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C’è un mondo fuori da internet e non me ne frega un cazzo

Un po’ di tempo fa Paul Miller, giornalista di The Verge, è tornato a utilizzare internet dopo un intero anno di stop in cui ha fatto totalmente a meno di email, smartphone, social network e così via.

L’idea era quella di scoprire come vive un uomo che oggi decide di mettersi ai margini della strada delle informazioni, e magari tornare con una bella filippica su tutto quello che ci perdiamo mentre guardiamo uno schermo, tipo il profumo dei fiori, il sorriso dei bimbi, il silenzio della mente, il tempo per la lettura e così via. La classica morale della decrescita, la versione 2.0 del “ma quasi quasi vendo la casa in città e vado a vivere in campagna”.

D’altronde questo è il fine di ogni esperimento sociale di privazione o esclusione, fare a meno di un bene per un determinato lasso di tempo e poi tornare tra le genti con l’aria dell’asceta a farci due palle così su come si stava meglio quando si stava peggio, less is more e così via. Lo faceva già Diogene qualche annetto fa e adesso che la botte è stata semplicemente sostituita dal taglio del cavo di rete, la sostanza presuntuosa e un po’ snob del gesto non è cambiata.

Alla fine dell’esperimento, Miller ha scritto un lungo articolo, il cui sunto è “Dio cristo che palle senza internet”.

Sì perché Miller, dopo essersi inizialmente goduto il profumo dei fiori, il sorriso dei bimbi, il silenzio della mente, il tempo per la lettura, ha iniziato a rompersi profondamente i coglioni. Frustrato dalla mancanza di connessione col mondo e dalle difficoltà nei rapporti umani e lavorativi (immaginate di dover gestire ogni giorno un centinaio di mail CARTACEE o di non poter parlare con i vostri parenti lontani via Skype), è sprofondato in uno stato di apatia fatto di videogiochi, cibo spazzatura e televisione.

E non poteva nemmeno dare la colpa a internet.

In definitiva, ecco il messaggio ai detrattori di Internet. Un messaggio che ovviamente non può che arrivare con una gif, l'unica forma di comunicazione che ha senso.

 

Sì perché internet, alla fine, è uno strumento, è un telefono, è un coltello, un’automobile. Puoi usarla bene o usarla male, dipende solo da te. Con un coltello ci tagli il pane o ci affetti le persone, in ogni caso la colpa non è del coltello, casomai di chi te lo ha dato o meglio di chi lo impugna.

Se sei un coglione, lo sarai nella vita reale come in rete, se sei un’ameba, internet ti fornirà solo più materiale per rincoglionirti, ma di certo la sua assenza non ti farà scrivere il romanzo della vita. L’unico lato positivo è che magari avresti più tempo per capire quanto fai schifo. Insomma se anche sparisse tutta la tecnologia del mondo, tu saresti il cavernicolo che cazzeggia con le pitture rupestri, invece di cacciare.

Dicono che se hai un martello, tutto ti sembra un chiodo, ma forse è anche vero che se vuoi solo martellare, troverai comunque il modo di crearti un martello.

Bisogna tuttavia ammettere che l’iniziativa di Miller un pregio l’ha avuto: andare contro corrente rispetto a quell’ondata di blogger, giornalisti ed esperti di social media che dopo aver ottenuto la fama facendosi conoscere in rete, improvvisamente sentono il bisogno di allontanare con aria schifata il piatto dove hanno mangiato fino a qualche secondo prima. Quelli che “che belli i fan solo finché mi dicono che sono bravo”.

La rete e i social network diventano quell’amico d’infanzia un po’ grezzo che non vuoi vicino quando vai al liceo e vuoi farti accettare dai più grandi, mentre senti il bisogno di riscoprire il profumo dei fiori, il sorriso dei bimbi, il silenzio della mente, il tempo per la lettura e poi tornare in rete a pontificare il ritrovato valore delle piccole cose.

Ecco, gente così mi fa schifo, come mi fanno schifo quelli che “smetto di fumare” e poi diventano talebani dell’antifumo. Come mi fanno schifo i vip che sfruttano e bramano il gossip e poi fanno la faccia scocciata di fronte a fan e paparazzi, come mi fa schifo chi mette un paio di tette come avatar per farsi sbavare dietro e poi si stupisce se arrivano i maniaci. Quelli che “la rete è crudele” ma che fino al momento prima costruivano gogne tutti contenti.

Perché se c’è una cosa peggiore della dipendenza, è comportarsi come se non la si avesse avuta mai, negando una parte di sé, e negando di averla cercata. Gli errori ci stanno, si pagano cari, si pagano tutti, l’importante è cambiare.

Professare una vita senza smartphone è come chiederci di vivere senza frigorifero. Certo, le passeggiate a prendere la neve fresca per conservare la carne sono belle, ma anche no.

Oh povero giglio di campo, non reggevi la continua incredibile pressione della grande conversazione della rete e quindi sei stato un po’ fuori dai social network, sperando segretamente che tutti i tuoi follower si chiedessero dove fossi finito, così da potergli dire orgoglioso del tuo grande progetto e magari ridere del fatto che ti credessero morto.

“Uh che buffo se non rispondi a nessuno su Facebook per un mese pensano che il cane ti stia mangiando la faccia”.

Vivi nel tuo tempo, se hai passato gli ultimi anni spammando ovunque gli articoli del tuo blog, intessendo relazioni e creando contatti, crederti morto se non aggiorni Facebook per un mese è normale, come lo sarebbe se tu non rispondessi al telefono per un mese, se non lo capisci o sei stupido o sei in malafede.

Quindi bravo, adesso che hai visto che c’è un mondo fuori dalla rete vuoi un cazzo di applauso?

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