Dracula di Mark Gatiss e Steven Moffat aka Monopoly col vampiro
Gatiss e Moffat ci portano a giocare con il loro Dracula, un burlone di 500 anni che non sa ancora bene come funzionano i vampiri.
A Mark Gatiss e Steven Moffat piace giocare con le storie e con gli spettatori. Il loro approccio ai classici, Sherlock Holmes su tutti, è quello di un bambino fantasioso che usa soldatini e Barbie per ricreare un western. Sulla carta sembra assurdo e anche un po' pretenzioso, ma in pratica funziona, perché alla fine l'importante è divertirsi.
Il bello del nuovo Dracula, arrivato su Netflix il 4 gennaio in tre macroepisodi da circa 90 minuti l'uno, sta proprio nella sua capacità di scomporre la base narrativa del Dracula di Bram Stoker riassemblandola sotto forma di gioco con suggestioni provenienti da epoche e linguaggi differenti. La missione è risolvere un mistero: qual è la più grande paura del Signore dei non-morti?
Il primo capitolo si apre all'insegna del classico. Jonathan Harker è fuggito dal castello del Conte Dracula, non sembra molto in forma e anche la sua memoria mostra segni di cedimento. Meno male che il buon Jon ha avuto l'accortezza di mettere tutto per scritto! Insieme a lui, per chiarire alcuni aspetti della vicenda, c'è Agatha, una suora insolita con la passione per l'occulto che descrive la sua vocazione come un matrimonio senza amore scaturito dal bisogno. Agatha sarà la guida razionale e analitica che accompagna Jon (e con lui anche noi) a ritroso nel suo periodo di prigionia, sarà lei il filo che tiene unite le due linee narrative, e sarà infine lei il loro punto di congiunzione, con annesso effetto sorpresa.
Il resoconto orale di Harker va a braccetto con il campionario iconografico del Dracula tradizionale. Inizialmente vecchio decrepito, circondato di mosche e topi, ringiovanisce ogni volta che beve il sangue di Jonathan, arrivato al castello dall'Inghilterra nel ruolo di avvocato e mediatore. Con la giovinezza, Dracula acquisisce anche lo stile della sua vittima, ciò che gli scorre nelle vene, compreso l'accento e una sfumatura particolarmente britannica di umorismo.
Ma in fondo, Dracula è già di per sè un gran burlone, sempre con la battuta pronta, specialmente se di fronte si trova un'avversaria altrettanto ironica e tagliente come Agatha. Quindi, abbiamo un gruppo di personaggi che tentano di risolvere un mistero, ma il protagonista di quel mistero è a sua volta impegnato in una ricerca. Dracula sta infatti provando da tempo a perfezionare la sua sposa ideale, uomo o donna non fa differenza, attraverso crudeli e bizzarri esperimenti (tipo il momento baby horror alla Trainspotting).
Esatto, sia Agatha che Dracula (così come gli spettatori) stanno iniziando un gioco a scatola chiusa, perchè la prima scintilla di caos innescata da Gatiss e Moffat riguarda la mancanza di regole definite. Il corpus delle leggende sul Principe delle Tenebre è infatti ampiamente messo in discussione, testato o contraddetto, a partire dai capisaldi come l'odio per le croci, per la luce del sole e per gli specchi.
La nuova versione del Conte di Claes Bang rispecchia l'ambiguità di un Dracula non ancora perfettamente codificato, è classico ma non antiquato, affascinante senza essere stucchevole, portatore di sortilegi ma anche attratto costantemente dalla scienza. Bang è un ottimo Dracula e Dolly Wells è un'ottima arcinemica, il loro ballo di seduzione/repulsione costituisce uno dei maggiori pregi del primo episodio, e segna anche una vetta qualitativa che purtroppo non trova corrispondenza nei successivi due capitoli.
Seconda puntata: nuova cornice, un gioco nel gioco, Dracula e Agatha si sfidano a scacchi. È successo qualcosa e stavolta a raccontarcelo è direttamente il Conte, brutto segno e veniamo avvertiti: nella sua storia ci sono molti nuovi volti, ma non è il caso di affezionarsi a nessuno di loro.
Ecco che viene sconvolto il secondo pilastro del nostro gioco, ci vengono tolte le pedine. Agatha è assente, Dracula viaggia su una nave diretta a Londra insieme a un equipaggio di sconosciuti e inzia a mangiarseli uno a uno, con stile. Messo da parte Bram Stoker, Gatiss e Moffatt riprendono in mano Agatha (!) Christie e costruiscono un Dieci piccoli indiani dove il vampiro funge da assassino e insieme da detective. Si rietra nei parametri di una storia già vista e infatti si perde il brivido dell'operazione rinfrescante compiuta nel primo episodio, paradossalmente ambientato nel set più canonico.
L'effetto shock viene conservato per il capitolo finale, quello in cui i creatori si divertono a mettere in campo il loro arsenale perfezionato con Sherlock. Il terzo elemento del gioco a essere rimaneggiato è lo scenario. Rimasto sul fondo dell'oceano per 123 anni, Dracula sbarca in Inghilterra nel 2020 e ad attenderlo c'è la faccia di Agatha, il sangue di Agatha, ma non Agatha.
Purtroppo, la sua discendente Zoe non ha la verve o la passione della sua antenata. È una scienziata, ma si trova a studiare la natura di Dracula non si sa bene perché. In realtà a lei importa poco di tutti, dato che ha il cancro e di tempo per i progetti rivoluzionari non ne ha più. Infatti sparisce a lungo, mentre Dracula si adatta tranquillamente alla civilizzazione, alle app di incontri e alla sua nuova non-vita da scapolo gourmet. Senza troppa convinzione, Zoe torna ad affrontarlo in seguito alla morte di Lucy, il più recente esperimento di conversione del Conte.
E qui arriviamo al più deludente passaggio della serie, lo spiegone alla Sherlock, quello che alla fine risolve il mistero in tre minuti di monologo. Se funzionava per l'investigatore logorroico che accumula indizi dall'inizio della puntata, altrettanto non succede per Zoe, che vediamo poco e male, che si relaziona al vampiro in maniera frettolosa e superficiale, certamente non abbastanza per lanciarsi in una dissertazione sull'ipocondria ad altissimo tasso simbolico di Dracula, svergognato e svilito come il più triste dei fifoni.
Mi ha ricordato molto il finale terribile di It Parte 2, quando l'implacabile Pennywise, la Divoratrice di Mondi, viene distrutto da quattro male parole e qualche insulto. Il gioco si è inceppato e Bang da solo, sebbene diverta senza sosta, non è capace di salvare lo show da una conclusione troppo veloce, sommaria e piuttosto insoddisfacente.
Nonostante vada in calare, Dracula si lascia comunque guardare piacevolmente, è divertente come ogni buon gioco sa essere e mette a segno numerosi momenti notevoli, soprattutto grazie al suo oscuro protagonista, che ci è stato portato via troppo presto, proprio nel fiore dei suoi 500 anni.