

After Life 2: i primi tre episodi mi hanno fatto odiare meno Ricky Gervais
Abbiamo visto i primi tre episodi di After Life 2 in anteprima e ringraziamo Ricky Gervais per essere stato un po' meno egomaniaco del solito. Da vedere.
Per una strana e orribile congiunzione astrale, tra After Life e After Life 2 mi sono trovata in una situazione molto simile a quella del Tony di Ricky Gervais, a elaborare il lutto per una persona amata portata via dal cancro. Benvenuti alla festa!
Dire che mi trovo in una qualsiasi situazione di similarità con Gervais mi causa inoltre un certo fastidio, dato che non nutro particolare simpatia per l'autore britannico, il che ovviamente non mi impedisce di tesserne le lodi nel caso ce ne sia bisogno. Il mio personale problema con Gervais deriva da quella che nel suo caso definirei "sindrome del copyright", come se del cinismo fosse l'unico detentore di licenza, l'unico prescelto con la missione di ricordare al mondo quanto le nostre vite facciano in realtà schifo. Ciao, Ricky, grazie ma c'eravamo arrivati anche noi!
Il problema che avevo avuto con la prima stagione di After Life era infatti legato al martirio auto-inflitto di Tony, al suo egocentrismo mascherato di sincerità, al nichilismo mai abbastanza assoluto da costringerlo a chiudere la bocca e infilare la testa nel forno. Una gran bella scena la sua, con Gervais che ci sguazza dentro come l'ombrellino in un cocktail alla frutta, poi la svolta, la consapevolezza e il finale con l'epifania e la promessa di diventare migliore. Tutto giusto, avrebbe potuto concludersi lì per la serenità degli spettatori, ma non è lì che finisce la storia, se si vuole raccontare per intero l'esperienza del lutto.
Dai primi tre episodi di After Life 2, vediamo che la precedente stagione era giustamente solo il primo passo del percorso, quello più snervante, durante il quale il protagonista è solo una palla informe di rabbia, egoismo e disperazione. È giusto che fosse così odioso, ne aveva pieno diritto. Dopo il bell'addio con la prospettiva di migliorare, tornare a vivere e quant'altro, arriva però la doccia fredda. Secondo voi basta sul serio dire "ok ora miglioro e vado avanti" per riprendere il filo di una vita devastata dal dolore? Non funziona proprio così.
Funziona che invece il giorno dopo è esattamente uguale a quello prima. Stessi gesti, stesse abitudini, stessi vizi. Intorno il mondo procede, cambia, qualcuno riparte e tu sei sempre lì sul divano come Tony, che riguarda i filmati della moglie appena sveglio e prima di andare a letto. Succede poi che c'è un momento, uno solo, in cui il pensiero di essere uno stronzo ti assale, ed ecco che anche Tony se lo rinfaccia: "Provo pena per me stesso e mi sento in colpa per questo. Incontro persone che hanno vite peggiori della mia e comunque vanno avanti."
E infatti di persone che stanno peggio Tony ne incontra diverse, tipo la vecchia centenaria che ogni mattina si sveglia sperando di essere finalmente morta o la donna che fa finta di saper parlare con i gatti per vedere i nomi dei defunti marito e figlia sul pidocchioso giornale locale. Pian piano questo dolore diffuso arriva anche a Tony, il suo guscio si crepa e, per usare un francesismo, finalmente riesce a disincastrare la testa che teneva infilata saldamente nel proprio culo. Dopo una lunga serie di piccolissimi passi, Tony arriva a riconoscere la sofferenza altrui, a darle spazio, voce e dignità.
La scelta di Gervais di proseguire dopo la prima acclamatissima stagione di Afterlife è stata molto coraggiosa, gli fa onore, forse ora lo odio personalmente un po' meno. La sua capacità di rappresentare il viaggio nell'elaborazione del lutto è stata dolorosa perché familiare, realistica. E capisco che dall'esterno sembri solo un reiterarsi di situazioni già viste con meno battute argute e ciniche, ma succede perché la fase in cui si torna lentamente alla vita non è divertente per nulla. Anzi, a volte lo è, e subito dopo fa schifo, come con Tony che un attimo parla di scopettoni per la pulizia dei pavimenti e l'attimo successivo è in lacrime, con il sorriso storto in faccia che dice "lo so, va un po' meglio ma ogni tanto mi arriva una pugnalata".