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Buzzelli e la "Buzzelliade": riscoprire il Maestro del fumetto

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Guido Buzzelli e la sua Buzzelliade: un meritorio recupero di Coconino Press, per un maestro del fumetto europeo da riscoprire.

Coconino Press ha intrapreso da qualche tempo un meritorio lavoro di recupero dell’opera di Guido Buzzelli, uno dei grandi maestri del fumetto italiano (e non solo), incredibilmente poco conosciuto rispetto all’importanza determinante della sua opera. Basti dire che la sua “La rivolta dei racchi”, realizzata nel 1967, è una prima opera fumettistica avvicinabile al concetto di graphic novel: un romanzo a fumetti realizzato dall’autore per interesse e ricerca personale, non commissionato all’interno di una pubblicazione seriale (ne avevamo parlato qui, in un più ampio percorso sulla distopia).

Assieme a “Labirinti” e “Zil Zebub” (anagramma del cognome dell’autore, che appare all’interno di tutte le opere in forma dissimulata, e rimando al biblico “signore delle mosche”, Baal Zebub) forma una trilogia di sorprendente potenza fumettistica, purtroppo finora riservata a un culto quasi iniziatico all’interno del mondo del fumetto italiano, dove Buzzelli non ha nella notorietà al vasto pubblico quel posto a fianco dei Grandi Maestri (Pratt, Crepax, Toppi, Battaglia...) dei suoi anni che la critica invece concordemente gli riconosce.

 

All’interno di questo recupero, un tassello importante è costituito dalla “Buzzelliade”, recentemente ristampata da Coconino nel 2020. In questo imponente volume di pregio è raccolta la produzione erotica di Buzzelli, per la prima volta in volume. Quella dell’eros è del resto una dimensione trasversale alla produzione buzzelliana, che si connette alla feroce satira sociale – in chiave surreale – presente anche nelle altre opere, assieme a quello di un complesso e ironico rimando autobiografico che torna anche qui in apparizioni più sporadiche (ma, ad esempio, la magnifica copertina è un’illustrazione dell’autore che riprende la sua dimora romana, “la Buzzelliera”). Il testo è introdotto da un bel ricordo di Riccardo Mannelli, la cui illustrazione erotica e satirica è un altro patrimonio poco valorizzato. In chiusura, invece, un testo critico del 1999 di Antonio Faeti fornisce alcune chiavi di lettura interessanti sulla nota eredità pittorica che Buzzelli porta in dote al fumetto, citando l’esotismo italiano (in particolare Fabio Fabbi) e addirittura Fattori, tra i vertici dei macchiaioli. Ma vediamo come concretamente si declina il contenuto primario del volume.

 

Buzzelli

Un primo nucleo della produzione qui presentata è costituito dalle tavole realizzate per la rivista “eroticomica” “Menelik” dell’editrice Adelina Tattilo, per tutti i 101 numeri della rivista, dal 1971 al 1973. Buzzelli – tramite Grazia De Stefani, prima agente, poi compagna dell’artista - realizza molte illustrazioni, vignette, caricature, tra cui la quarta di copertina con “La domenica del barbiere”, parodia impeccabile della più seriosa “Domenica del Corriere”, supplemento domenicale del Corriere della Sera.

Ma, soprattutto, Buzzelli realizza una serie di tavole a fumetti, che verranno poi ristampate in Francia nel 1980 dalle Editions du Cygne, nel volume “Buzzelliades” da cui anche questo – quarant’anni dopo – prende il nome. Buzzelli li definiva i suoi Hellzapoppin, citando il noto spettacolo teatrale di Broadway (e poi film) dei Fratelli Marx, nel 1938 e poi nel 1941. Una comicità concitata e surreale che avrà, anni dopo, nuovamente un ruolo centrale nel fumetto italiano nella ripresa di Sclavi, che a un clone di Groucho Marx affida la “linea comica” del suo Dylan Dog (e, a parte lo speciale Horrorpoppin, molto del comico dylaniato riprende da lì).

In queste pagine, con un montaggio turbinoso e analogico che fa a meno della griglia (un linguaggio sperimentale, ma anche un ritorno turbinoso alle origini, a quelle tavole domenicali di Yellow Kid in cui si coglieva, in un solo caotico colpo d’occhio, il guazzabuglio fin du siecle newyorkese di Hogan Alley). Spesso la satira colpisce i riti dell’Italia post-boom, post-68: il Natale, le vacanze, il carnevale, il mare, la montagna. Riti e miti piccolo borghesi che vengono qui ovviamente fatti oggetto di una satira al vetriolo, cogliendone il lato boccaccesco che al cinema veniva indagato negli stessi anni da Pasolini nella “trilogia della vita” e poi, più cupamente, nel suo rovesciamento nel ciclo della morte.

 

Buzzelli

 

Alle spalle c’è tutta una tradizione di comicità amara che è però spesso – in questa forma così esasperatamente sublime – più extrafumettistica nell’Italia d’allora: Boccaccio ’70 (1962), I mostri (1963) e di lì a poco I nuovi mostri (1977). Ma, andando indietro, anche in certa satira artistica, come quella ineguagliabile di Renato Guttuso nella sua Spiaggia (1955), nel suo Boogie Woogie (1953). Buzzelli non è derivativo da queste opere, tutt’altro: ma aleggia similmente la centralità dei corpi, nel loro viluppo erotico, sensuale, carnale, non idealizzato verso una ascesi dell’eros platinato ma colti in tutta la loro (perciò seducente) materialità.

Già questa parte del lavoro è sorprendente, e ci si può perdere ore nell’ammirazione di queste tavole la cui carnalità concreta si somma a una grandiosità rinascimentale. Ma ancora più potente è la parte relativa a una precocissima decostruzione del fumetto, in tavole in cui Buzzelli affronta non direttamente la società, ma l’idealizzazione del superuomo fumettistico.

 

Buzzelli

 

Chiaramente, la decostruzione del superuomo è ben precedente alla sua grande stagione inglese degli anni ’80, che soprattutto nel 1986 vede l’anno cruciale, col Batman milleriano e il Watchmen di Moore (e, in parallelo, un “nuovo fumetto possibile” con Maus di Spiegelman, opposto ai “tizi in calzamaglia”. E, in Italia, la decostruzione del Bonelliano in Dylan Dog). Un punto di partenza credibile può essere il Fearless Fosdick di Al Capp (1942), all’interno del suo Lil’Abner e in parodia del Dick Tracy (1931) di Chester Gould, che porta il superuomo in ambito urbano dopo gli esordi primordiali o fantascientifici di Tarzan e Buck Rogers, nel 1929.

Ma qui Buzzelli opera comunque una satira che perde ogni velame di bonarietà, con immagini che uniscono una forza comica senza pari a una crudeltà sorprendente.

Già questa parte del lavoro è sorprendente, e ci si può perdere ore nell’ammirazione di queste tavole la cui carnalità concreta si somma a una grandiosità rinascimentale.

Nell’ordine del volume (dopo altre grandi tavole magnifiche, ma dedicate ad archetipi più generici – l’Inferno, lo Spazio, la Preistoria – e prima di quelle di satira sociale) troviamo innanzitutto la decostruzione di Flash Gordon (1934), perfezione di quel Buck Rogers con cui si avvia il fumetto, e di cui si coglie tutto il sotteso fallico dei razzi amari cui sono sospese fanciulle e nerboruti desnudi.

C’è di che far esplodere per sovraccarico la mente di Frederick Wertham, l’arcinemico dei comics: e al contempo la sessualità pruriginosa di Gordon e Ming è però colta nel suo decadente ennui borghese, quasi degli Indifferenti di Moravia ormai dilagati verso il basso delle classi sociali con la società di massa del boom.

 

Buzzelli

Il mestiere di Mario

Segue satira analoga (ma sempre terribilmente specifica) de “L’Uomo Mascherato” (1936), prototipo della trasformazione dell’eroe in supereroe, il magico di Mandrake e il primordiale di Tarzan (spesso Buzzelli e il fratello Raul appaiono, alla “where’s Waldo”, mescolati alle tavole). Spiace non vedere la conseguenza logica, ovvero la decostruzione di Superman, Batman, Wonder Woman, la trimurti dei ’40 e ’50, e quindi anche magari un primo accenno della decostruzione degli eroi marvelliani, specie quelli che nei ’60 avevano prodotto una nuova età dei comics. Sicuramente Buzzelli avrebbe saputo trovare modi ineffabili di parlare di “supereroi con superproblemi”: egli a questo punto salta invece in Italia e parodizza Diabolik, Kriminale e i nuovi fumetti neri.

Questa tavola monocromatica (le altre sono coerentemente a colori, come i fumetti satireggiati: inutile dire che il tratto ha un mimetismo perfetto delle sfumature stilistiche di ogni fumetto sbeffeggiato) è quella dove il gioco di Buzzelli si fa più estremo. L’immagine più potente, di un humour nerissimo, che quasi lo stesso Buzzelli pare voler dissimulare, ci presenta un Kriminal nell’atto di dar fuoco a una donna a un distributore (Kriminal raggiungeva già vette di sadismo superiori al più signorile Diabolik, comunque criminale molto meno gentiluomo in quegli esordi: ma qui la crudezza sembra rimandare a un sottobosco ancora più nero).

Sicuramente Buzzelli avrebbe saputo trovare modi ineffabili di parlare di “supereroi con superproblemi”: egli a questo punto salta invece in Italia e parodizza Diabolik, Kriminale e i nuovi fumetti neri.

Dietro di lui, la classica fauna piccolo borghese, che attende imperturbabile, un po’ annoiata, il proprio turno di fare benzina. In tavole successive, Buzzelli si sbizzarrirà anche nel gore ancor più eclatante e a colori, e nelle tavole destinate al western (sospese tra satira di Tex e di Sergio Leone) ci presenterà eclatanti pistoleri nudi dotati di un fallo a forma di pistola che svela l’evidente compensazione subliminale che fece la fortuna del genere. Ma in pochi passaggi si riesce ad avere un cinismo icastico come in questa decostruzione dei neri: Buzzelli sfida la loro valanga di pagine a una gara di crudeltà in due tavole, e vince.

Completano il quadro altri fumetti di grande interesse: “Il mestiere di Mario”, su sceneggiatura di Alexis Kostandi, è del 1974 per il compianto Wolinski, tra le vittime dell’attacco terroristico a Charlie Hebdo, in cui troviamo, nel nervoso bianco e nero dell’autore, le folli e surreali avventure di un gigolò. “I love you Helza” (1980-81) per Playmen riprende nel nome dell’eroina il tema dell’Helzapoppin caro all’autore, mentre Dressage e Le Raisin appaiono nel 1985-86 per Glamour International Magazines: primi due passi di una trilogia di Villa Borghese ideata con la moglie Grazia De Stefani, che collaborò spesso alle produzioni del marito. Diamonds (1982, poi rifatta nel 1989, in quanto andata perduta) è inedita, e completa questa trilogia “minore” (rispetto a quella centrale di Buzzelli) in questa raccolta.

In tutti e tre i casi ci troviamo di fronte all’uso magistrale del colore, con tavole di potenza pittorica che ricordano, circolarmente, le illustrazioni singole della Domenica del Corriere da cui eravamo partiti, ma inserite in un discorso di arte sequenziale, naturalmente. Un plauso va, su tutta l’opera, al minuzioso lavoro di scansione degli originali da parte di Paolo Altibrandi, che consente di apprezzare il meraviglioso e minuzioso tratto di Buzzelli al massimo del suo splendore.

Buzzelli

Conclusa la turbinosa scorribanda nelle tavole in cui Buzzelli l’ha guidato, il lettore resta come frastornato da una simile baraonda, sospeso tra il fascino per la pura bellezza visiva e lo scombussolamento per la delirante frenesia dell’azione. E può cogliere – come già nella Trilogia, che è forse il primo approccio consigliato all’autore – il perché un autore di questa grandezza rimanga così poco valorizzato.  Non solo per i temi spesso causticamente scabrosi, lontanissimi da un eros patinato ma volutamente disturbanti nel profondo: ma anche per la difficoltà di riprendere la sua lezione da parte di epigoni, che nel suo caso sono stati pressoché del tutto assenti. Tanto che il critico Matteo Stefanelli può tranquillamente definirlo, senza eccessi, come il “genio incompreso” del fumetto europeo.

Buzzelli certo parte dallo stile del fumetto avventuroso dei’50, appreso durante il lavoro a studio, dai 18 anni, presso Rino Albertarelli (e poi Vittorio Cossio) ma, nato da famiglia d’arte (nipote di un decoratore, figlio di pittore e modella), lo eleva fino al rango del sublime con una ricerca difficilissima, meno percettibile, che non va nel senso della sintesi perseguita (ai massimi livelli dell’arte mondiale) dagli altri maestri che citavamo, bensì nell’innervare il segno con una consapevolezza inusitata della grande lezione della pittura (e dell’incisione) dal Rinascimento in poi.
La parentesi da metà ’50 a metà ’60, con la dedizione esclusiva alla pittura, è fondamentale: in particolare, ci pare rivelatoria la fascinazione per Goya, apprezzato dal vivo durante il soggiorno spagnolo: «Non c’è volta che io vada a Madrid e che non passi dal Prado a rivedere i quadri di Goya». Il gusto dei Capricci è fondante nel fare di Buzzelli un autore dove, nuovamente, il sonno della ragione genera mostri.

“Il mio legame con il fumetto cambiò quando mi trovai a fare una mostra a Roma. Pensavo alla posizione delle tele, a quella delle immagini, alle sensazioni che volevo comunicare. Mi sembrava che tutto sarebbe stato più potente se ne avessi fatto un racconto.”

Appare interessante che il ritorno al fumetto (che avviene inoltre dopo il matrimonio e il fondante sodalizio artistico con Gloria De Stefani) sia segnato dalla consapevolezza di avere ormai nelle vene, potremmo dire, il veleno sequenziale: “Il mio legame con il fumetto cambiò quando mi trovai a fare una mostra a Roma. Pensavo alla posizione delle tele, a quella delle immagini, alle sensazioni che volevo comunicare. Mi sembrava che tutto sarebbe stato più potente se ne avessi fatto un racconto.” Da qui il lavoro sulla Rivolta dei Racchi, di cui dicevamo, rifiutata dagli editori italiani e uscita in piccola tiratra nel catalogo di Lucca 1967, con prefazione di Mario Bologna. Da qui la fascinazione di Wolinski, l’approdo in Francia, dove viene l’apprezzamento come “Michelangelo dei mostri” (Michel Grisolia), o ancor meglio «Goya italiano» (Michel Bourgeois).

E questo notevole volume odierno consente di apprezzare al massimo la potenza immaginifica del segno dell’autore, con le sue grandi tavole e la loro ottima resa grafica del segno e del colore. Insomma, un passo importante, assieme ad altri che si dovranno compiere, per assegnare finalmente a Buzzelli il posto di primo piano che davvero gli spetta nella storia del fumetto italiano.

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