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Mater Dolorosa: chi ti ama ti odia?

Riflessioni e recensione dell’incredibile albo che celebra i 30 anni di Dylan Dog

Se la vita è un mare, ognuno di noi è una barca. Alcuni sono yacht di lusso in cui niente sembra andare male e tutti sorridono felici, incuranti di onde e pericoli, altri sono vecchi galeoni piegati dalla tempesta e dalle malattie, sempre sull’orlo di un ammutinamento o di una ricaduta, ma sempre in grado di affrontare i marosi, anche con le vele squarciate.

Questa la metafora principale di Mater Dolorosa, albo di Recchioni e Cavenago che sigla i 30 anni di Dylan Dog, che per qualità di scrittura e disegni rischia realmente di alzare fin troppo gli standard di un settore e di un fumetto che già se la stava passando piuttosto bene.

Sì perché se i testi di Recchioni sono asciutti e incisivi, i disegni di Cavenago sono grandiosi, esagerati, riempiono gli occhi, sottolineano le frasi, esaltano i personaggi e assaltano la pupilla del lettore con un’alternanza di dettagli, sfumature e sontuose visione d’insieme. E poi i colori, dio mio, quei colori che rendono tutto così giusto, sensato, perfetto. Sarà dura dopo aver letto questo numero tornare alla comunque alta qualità del bianco e nero degli altri albi.

Mater Morbi is not amused

La storia, oltre a fornirci squarci importantissimi sul passato e sul futuro dell’Indagatore dell’Incubo, riprende in parte il discorso interrotto con Mater Morbi in cui Recchioni mise tutta la sua esperienza personale di ospedali e cicatrici per raccontare un orrore molto terreno, quello della malattia, di come gestire il senso di una coscienza attaccata alle macchine, della vita in balia di medici, cure dolorose e speranze talvolta inutili.

Chiunque abbia avuto più di un raffreddore sa che non si guarisce mai veramente. Dunque se Mater Morbi era la malattia e la sofferenza, Mater Dolorosa è l’amore che ti isola dal mondo e ti impedisce di crescere, ma è anche l’albo della ricaduta, della paura di tornare di nuovo a dormire in un letto non tuo, ma soprattutto della sensazione di aver lottato invano.

Ma più che di malattia, Mater Dolorosa parla di crescita e di come la sofferenza sia forse una parte fondamentale di questo processo. Dopotutto chi ti vuole più bene? Chi ti protegge da ogni male, senza mai farti sentire il peso delle cose, sobbarcandosi ogni affanno, o chi ti espone fin da subito ai colpi della vita, così da indurirti la pelle di fronte a un mondo che non fa sconti?

La risposta dipende dal cammino di ognuno di noi, ma di sicuro una vita di sofferenze non ci rende automaticamente migliori di chi ha avuto la strada spianata. Se infatti l’eccessiva serenità rammollisce, le troppe difficoltà incattiviscono.

Per Recchioni la soluzione sta nel mezzo: “La sofferenza è un vento che spazza i campi, puoi nasconderti, alla fine di troverà sempre, e più ti sarai nascosto più sarai debole, ma se lasci che ti trasformi… farà di te un mostro capace di vedere solo sé stesso”.

“Allora in questa pagina la tocchiamo piano eh?”

Dunque il dolore, un po’ come la paura del Duca Leto Atreides di fronte al Gom Jabbar, dev’essere qualcosa da far scorrere, per poi andare oltre.

In fondo anche i cattivi, quel male assoluto personificato in John Ghost, altro non sono che una parte del tutto, attori in una recita il cui senso finale ancora dev’esserci svelato.

Nel mio periodo più “dylandoghiano”, quello in cui il figlio di Tiziano Sclavi arrivò a contendere poster e copertina di Max alle soubrette con tette al vento (mi pare fosse il ’93), avevo in camera un adesivo (l’ho ritrovato!)lungo circa un metro per una ventina di centimetri in cui compariva Dylan Dog con alle spalle tutto il pantheon di mostri presenti nelle sue storie, nel cinema e nelle letteratura. Sull’adesivo c’era scritto “Salta su, l’unico mostro che manca sei tu!”.


All’epoca era solo la frase di un adesivo, in fondo avevo 12 anni e leggevo Dylan da quando ne avevo 8 (non ho ancora capito come convinsi i miei genitori a comprarmelo), ma leggendo Mater Dolorosa, quelle parole acquistano definitivamente un senso, una motivazione ripetuta e sottolineata nel corso di questi 30 anni. Perché alla fine quell’adesivo diceva la verità, i mostri, i veri mostri, quelli che quando stanno male si trasformano in grumi di egoismo e cattiveria siamo noi, vivono dentro di noi e spesso ci fanno fare cose che non vorremo.

Sono mostri che spesso non muoiono tanto facilmente, perché non hanno corpo, ma sono solo un’idea. Per fortuna oggi Dylan Dog ci rassicura e ci dice che possiamo batterli, se siamo disposti a soffrire rimanendo umani.


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