Nanette di Hannah Gadsby, uno stand-up special che critica la stand-up comedy
Ecco perché questo show comico su Netflix non è il solito show comico su Netflix
Nanette è uno stand-up comedy special che fa molto bene due cose. Fa parecchio ridere grazie alla capacità di Hannah Gadsby di giocare con le aspettative del pubblico e un uso esemplare di quello che in americano viene chiamato callback: il fare riferimento a una battuta precedente, o per potenziarla o per ribaltarne il significato.
L'altra cosa che fa parecchio bene è suscitare un sacco di dubbi e far nascere domande nel pubblico, perché Gadsby usa i sessanta minuti a sua disposizione per riflettere sul funzionamento e le potenzialità della stand-up comedy. In alcuni passaggi lo fa in maniera diretta analizzando il meccanismo che sta alla base delle battute. Secondo Hannah se riduciamo ai suoi fattori minimi una battuta quello che abbiamo sono due componenti: la tensione e il rilascio.
La tensione la si crea presentando una situazione che può destare curiosità o disagio nel pubblico. Per esempio quando racconta di essere stata oggetto di omofobia da ragazza. Nata nel 1978 in Tasmania, Hannah ha capito di essere gay piuttosto in fretta, e si è resa conto di vivere in un paese altamente omofobo: essere omosessuali in Tasmania è rimasto un crimine fino al 1997, una scelta supportata dal 70% della popolazione. È in questo clima, in un paese in cui ci si aspettava che ogni gay "prendesse le sue cose e se ne filasse in Australia per il Mardi Gras!" che accade quanto racconta in forma di battuta:
Si trovava alla fermata dell'autobus, di sera, uscita da poco da un locale. Attacca bottone con una ragazza e subito arriva il fidanzato di lei che, scambiandola per un uomo, urla "Hey, frocio! Smettila di provarci con la mia ragazza!".
Creata la curiosità nello spettatore, arriva il momento della battuta vera e propria, la punchline che porta alla risata che sfoga la tensione accumulata:
Il fidanzato di lei, una volta avvicinatosi, si accorge che Hannah è una donna e si scusa. "Scusa! Pensavo fossi un frocio che ci provava con la mia ragazza! Tranquilla, io non picchio le donne!" E se ne va. Buon per lui, perché in effetti Hannah ci stava provando.
Questa battuta, basata su un episodio vero della sua vita, è la base su cui poggia l'intero special, perché è da questo momento in poi che Hannah inizia a riflettere da una parte sulla stand-up e dall'altro sulla sua identità e il modo in cui ha deciso di rappresentarla negli ultimi venti anni. Le due cose sono strettamente legate.
Come molti stand-up comedian, Hannah ha fatto del self-deprecatory humor, la comicità basata sul ridicolizzare se stessi e i propri difetti, una delle basi della sua carriera: questa scelta le ha permesso di parlare in pubblico di cose molto dolorose per farsi ascoltare, esorcizzarle e, soprattutto, per potersi far capire dal pubblico. O così ha pensato per diversi anni, prima di rendersi conto che non sempre il pubblico rideva con lei.
Anzi, ha iniziato a provare fastidio per il self-deprecatory humor perché, sempre più spesso, ha iniziato a sentire che il pubblico rideva di lei e che questo tipo di umorismo rischiava di essere solo umiliante, una sorta di rito necessario da dover affrontare per potersi far ascoltare: prostarsi di fronte al pubblico sottolineando la propria diversità sperando di essere accettata. In una società che vorrebbe omologare chiunque in ben precise e strette categorie, decidere in che modo raccontarsi quando non si è "normalmente-donne" è un atto che ha ben precise conseguenze sugli altri e su noi stessi, perché le parole con cui ci raccontiamo ci definiscono agli altri tanto quanto allo specchio. Nel momento in cui non siamo la categoria dominante del discorso, in cui siamo parte di una minoranza che nella vita di tutti i giorni subisce discriminazione verbale, legale o fisica, sfottere se stessi non è un mezzo per sollevarsi ma per mantenersi al di sotto della propria dignità e posto nel mondo.
Questo l'ha portata a rendersi conto che la struttura stessa della stand-up comedy e dei joke è per lei troppo limitante e manchevole di sfumature e approfondimento per poterle dare un senso di completezza nel raccontarsi. Crede che per arrivare a una giusta rappresentazione (di lei e di chiunque voglia essere ascoltato) siano meglio le storie perché, anche quando sono ridotte all'osso, sono formate da un inizio, una parte centrale, e una fine che porta a compimento quanto presentato all'inizio. Soprattutto le conseguenze della premessa che viene presentata al pubblico e che, si spera, permette di creare empatica con chi sta raccontando e aiutarlo a capire fino in fondo cosa significa essere parte della non-norma.
Annah approfondisce il problema della rappresentazione limitata e parziale di certe categorie di persone parlando di Vincent Van Gogh. Dopo un proprio spettacolo in cui ha scherzato sul proprio uso di farmaci anti depressivi, Hannah viene raggiunta da uno spettatore che ci tiene a farle sapere che farebbe meglio a non prenderne, perché rischia di rovinare la sua arte. Aggiunge "Pensa se Van Gogh avesse preso antidepressivi, ora non avremmo i suoi bellissimi girasoli!".
Purtroppo per lui, Gadsby ha una laurea in storia dell'arte e gli spiega, in maniera esilarante e toccante, che in effetti Vincent usava farmaci antidepressivi, era seguito da psichiatri e che uno dei farmaci che prendeva causava una visione più intensa e forte del colore giallo. Se oggi abbiamo una visione distorta di chi fosse Van Gogh è anche perché la narrazione della sua vita è solo parziale e, spesso, ridotta a un racconto che ne romanticizza la malattia, racconto fatto solitamente da chi è sano e si vede normale.
Portando a compimento il suo viaggio insieme al pubblico attraverso i problemi di una rappresentazione parziale di situazioni problematiche e i meccanismi limitati della stand-up, Hannah racconta di nuovo l'aneddoto della fermata del bus, questa volta però senza l'ausilio della commedia, senza tirare fuori una punchline che sciolga la tensione creata nel pubblico per dargli modo di sentire che è finita. L'aneddoto diventa un racconto tanto breve quanto denso e pieno di dolore, qualcosa di filtrato dalla narrazione ma vero e senza nessun tipo di catarsi. Quando finisce di raccontare come è andata realmente nessuno ride e il pubblico è costretto a fare i conti con la tensione passatagli da Hannah, tensione che lei prova da quando si è resa conto di vivere una società che fa di tutto per annientarla e zittirla.
Una scelta che va più o meno contro ogni regola degli special di stand-up, che vorrebbero chiudere se una delle battute migliori del set, per far sì che il pubblico esca soddisfatto e alleggerito dalla sala. Una scelta molto precisa e ponderata da parte di Hannah, che rende Nanette uno special da guardare e riguardare, sia per studiarne la scrittura, sia per ragionare sulle problematiche sollevate da lei di cui io ho solo scalfito la superficie in questo pezzo.