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Il mio viaggio insieme a W.i.t.c.h. - C'era una volta una bambina sola

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W.I.T.C.H., il fumetto rifugio di una piccola adolescente, diventa un argomento di condivisione e scambio, quando si trovano le persone adatte.

È il 2003.

Non ho un display su cui guardare l'ora, quindi continuo a fissare nervosamente l'orologio dal cinturino a fiorellini che tengo allacciato al polso: i compiti in classe di matematica mi rendono sempre nervosa e questo è anche alla prima ora, quindi non voglio tardare.
Mi domando se andando a scuola da sola non avrei fatto prima, invece di aspettare il passaggio in macchina di mamma, ma la mia routine di undicenne mi impone di non questionare e lasciarmi letteralmente guidare da lei, perciò non posso far altro che starmene seduta qui sul sedile posteriore a cercare di fermare le lancette con lo sguardo, mentre con l'altra mano torturo lo scoubidou attaccato allo zaino.

Finalmente un parcheggio. Schizzo via dalla macchina con un saluto affrettato, e comincia la mia corsa verso il cancello della scuola, con lo zaino pesantissimo che sbatacchia qua e là sulla schiena.

Attorno a me non c'è nessuno, perché ormai sono le otto passate. Ci sono soltanto io, le mie falcate sull'asfalto irregolare che pare un percorso a ostacoli, e la mia mente proiettata verso il momento in cui mi dovrò giustificare con la professoressa.

Ma per un istante accenno un sorriso.

Sono proprio come Will il suo primo giorno di scuola.

Varco il cancello, attraverso lo spiazzo, entro nell'edificio, sempre in corsa. Una bidella che passa di lì si ferma e mi guarda sfrecciare verso la rampa di scale. Non ho tempo e fiato di darle il buongiorno: mi limito a invidiarla in silenzio per il fatto che lei non abbia un compito di matematica imminente.

Proseguo il mio tragitto verso l'aula, e dopo il primo corridoio scorgo la porta aperta in lontananza.
Solo ora i miei passi cominciano a rallentare, mentre ansimando azzero le distanze tra me e la mia meta.
Faccio timidamente capolino sull'interno della stanza e i miei occhi trovano quello che speravano di trovare: la cattedra ancora sgombra.

Solo ora tiro un sospiro di sollievo, e comincio a trascinarmi tra i banchi dei chiassosi compagni di classe fino a raggiungere il mio, vuoto e silenzioso.

È un banco color crema, tenuto immacolato se non per qualche minuscolo ghirigoro a matita che ho tracciato nell'angolo in basso a destra.

Sono solo dei simboli visti in un fumetto, ma li considero dei portafortuna...

Mi concentro su di loro, dimenticando per un attimo il fatto che anche oggi la mia presenza sia passata del tutto inosservata tra i compagni.

Mentre organizzo il mio spazio sento arrivare la professoressa tutta trafelata, che prontamente si scusa per il ritardo. Mi alzo automaticamente in piedi per omaggiarla, senza guardarla e senza smettere di disporre i miei effetti sul banco: sono troppo in ansia e agisco con l'autopilota, incapace di pensare a qualcosa che non sia l'incombente prova.

Ho bisogno di calmarmi.

Torno a sedermi. Intreccio tra loro le dita delle mani. Chiudo forte gli occhi.

Irma fa così quando vuole pilotare le interrogazioni: magari l'incantesimo riesce anche a me.

Il compito è sulle potenze di frazioni. Diciamo che come strega devo ancora fare pratica.

Durante le due ore successive faccio quel che posso.

Ogni tanto intercetto i bisbigli di qualche compagno che cerca di suggerire al rispettivo amico del cuore. Qualcuno cerca di comunicare con la scusa di prestare un bianchetto o una penna.
Io sono da sola con le capacità di cui dubito costantemente. I numeri non sono mai stati il mio forte e ad ogni esercizio prego di aver seguito il giusto procedimento.

Non posso permettermi di fallire. Mamma conta su di me. Tutti contano su di me.

L'angoscia è tanta, ma in qualche modo riesco a portare a termine gli esercizi.

Consegno il compito e me ne rimango seduta al banco, stremata: affondo le mani nel tascone della mia felpa col cappuccio e mi lascio scivolare in avanti, accasciandomi sulla sedia, mentre lo sguardo scorre distrattamente sui compagni in lontananza, intenti a scambiarsi i suggerimenti dell'ultimo secondo.
Li osservo in silenzio, inespressiva, con distacco, come se il loro mondo fosse troppo distante dal mio, e avessi rinunciato a raggiungerlo.

Vorrei non sentirmi così aliena e fuori posto.

Decido di appuntare questo pensiero, quindi agguanto lentamente ma con decisione il diario che avevo riposto sul banco.

È un diario dai colori vivaci, con in copertina la protagonista del mio fumetto preferito.

Lo apro e inizio a sfogliarlo in cerca di una pagina adatta allo scopo, mentre scorro tra illustrazioni e compiti per casa. Li ho segnati proprio tutti. Ogni più piccolo incarico, io l'ho sempre portato a termine. I miei compagni di classe lo sanno bene: per questo sono il loro punto di riferimento quando si tratta di chiedere informazioni.
A volte telefonano a casa persino i genitori, perché se vogliono accertarsi che i figli facciano tutti i compiti, l'unico modo è confrontare il loro diario con il mio.

Mamma è orgogliosa di me anche per questo...
Ma ora non riesco a trovare una pagina vuota per scrivere i miei pensieri.

Finalmente ne trovo una disponibile e prontamente affondo l'altra mano nell'astuccio alla ricerca di una replay. Rosso? Blu? Nero? No... Voglio la penna con l'inchiostro dorato e i brillantini. È bellissimo, e poi spicca tra le decine e decine di compiti segnati.

Non faccio in tempo a finire di scrivere, che intercetto delle risatine provenienti dai banchi davanti al mio. Sollevo istintivamente lo sguardo, trovando due compagne che non riescono a reprimere il loro divertimento.

«Stai scrivendo una formula magica?»
«No, sto solo-...» ma le parole mi muoiono in gola mentre, un po' in ritardo, realizzo di essere stata canzonata.

Sento le guance avvampare e chino la testa in silenzio, tornando a guardare le pagine sotto di me.
Le due riprendono a ridacchiare, e per un attimo ho l'impressione che lo faccia il mondo intero.

Chissà se anch'io un giorno riuscirò a far esplodere la mia energia, come Taranee.

Mi piace Taranee: è silenziosa e riservata, ma si infiamma quando si appassiona a qualcosa o quando si arrabbia. Certo lei ha la fortuna di avere un gruppo di amiche che la supporta.
Dall'emotiva Will, all'ironica Irma, alla razionale Cornelia, alla dolce Hay Lin.

Mi ritrovo a sospirare, mentre guardo una delle illustrazioni del diario in cui quelle cinque affiatate ragazze si scambiano sguardi complici.

Sollevo lo sguardo a mia volta, mestamente, lasciandolo scorrere sui compagni attorno a me. Li scruto uno ad uno, in silenzio, soppesando tutte le nostre differenze.

Certo io sarò anche un po' strana... fuori moda... “secchiona”? Si dice così?...

Ma non posso fare a meno di pensare che sarebbe bello se avessi anch'io degli amici.
Mi accontenterei di uno soltanto.
Qualcuno che mi voglia bene e abbia voglia di parlare con me delle storie che mi fanno sognare.

Come si fa, mi chiedo...

Dimmelo tu, Cuore di Kandrakar.

In ogni fiaba c'è un oggetto magico.

Il Cuore di Kandrakar è un ciondolo pulsante di energia: Will è in grado di evocarlo dal palmo della sua mano. Ho tentato di farlo materializzare davanti a me così tante volte che ormai ho perso il conto.

Eppure adesso all'improvviso chiudo gli occhi... E lo vedo brillare nell'oscurità, laddove un attimo prima c'era la classe.

Mi concentro su quella visione onirica, rapita, ma per qualche motivo meno incredula di quanto dovrei essere.

Quel piccolo globo luminoso fluttua nel vuoto e sembra chiamarmi.
Mi avvicino. O si avvicina lui. Sempre di più, finché non intravedo al suo interno delle figure in movimento.
Guardo meglio, ancora più da vicino. Ora la luminescenza è abbastanza grande da permettermi di distinguere le forme e i connotati di una ragazza, incredibilmente simile a me, ma molto più adulta. Avrà una ventina d'anni più di me.
La vedo sedersi scompostamente alla scrivania, proprio come mi siedo io a scuola.

Sta ticchettando sulla tastiera di un computer molto sottile, del quale non posso fare a meno di sbirciare lo schermo.

C'è una banda orizzontale azzurra, in alto, sulla quale posso leggere da un lato “Telegram”, dall'altro “N3rdcore Culture Club”, e sotto si susseguono delle frasi accostate a piccole immagini rotonde, mentre più in basso vedo quello che sta digitando la ragazza simile a me.
Sembra che stia comunicando con delle persone.
La vedo molto presa: direi entusiasta. Forse addirittura felice.

Solo ora noto la data riportata nella parte inferiore dello schermo: l'anno è il 2021.

Un portale sul futuro. Il mio.

Mi domando con chi parlerò così appassionatamente nel futuro.

Sbircio qualche nome. Spicca quello di una ragazza, nel mio botta e risposta.

Dice che la sua strega preferita è Irma, e Taranee quella in cui si rispecchia di più.

È ancora il 2003. La sedia accanto a me è ancora vuota.

Dopo la scuola andrò in edicola a comprare il nuovo numero di W.i.t.c.h. e come sempre lo leggerò da sola.

Ma non sarò sola per sempre.

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