In Bokurano i cattivi sono proprio i bambini
In Bokurano quindici ragazzi diventano piloti di mecha, salvando il pianeta attraverso una spietatezza tanto inaspettata quanto naturale.
La MTV Anime Night è stata una di quelle poche trasmissioni che mi hanno veramente tenuto incollato alla TV nella mia pressoché triste adolescenza. Oltre a evitarmi la spazzatura dei canali nazionali, mi portò a scoprire pilastri dell’animazione giapponese come Evangelion, Nana e Trigun, movimentando le mie serate con visioni di angeli mostruosi intenti a lottare con i mecha e facendomene innamorare per la vita. Tra tutte le proposte del palinsesto, il lavoro di Hideaki Anno è infatti forse quello che più ci ricordiamo per via dell’ovvia fama e titanica qualità dell’opera, recentemente apparsa anche su Netflix nella pessima gestione di Gualtiero Cannarsi, ormai cancellata dal servizio on demand, e con un film in corso di pubblicazione dopo anni e anni di assenza.
Mentre tutti ancora oggi cercano di capire chi sia meglio tra Rei e Asuka (spoiler: Asuka) e ci raccontiamo con fiumi di parole come Evangelion abbia cambiato per sempre il modo di vivere i robottoni, la mia mente vaga oltre e torna indietro a quei tempi in cui mi approcciai all’animazione e scoprii che esistevano perfino altre produzioni fuori dalla programmazione di MTV. Iniziai con Lucky Star e pian piano passai da School Days (di cui magari parleremo più avanti) a robe moderne come il defunto Highschool of the Dead. A oggi la lista delle mie visioni è lunga pagine e pagine, tuttavia voglio fermarmi intorno a quelle scritte nel 2007 e raccontarvi di un anime che per certi versi ha azzeccato più elementi reali del lato umano rispetto a Evangelion o al vicino RahXephon: sto parlando di Bokurano - “Il Nostro Gioco”.
La prima reazione che molti mi danno alla nomina del titolo è un “che cos’è?” con l’accento più pronunciato e ignorante degno del De Sica dei tempi d’oro, nonostante non si tratti affatto di una serie sconosciuta o dal basso valore progettuale. Nel 2003 il manga venne infatti scritto e disegnato da Kitoh Mohiro, lo stesso autore di Le Ali di Vendemiaire e Kakutoshi no Yume, opere comunque di nicchia ma abbastanza rivelanti per il modo in cui l’immaginario finisce per far da sfondo ad una spiccata critica umanistica. Bokurano però è la sua creazione più famosa e, dopo di esso, l’autore ha anche partecipato alla creazione di Evangelion 2.22 come designer insieme a Takeshi Honda e altri prestigiosi talenti.
Il manga vendette bene (in Italia è stato edito da Kappa Edizioni) e tra l’inverno e l’estate del 2007 venne prodotto l’anime di 24 episodi riadattando radicalmente il cartaceo ma mantenendone i principali messaggi. Le animazioni furono affidate allo studio Gonzo, il quale non ha certo bisogno di presentazioni e che, ancora oggi, viene ricordato tra le altre cose come la casa dell’eterno Last Exile o di Full Metal Panic. L’art design era inoltre curato da Shigemi Ikeda: direttore artistico di Inuyasha, diverse saghe di Gundam, Voltron, Planetes (e di questo c’è molto in Bokurano), Gantz e recentemente One Punch Man insieme a The Promised Neverland. A quest’ultimo ha lavorato anche Shuichi Okubo, il secondo direttore artistico di Bokurano e che ha accompagnato Ikeda anche in Gundam Unicorn e Tales of the Abyss. Una squadra di tutto rispetto e dal curriculum stellare, facendovi ancora più effetto sorpresa nel probabile caso in cui non sappiate ancora di cosa diamine stiamo parlando. Prima di procedere nei dettagli, sappiate però che l’anime al centro dell’articolo si differenzia moltissimo dal manga, considerando che il direttore dell’adattamento disse apertamente di non aver gradito la storia originale e di aver fatto di tutto per modificarla con il rispetto dell’autore, avvisando però gli affezionati di non guardare troppo all’anime se si era contenti dell’idea originale.
Senza spoilerarvi troppo della trama, Bokurano è la storia ben 15 adolescenti che durante una vacanza estiva finiscono per essere insigniti della responsabilità di pilotare un robot e combattere 15 meccanici invasori incaricati di distruggere la Terra. Non c’è nessuna manfrina sull’anima dei robot, mamme trapiantate in ambienti digitali o capriccio contro figure paterne dal dubbio gusto, a Bokurano basta una sorta di contratto orale e qualche raggiro vecchio stile per far sì che dei liceali non vedano l’ora di provare questo nuovo gioco mecha e diventare piloti provetti. Da videogioco tramutato istantaneamente in realtà, i ragazzi sono sorpresi e abbastanza contenti di dover pilotare davvero il gigantesco robot Zearth e fare tutte quelle cose da cartone animato vecchio stile, sperimentando quel brivido che ognuno di noi avrebbe se si trovasse nell’abitacolo di un Gundam.
L’eccitazione però è un sentimento che scoprirete essere presto fugace in Bokurano: i protagonisti vengono sfortunatamente messi al corrente del fatto che per far funzionare quel guerriero di metallo c’era bisogno di utilizzare tutta l’energia vitale di chi venisse scelto come combattente, conducendolo quindi alla morte istantanea non appena terminasse la lotta. Questo voleva dire che tutti i quindici partecipanti sarebbero dovuti morire senza possibilità di fuga, cambiamenti di idea e quanto altro. Se non si dovesse rispettare il contratto, la Terra verrebbe inevitabilmente distrutta. Il tutto è naturalmente supervisionato da Koe-mushi: un essere “alieno” in grado di teletrasportare e rintracciare il robot e chiunque ne sia legato con il contratto, facendo da supervisore al “gioco”.
Molto più concreto di Evangelion, Bokurano abbandona parzialmente la fantascienza tipica dei robottoni per renderli meri mezzi narrativi adibiti a sottolineare le contraddizioni e le storie dei protagonisti di quest’opera, puntando tutto sul raccontarci le difficoltà psicologiche e sociali dei tipici ragazzini figli della società moderna. Non ci interessa molto sapere di quale diagramma d’onda siano i nemici o imbarcarci in sibaritiche elucubrazioni sulla natura umana, piuttosto l’idea è quella di fornire scenari plausibili e di mischiarli con una leggera tinta di sovrannaturale, lasciando che il grosso delle puntate sia costituito più dalla storia personale dei membri del cast piuttosto che dal combattimento vero e proprio, il quale occupa si e no 10 minuti. Almeno, questo è quello che avviene fino a un preciso cambio di tono verso le ultime puntate, dovuto alla necessità di risolvere la situazione della lotta tra i robot e le domande dietro la sua nascita.
La solidità di Bokurano, oltre a essere squisitamente psicologica, è però anche estremamente fattuale. Basti pensare che le battaglie non sono presentate tanto sull’azione tra le due parti mecha, bensì sulle conseguenze della lotta sulle città in cui avvengono. I ragazzini diventano i prescelti di Zearth, certo, ma si rendono velocemente conto che ciò non li esonera moralmente dal fatto che perfino i loro movimenti più naturali, come camminare o sollevare un arto, sono in grado di spazzare via interi quartieri, vite e famiglie. Non a caso, il primo combattimento nella città costiera ci viene fatto vedere attraverso la prospettiva di alcuni personaggi secondari/terziari che sarebbero morti di lì a poco, rapidamente o meno. Ciò si riverbera per tutta la serie, facendoci notare come i diversi piloti abbiano una considerazione molto superficiale del circondario che sta ai loro piedi. Uno in particolare, addirittura, distrugge apposta gli edifici della metropoli più vicina in modo da favorire il padre costruttore edile, giustificando le sue azioni dietro la morale spicciola del “se muoiono vuol dire che era destino”.
Da questa premessa avrete intuito il perché parliamo di Bokurano all’interno della Core Story del mese: non sono gli invasori a essere la minaccia più grande di questo anime, i quali impallidiscono di fronte all’ingenua spietatezza dei 15 protagonisti. Inesperti, inadatti e totalmente presi dalle proprie turbe personali, questi adolescenti hanno fatto terra bruciata di intere città pur di “difendere la Terra”. Ma se un robot gigante ti sfonda la casa e ti porta via una figlia, che senso ha continuare a vivere in un posto dove ogni giorno arriva un invasore per distruggere tutto ciò a cui hai lavorato? Per quanto ciò possa ricordare Batman vs Superman, in Bokurano non c’è nessun supereroe che tenta di creare una regolamentazione per il sovrannaturale e il governo prende una posizione decisa solamente dopo le prime battaglie, lasciando gli scontri iniziali come campo per testare le caratteristiche del robot e, quindi, omettendo volontariamente i soccorsi ai cittadini. Solamente molto dopo arriva l’idea di evacuare le città, ma nel frattempo le vittime avevano già raggiunto cifre quasi vicine alle centinaia, se non migliaia.
All’inizio il gruppo si chiede se sia corretto fregarsene della morte altrui, partendo proprio da quando presumono che il loro amico – e primo pilota – fosse morto dopo che un altro membro lo ha fatto cadere accidentalmente dal torso di Zearth, sprofondando nel mare a seguito di una caduta fatale. Sebbene qualcuno dei ragazzi più sensibili fosse stato colpito dalla cosa, il resto più o meno tacitamente ha acconsentito a starsene zitto e dire semplicemente che loro non ne sapevano niente e che avevano perso di vista l’amico durante l’attacco dei robot. E questo sono stati in grado di farlo nonostante sapessero benissimo di aver distrutto una città costiera e fossero praticamente bombardati dai telegiornali con le immagini del luogo devastato, oltre che da stretti interrogatori della polizia. Chi, sano di mente, riuscirebbe a non sentirsi sprofondare dal peso di quelle vite spezzate per un qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare e nel quale è stato tratto in inganno a prescindere? Ci vuole un’anima più che fredda per riuscire a scrollarsi di dosso la colpa criminale e continuare a fingere di essere un ragazzino del liceo in vacanza. Ma le cose, da questo punto, vanno ancora peggio.
Le lotte continuano e i ragazzi muoiono nel quasi assordante silenzio e menefreghismo, a prescindere dall’introspezione psicologica che traspare da ogni rivelazione, fino a quando non tocca all’unico membro che decide di dire le cose come stanno e dare voce alla morale che tutti gli altri tentano di negare. Vita e morte sono effimere, importanti solo da una prospettiva individualistica e altruista. Sapendo di dover morire, si assume una nuova consapevolezza di sé e si porta all’eccesso il proprio pensiero, giusto o sbagliato che sia. Pilotare Zearth è un atto estremamente intimo, vissuto letteralmente sulla sedia di tutti i giorni, capace di tirare fuori ciò che si nasconde dalle convenzioni sociali e affettive.
Questi adolescenti hanno fatto terra bruciata di intere città e famiglie innocenti pur di difendere la Terra
Un’occasione più unica che rara di estraniazione etica nei confronti della razza umana, dove la morte diventa il lasciapassare per non pagare le conseguenze delle azioni che si compiono negli ultimi istanti di vita, diventando giudice, giuria e boia grazie al gigante di metallo che si comanda. Non importa quanto si pensi di essere altruisti, il risultato sarà sempre intrinsecamente egoista e insignificante nel grande schema dell’universo, perfino quando si usa il proprio corpo per “donare” la vita ad altri e difendere la Terra.
E così, chi ha il coraggio di abbracciare apertamente tali storture ci viene fatto vedere come un bastardo immorale criticato dal resto del gruppo. Però non viene mai fermato dagli altri a prescindere dalle nefandezze e dagli intenti, mai che qualcuno si alzi dalla sedia per interrompere il massacro che si sta compiendo nella battaglia. Anche quando qualcuno uccide direttamente un altro pilota, nessuno muove un dito. Perché ci si sente giusti a criticare gli altri ragazzi apertamente “stronzi”, ma allo stesso tempo è un modo per punire autonomamente la parte istintivamente malvagia che tutti e 15 hanno al loro interno, per quanto piacciano le chiacchiere sulla vita altrui e la bellezza di esse. Il manga in questi aspetti è molto più esplicito, specialmente se si osserva la eclatante e inumana conclusione dell’opera, capace di dirci che fino all’ultimo era proprio impossibile mascherare la crudeltà intrinseca dell’animo umano.
Perfino il più puro tra tutti, un ragazzo dalla voce angelica che decide di donare i propri organi per salvare l’amico malato, ammette in realtà di aver pensato che sarebbe stato meglio che fosse il suo amico a morire, in modo così da non dover competere per la ragazza che piaceva ad entrambi. Non c’è davvero nessuno dei protagonisti a cui si può guardare con totale innocenza, apparendo infine sempre disgustosi come Shinji che si masturba su Asuka nelle battute conclusive di Evangelion. Perché è questo il punto di Bokurano: l’umanità fa schifo ed è per tale colpa che deve combattere per la propria sopravvivenza, cercando di far vincere la versione migliore possibile. La dose viene poi rincarata dai plot twist che avvengono alla metà della stagione, i quali sottolineano ulteriormente quanto menefreghismo dilaghi nel rispetto della vita altrui.
E più volte viene tirata in ballo la figura dell’eroe, del campione degli innocenti. Non come affermazione di status, ma come vera e propria domanda esistenziale. “Un eroe non dovrebbe fare così”, “Chi siamo noi per decidere?”, tutte questioni legittime che però vengono scansate non appena ci si siede a difensori morenti dell’umanità. Eppure questa vacuità di risposte non va confusa come un’apparente mancanza narrativa: Bokurano è volutamente così, crudo e tremendamente accurato nel rappresentare l’intreccio del pensiero umano in quella che è una condizione estremamente particolare da un punto di vista morale. Infatti l’autore, nel manga e nell’anime, ci dimostra questa intenzione attraverso precise inquadrature e dialoghi, come quando ci fa vedere delle proteste civili contro la lotta o ci fa assistere all’utilizzo dei ragazzini da parte del governo.
A prescindere dalla presenza di un’evidente impurità umana di base, tutte le storie dei 15 piloti sono tristemente tragiche, affrontando temi come la disoccupazione, l’abuso sessuale, l’abbandono e l’inadeguatezza. Ognuno ha vissuto alcuni dei mali più comuni della modernità, in famiglia o fuori dalle mura di casa e a prescindere dalla ricchezza o status personale. A ragione delle orribilità fatte e in corso nei 24 episodi della serie, si può in tutta coscienza dare completamente la colpa alla natura dei protagonisti? La denuncia sociale di Bokurano è proprio in tale sottolineatura, nel voler comunicare allo spettatore che il momento di rottura è avvenuto ben prima della comparsa di Zearth. Sono state le scelte compiute dalla nostra razza ad aver avviato un progetto di degenerazione irreversibile, tanto radicato da contaminare il tempo, lo spazio e le dimensioni.
La morte dei giovani diventa infine una testimonianza vacua del loro malessere, soppressa o dalle morti che hanno causato o dal silenzio dell’abitacolo dove regna il menefreghismo e il tragico destino. Il mondo esterno si aggrappa alla sopravvivenza del pianeta fino alla sconvolgente rivelazione finale, la quale non fa altro che mettere in scala un giudizio divino tanto ineluttabile quanto auto causato. Le puntate conclusive portano il riscatto definitivo per una conclusione dal sapore amaro ma che fornisce all’umanità l’opportunità, finalmente, di rinascere e di imparare dai propri errori dopo il sacrificio estremo, lasciando alle nuove generazioni il compito di ereditare quanto gli “eroi” hanno lasciato.
Ma, per loro stessa ammissione, i 15 di Bokurano non sono eroi. Sono semplici esseri umani che hanno combattuto per loro stessi, aggrappandosi alla sopravvivenza con tutta la loro forza. Tuttavia la necessità del male che hanno dovuto causare non è stata sufficiente a cancellare le loro colpe e quelle di tutta la Terra, a prescindere dal virtuosismo finale. Anche questo fa parte però del crudele gioco di Bokurano, il quale non ha davvero né vincitori, né vinti, né eroi della giustizia. Specialmente se si guarda alla fine del manga.