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Gioco dunque sono, alla scoperta dell'homo ludens e della filosofia del videogamer

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Massimo Villa ha pubblicato con Il Melangolo Gioco dunque sono, la filosofia del videogamer. Un viaggio in dieci capitoli che ripercorre alcuni titoli cult del multiversum videoludico e permette al lettore di conoscere gli aspetti storico-culturali, sociali e artistici che si celano dietro a tutti i grandi giochi.

Alla ricerca dell'homo videogamer

Esiste l'Homo Viator, colui che esplora i mondi e che non può vivere se non si sposta frequentemente. Dal nomadismo alla stanzialità, per creare e modellare un tessuto comunitario e sociale, si realizza l'avvento dell'Homo Faber che costruisce e inventa, poi dell'Homo Politicus e Economicus; tantissime nomenclature latine per descrivere lo sviluppo dell'attuale antropocene.

Eppure manca un tassello che spesso sembra rimanere fuori dal coro dei grandi. L'Homo Ludens (antenato del videogamer?), postulato anni addietro dallo storico olandese Huizinga, è forse più antico della stessa definizione di cultura storica, infatti il gioco è un a particella che può generarsi anche in assenza di un sofisticato contesto sociale (come lo dimostra anche il gioco tra diversi animali); l'esperienza ludica è proto-storica. Quasi primordiale.

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Da questo assunto si possono intraprendere numerosissime strade che possono congiungersi in una destinazione comune o toccare le vette di mondi mai esplorati; una cosa è certa, ancora oggi quando l'essere umano affronta una sfida dettata da un gioco rievoca un substrato nostalgico-culturale che ha radici nel passato preistorico, quasi pre-coscienza umana.

Trovo estremamente romantico, allora, considerare i videogames e i videogamers come dei ponti tra diversi enti apparentemente in contrasto, come il passato e il futuro, la tradizione e il progresso. Impugnare un joypad, tamburellare su una tastiera, spaccare lo schermo di un telefonino nell'ennesimo game-mobile sono tutti meccanismi già pre-codificati nella memoria muscolare e genetica dei primi homo ludens; per esempio non siamo così lontani dal contatto con gli astragali, col mettersi in gioco nelle competizioni sportive, o dal stuzzicare l'ingegno con sfide intellettuali e indovinelli.

Il tessuto antropologico può evolversi ma l'esperienza del divertimento è atavica, il gioco è una realtà mnemonica che attende di essere accesa e stimolata

Tant'è che il gioco diventa auto-indagine o riflessione pseudo-epicurea della felicità, non puoi spiegare la felicità a un bambino, ma puoi donargli un pallone, così credeva la sociologa Dorothee Sole. Allo stesso modo il vescovo tedesco Klaus Hemmerle affermò “Quando gioco ricevo un nuovo me stesso”.

Allora urge scomodare Cartesio e storpiare il cogito ergo sum, ed è proprio questa la base da cui si dirama l'agile saggio di Massimo Villa, Gioco quindi Sono. La Filosofia del Videogamer, edito da Il Melangolo.

Il libro è composto da una decade di capitoli monografici che fungono da interessanti digressioni all'interno del mondo videoludico, Villa abbraccia un periodo ampio, quasi mezzo secolo e attraverso esperienze personali, riflessioni socio-culturali e un approccio metodologico leggero e alla portata di tutti accompagna il lettore nel suo multiversum nerd.

Un libro che può sembrare una “storia dei videogiochi” ma ha l'obiettivo di educare i profani del mondo dei videogames, spingerli verso riflessioni antropologiche e ad ampliare i contesti personali e sociali; ma ha il doppio pregio di coltivare nei lettori più giovani un sano interesse verso le tematiche storiche, i processi mentali che portano alla realizzazione di un cult, o più semplicemente avvicinare qualsiasi post-millenial alle componenti filosofiche, forse nascoste, che si celano sotto i display o il combat system di un titolo.

Trattare tutti i capitoli che compongono il vandemecum del videogamer di Villa è impossibile, a meno che non siate amanti delle pesanti analisi esaustive, tutta via mi soffermerò brevemente su alcuni capitoli per poi argomentare uno dei miei preferiti.

Il primo capitolo affronta subito due mostri sacri dell'immaginario videoludico, Tomb Raider e Diablo. Dopo un'analisi generica dei temi e delle peculiarità di entrambi i titoli mi ha colpito il parallelismo (con le dovute divergenze) tra i due giochi, ovvero l'inferno letterale (e letterario) di Diablo e quello ormonale-erotico di Tomb Raider.

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Notevole la parte monografica che si rifà alla saga di Assassin's Creed che viene elevata anche come strumento d'indagine storico-geografico da usare come ausilio anche nei percorsi d'insegnamento scolastico. Chi scrive vi conferma che un videogamer può imparare molto, non solo dai titoli Ubisoft, ma anche dal franchising di Total War e da tutti gli strategici alla Civilization.

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Molto bello il capitolo dedicato a GTA di Piermarco Rosa con interviste e approfondimenti, stimolante invece il capitolo che  cerca di rispondere all'eterno quesito videoludico de “i videogames sono arte?”. La mia personale opinione l'ho già espressa in un articolo dedicato a The Sims ( e un simile articolo arriverà per Shadow of the Colossus), comunque il libro cerca (e riesce) di dare tantissime risposte alle domande del lettore.

Muoio, quindi sono. Il capitolo che mi ha stuzzicato di più è quello dedicato alla “permadeath”, quindi ai Dark Souls. La morte permanente elimina un certo fascino incantato (ma ne alimenta un altro molto masochistico) dei videogiochi, perdere tutti i progressi accumulati e dover ricominciare da capo è molto frustrante, soprattutto quando morire è facilissimo.

La mia personale esperienza con Dark Souls fu frustante, passare all'altro mondo per una caduta di 3 metri invece di 2,60 è a dir poco umiliante e fa perdere molto facilmente la pazienza.

La dose di blasfemia usata in maniera puramente catartica per sfogare la propria rabbia è veramente alta (per fortuna non sono l'unico videogamer in tal senso) e poco importa se la voce serafica di Sabaku narra con perizia di particolari il background del gioco. Dark Souls è il primo gioco (personalmente) che mi ha insegnato a tiltare (in questo ha contribuito moltissimo League Of Legends negli anni); ovvero perdere la testa e compiere una sequela di azioni no-sense fino ad abbandonare definitivamente il gioco.

In definitiva il saggio breve e ben scritto di Massimo Villa, in cui hanno collaborato Piermarco Rosa e Giacomo Conti e Lorenzo Plini è non solo una valida introduzione all'interno della saggistica videoludica ma uno dei rari tasselli culturali che vanno a costruire un rapporto intrinseco tra cultura “nobile” e cultura pop. Che per me non si differenziano mai.

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