Jonathan Bazzi, "Febbre": appunti di analisi
"Febbre" di Jonathan Bazzi, uscito per Fangango, è la rivelazione di questo Premio Strega. Un libro con uno stile asciutto, per narrare HIV e periferia.
Lo hanno definito il "vincitore morale del Premio Strega", anche se è finito in ultima posizione per gli inevitabili giochi delle case editrici. Nella rosa finale il libro ci era giunto per via del regolamento, che obbliga alla presenza di una casa editrice minore. E per via del fatto che "La nave di Teseo", ormai, è ritenuta un big. Così, "Febbre" (2019) di Jonathan Bazzi, classe 1985, è divenuto sesto tra cotanto senno. Difficile pensare a una vittoria: ma, indubbiamente, la visibilità ha messo il romanzo al centro del dibattito letterario.
Infatti, al premio ha prevalso "Il colibrì" di Veronesi, con un raro bis del premio (Veronesi è l'unico dopo Paolo Volponi, in un premio che risale al 1947, immediato dopoguerra), che ha stoppato Carofiglio, evitando una vittoria del romanzo di genere (il giallo, in questo caso) e del seriale al premio.
Come noto (spoiler alert di qui in poi per chi non ha letto il libro) il duplice tema del romanzo di Jonathan Bazzi è la scoperta da parte del protagonista di aver contratto l'HIV, da un lato, e la vita nelle periferia milanese di Rozzano, tra luci e ombre, dall'altro. Una duplicità tematica che si riflette nella struttura del libro, basato su un continuo alternarsi tra i capitoli ambientati presente (dove la "Febbre" del titolo è il primo sintomo che porta poi il protagonista alla scoperta del virus) e quelli nel passato a Rozzano, dove avviene la scoperta della propria non-binarietà, in un percorso a tratti duro nella propria affermazione, in una periferia che possiede anche un forte lato violento.
Jonathan Bazzi
Lo stile di scrittura di Jonathan Bazzi è asciutto, essenziale, efficace. L'elemento dell'autofiction, tipica della letteratura italiana negli ultimi anni, crea il controcircuito di una - apparente - perfetta sovrapponibilità tra l'io narrante e l'autore. Colpisce come la cultura pop - di cui "Nerdcore" si occupa centralmente - appaia come un appiglio importante per la definizione della propria identità, come tipico per chi è cresciuto dagli anni '80 in poi, ma non sempre indagato in questi termini. Accanto alla fascinazione per il mito classico e la musica pop, c'è quella per Jessica Rabbit, Lady Hawke, Labyrinth, Fantaghirò, Wonder Woman, i Power Rangers. In modo meno sottolineato, appare una costellazione simile o almeno compatibile con quella di un altro cantore delle periferie, Zerocalcare, anche se Teresa Ciabatti, sponsor del libro allo Strega, lo ha avvicinato piuttosto a Fumettibrutti (Jole Signorelli) per le analoghe riflessioni sul genere, assieme al cantante trap Achille Lauro (e sullo sfondo di un lusinghiero parallelo con l'Orlando di Virginia Woolf). Questi riferimenti, pur ben presenti, non soverchiano comunque la struttura dell'opera, che non si riduce al romanzo generazionale - o di "nicchia" - ma riesce a parlare trasversalmente al suo pubblico.
Achille Lauro
Fumettibrutti
Non manca una attenta, anche se non gridata, attenzione al nuovo rapporto con la tecnologia: le relazioni che si sviluppano tra Facebook, Grindr, Tinder (il protagonista dichiara di avviare le sue relazioni solo tramite la rete), così come la ricerca spasmodica di informazioni sulle possibili malattie su Google. E via internet il protagonista si avvicina anche a un altro ambito, quello esoterico dei Tarocchi, che in una fase il protagonista inizia ad accumulare in mazzi diversi ordinati online, rimanendo affascinato dalle loro capacità predittive.
E un po' esoterica è anche la copertina, della bravissima Elisa Seitzinger, che riprende un dettaglio della Santa Lucia di Francesco Del Cossa (1472) nel suo caratteristico stile: un dettaglio, quello degli occhi della martire offerti come un fiore, che diviene un simbolo correttamente ambiguo, in grado di riassumere la polivalenza del romanzo: romanzo di sofferenza, dolore, ma anche di speranza e rinascita.