chaos magick paterno di Gendo nella quarta fase superiore della Citrinitas nel rituale più apertamente esoterico del ciclo. 3.0+1.0 sembra rimandare, oltre che al ciclo di film e Impact, al modulo 3+1 delle fasi alchemiche (e, ovvio, agli Evangeli che ne sono modello: 3 sinottici e Giovanni, il mistico dell’Apocalisse).
Forse Hideaki deciderà un Quinto Evangelio(n), ma l’Anno Cosmico appare per ora completato, e il nuovo Eone che va aprendo sfolgora nella luce di Metatron.
"Ora dovrai sopportare quel peso"
Andrea Balena
In una audace e sconsiderata mossa, la mia sezione dell’articolo riguardante Thrice Upon a Time l’ho intitolata ripensando agli ultimi frame di Cowboy Bebop, pur di dare il mio ultimo sfregio a Hideaki Anno e il suo averci tenuti in ostaggio con un progressive knife alla sua opera.
In fondo, cosa c’è di più autoriale ed egocentrico se non condividere e rendere universale il proprio malessere interiore? In questo applaudo fino alla fine Anno per essere stato il primo - e per certi versi l’unico- autore ad aver creato un’opera così unica e personale. Per questo ritengo che questo ultimo tassello del Rebuild of Evangelion rappresenti l’ultima prova dello smisurato e ingombrante ego del suo autore: non rappresenta un finale per lo spettatore, ma per Anno che deve chiudere definitivamente una parte della sua vita, liberandoci per riflesso dalla “maledizione degli Eva” che ci ha lanciato quasi trent’anni fa.
Per questo scopo credo che Anno abbia realizzato una delle sequenze più belle della sua carriera artistica, la parte del film che concettualmente mi rimarrà più impressa: un semplice dialogo fra un padre e un figlio. Il primo vero momento in cui questi due personaggi si parlano in faccia, vomitandosi tutto e chiudendo un conflitto di proporzioni bibliche, svelando quali pesi si portava il padre sul groppone e lasciando che sia il figlio a sistemarli definitivamente. Perché alla fine fra mecha organici, angeli e divinità che portano alla fine del mondo, tutto si risolve abbattendo le barriere personali e urlando amore dentro al cuore del mondo.
Hideaki Anno si è liberato da Evangelion, e ora tocca a noi andare avanti nella nostra vita così come hanno fatto Shinji, Rei, Asuka e tutti gli altri.
Dobbiamo imparare a sopportare quel peso.
"Non i robottoni che meritavi, ma quelli di cui avevi bisogno"
Enrico Banfo
Prendi il telecomando della smart TV e ti siedi sul divano in soggiorno. Sull'app di Prime Video trovi Rebuild in primo piano. Nella tua bolla social non si parla d’altro. Screenshot familiari, citazioni ancora vivide, meme che evocano sensazioni lontane…
Il nastro si riavvolge.
Accendi il televisore tubo catodico 4:3 e ti siedi sul letto in camera. Come ogni adolescente, il martedì non ti perdi una puntata dell'MTV Anime Night. Guardavi Goldrake, Mazinga e Gundam, ma non sei mai entrato in sintonia con alcun robottone. Invece resti folgorato dai primi due episodi di Neon Genesis Evangelion. Il giorno dopo a scuola ne parli con gli amici. Condividi entusiasmo, domande e, forse, inquietudini...
Il nastro torna al suo posto.
Appartieni ad una generazione dal futuro fluido e incerto. Nel 2000 sperimentavi nuove tecnologie e una socialità sempre più digitale. Eri assetato di opere stimolanti, stratificate e introspettive, per comprendere te stesso e il nuovo mondo senza barriere che ti attendeva. Evangelion è stata la risposta a tutto questo. Ma dopo vent’anni lo sarà ancora?
Play.
"La pace e il silenzio"
Alessandro Rinnovati
Potrei spendere lunghi paragrafi di parole per esprimere tutto ciò che è Evangelion e tutto ciò che mi ha lasciato questo terzo finale.
Potrei letteralmente farvi due palle così *mima il gesto* parlandovi del messaggio metatestuale degli episodi conclusivi della serie originale e di come End of Evangelion sia il disperato grido di un uomo costretto a parlare di nuovo del suo dolore perché i fan vogliono risposte indipendentemente da come possa stare chi ha creato e raccontato quel mondo.
In Thrice Upon a Time, potrei stare ore a riguardare le scene e ad ascoltare la colonna sonora, per ricercare quei momenti potentissimi e drammatici o quelle scene completamente fuori da ogni logica che mi hanno lasciato incollato davanti allo schermo.
Potrei usare miliardi di parole, come i monologhi interiori di Shinji e Gendo, per parlarne, ma alla fine credo che il silenzio, con questa incredibile pace che lascia questo finale, sia la migliore descrizione possibile di cosa voglia dire Evangelion 3.0 + 1.0 - Thrice Upon a Time.
"Imparare a coltivare il riso"
Martina Di Cesare
Caro Shinji, conosco bene la prigione di cui per così tanto tempo non sei riuscito a liberarti. Assomiglia a un loop. Un cerchio che non ha inizio e non ha fine.
Non sapresti dire quando ci sei finito dentro, e non sai se e quando smetterai di girare in tondo, rimanendo fermo.
Intrappolato nella paura, senza speranza, assisti allo stesso spettacolo di sempre, con la sua storia sempre uguale e qualche minuscola variazione qua e là.
La vita che guardi scorrere sul palco dovrebbe essere la tua, ma non lo è. Tu sei altrove. Bloccato sulla sedia in mezzo a una platea vuota.
E più te ne rendi conto, più il tuo corpo diventa pesante, e più diventi pesante, meno riesci ad alzarti. Sprofondi. Mentre le persone attorno a te, e altre parti di te stesso, ti urlano che è tempo di svegliarti.
Gli anni passano, i tuoi cari vanno avanti. Loro crescono, loro vivono. Tu hai bisogno di più tempo. Questo ti fa sentire così sbagliato...
Ma poi...
Un giorno impari a coltivare il riso, attraverso “Rei”. Sei titubante e maldestro all'inizio, ma a poco a poco ti lasci andare.
Scopri che è semplice. È soddisfacente.
E se hai imparato a coltivare il riso, puoi imparare molte altre cose.
Puoi imparare a lasciar andare il rancore e la rabbia, attraverso “Asuka”. A fare pace con il tuo passato, con quello che ti ha fatto più male, e infine con te stesso.
Hai dovuto girare in tondo così tante volte... Ma alla fine hai spezzato il cerchio.
Niente più teatri vuoti e vagoni vuoti, ma le scale di una stazione da salire correndo mano nella mano di chi ami, animato dalla voglia di scoprire cosa ti aspetta dopo.
Caro Shinji, sono tanto fiera di te. Ma ora devo andare anch'io. Ci sono dei gradini che mi aspettano.
"Evangelion: Ricomincio da 3.0+1.0"
Francesco Tanzillo
“Sient a me, Shinji, ‘ca nun ci sta nisciun limite e nisciun diplomat e cos. Tu devi uscire, ti devi salvare, Shinji! Chist t’hann chius’ int’ a stu Eva ‘ca. Shinji, sient a me, tu devi uscire da qua dentro, te ne ‘a fuì. Va’ mmiezz a strad, tocc i femmn, va’ a rubba’… Mammina ti mand u’ manicomio, t fa chiurer int’ ‘o manicomio, Shinji! Tu devi uscire! Devi fare qualcosa!”
“Ma Mammina dice che ho i complessi nella testa.”
“E foss u di! Quali complessi? Tu tieni l’orchestra intera ‘n cap! Shinj, devi fare qualcosa!”
“Mammina!”
“Eh oh! Qual Mammina? Ij o facc p’ te! A me ch me ne mport? Vai ‘o manicomio, nun vai, m pass manc pa’ cap’!”
“MAMMINA!”
“SHINJI!”
“MAMMINA!”
“SHINJI, VAFANCUL TU E MAMMIN!”
Con questo non voglio dire che Anno abbia copiato da Troisi, ma che tutto quello che c’è in Anno c’era già in Troisi in un frammento di quel capolavoro del cinema italiano che è Ricomincio da Tre.
Ma con la conclusione definitiva dell’operazione Rebuild il concetto viene ribadito per la terza volta nel modo più esplicito possibile.
Anno non è più lo Shinji Ikari di Neon Genesis Evangelion ma è un uomo adulto che ha risolto i suoi problemi e invita il suo pubblico a fare lo stesso, ad affrancarsi dal mondo immaginario che ha creato e distrutto per rimettere al mondo individui migliori in grado di affrontare la realtà senza paura di farsi del male.
In 3.0+1.0 Anno è Gendo abbozzato nella splendida sequenza al tratto che assottiglia le barriere tra animazione e realtà che si confessa dei suoi anni più bui in un dialogo con Shinji, il punto di vista dello spettatore.
E quindi Troisi che incita Robertino ad uscire nel mondo, ad innamorarsi a correrei dei rischi senza paura.
Troisi aveva già detto tutto ma Anno ci mette i robot, e i riferimenti cabalistici e le waifu, sperando che la terza sia la volta buona.
Evangelion: la grande opera di mecha che parla del superamento della giovinezza, che sarebbe facile attribuire a Shinji una condizione patologica per allontanare i suoi comportamenti e il suo modo di essere da noi stessi, eppure se abbiamo seguito il lungo percorso di Evangelion fino alla sua ennesima conclusione, un po’ Shinji lo siamo anche noi e, come per lui, è arrivato il momento di continuare a vivere, di crescere e di lasciarsi il mondo di Evangelion con le sue complessità e il suo ingombrate apparato di simbolico e i suoi presunti riferimenti metatestuali alle spalle per abbracciare il domani e le sue possibilità.