Stiamo per tornare tra le strade di The Good Place
Siamo pronti a tornare nell'aldilà tra umorismo, filosofia e colpi di scena
Il 27 settembre arriverà la terza stagione di The Good Place, lo show televisivo che da un paio di anni riesce nella non facile impresa di mescolare umorismo dai vari registri con complesse domande di filosofia morale, ambientato nell'aldilà. Il tutto sorretto da un cast che mischia nuove, recenti e vecchie facce in un mix alchemico che sta funzionando alla grande.
La serie è stata creata da Michael Schur, scrittore e scenggiatore che si è fatto le ossa su Saturday Night Live e sulla versione americana di The Office e ha co-creato prima Parks & Recreation e poi Brooklyn 99, due tra le migliori e più amate serie comiche della storia recente. Se conoscete i tre show fino a qui nominati saprete che in comune hanno l'avere per protagonisti un gruppo di personaggi dai caratteri molto particolari, accomunati dall'essere colleghi di ufficio (o di commissariato) e dall'avere relazioni di amicizia tra di loro complesse, sfaccettate e in divenire lungo le stagioni. Una premessa di sicuro poco originale ma che grazie a Schur e al resto delle writers room è stata solo l'inizio di tre serie molto divertenti con una loro forte personalità.
Schur ha deciso di tentare qualcosa di diverso dal solito in The Good Place puntando su premesse che, per sua stessa ammissione, sono fuori dalla sua comfort zone: una protagonista non proprio positiva, un'ambientazione fantastica e la filosofia morale come motore primario dello show. Il tutto nato da un suo peculiare pallino: quando gli capita di incappare in persone maleducate gli piace immaginare che perdano punti "karma". Uno gli taglia male la strada con l'auto? Perde 100 punti. Un'arzilla vecchia gli ruba il posto in fila al supermercato? Perde 50 punti. Un simpatico giovanotto lo aiuta a cambiare una gomma? 500 punti guadagnati. A ogni azione corrisponde un punteggio, e quando arriva la fine qualcuno che ha tenuto i conti decide la destinazione finale: The Bad Place oppure The Good Place.
La protagonista Eleanor si ritrova nel Good Place e fa la conoscenza di Michael che le spiega dove si trova, come mai ci si trova, in che modo ogni persona acquista e perde punteggio in vita e le mostra The Good Place, con un certo orgoglio: Michael è infatti l'architetto che lo ha creato. Spera molto che a Eleanor il posto piaccia, che faccia amicizia con tutti e che conosca presto la sua anima gemella Chidi, un professore di filosofia. Per il resto le dice di non preoccuparsi di nulla e godersi il posto: The Good Place ospita solo le persone buone e non le mancherà mai nulla. Peccato che Eleanor in vita sia stata una persona orrenda e capisca subito di essere nel posto sbagliato ma di dover fare di tutto perché Michael non se ne accorga, altrimenti rischia di andare nel Bad Place.
Una vola resasi conto di questo, Eleanor convince Chidi a insegnarle filosofia morale, con l'unico scopo di salvarsi l'anima. Questo è lo spunto che da modo a Schur e al resto degli autori di poter inscenare in maniera pratica tutta una serie di dubbi, domande e ipotesi di filosofia morale. Che detta così potrebbe sembrare una bella noia ma grazie alla verve comica della serie tutto scorre con agilità tra piogge improvvise di gamberetti, giraffe impazzite e strani glitch nel tessuto stesso del Good Place.
Questo problema, ovvero riuscire a parlare di etica e morale senza scadere nel didascalico è stato uno dei problemi di cui Schur si è reso conto ancora prima di presentare la sua idea al network con uno stringatissimo "Voglio fare uno show televisivo su cosa significa essere una brava persona.". Un altro problema è stato essere consapevole di non avere una preparazione approfondita sulla filosofia ma solo un interesse accentuato, che può essere comodo per intavolare discussioni intorno a un tavolo pieno di birre ma non abbastanza intorno al tavolo degli autori. Per questo ha assoldato Todd May, professore di etica e morale, come consulente di produzione con il compito di assicurarsi che dubbi e paradossi avessero solide basi logiche fondate su tomi e studi di filosofi antichi e moderni.
Il primo problema è invece tenuto a bada dall'umorismo che permea ogni episodio della serie fino a ora trasmesso e che vede come base principale un antico tropo della narrativa: il pesce fuor d'acqua che cerca di capire dove diamine si trovi e come non finire malissimo. In questo caso i pesci fuor d'acqua sono quattro dato che a Eleanor e Chidi si aggiungono subito la bellissima filantropa e socialite Tahani e la sua anima gemella Jainiu, un monaco buddista votato al silenzio. Tutti tenuti d'occhio da Michael che cerca sempre di assicurarsi che siano felici. Forse.
Se lo show riesce a stare in equilibrio su queste curiose premesse buona parte del merito è di sicuro del cast. Kristen Bell e Tad Danson, che interpretano Eleaonor e Michael, hanno un'ottima alchimia riuscendo a dare profondità ai loro personaggi con sfumature nella recitazione che permette loro di non essere due macchiette ma mostrare vari aspetti delle loro capacità. Non da meno sono Jameela Jamil con la sua sottilmente tormentata Tahani, Manny Jacinto tanto fesso quanto solare nei panni di Jianyu e William Jackson Harper nei panni molto ansiosi ma retti di Chidi. Forse il personaggio che mostra più sfumature emozionali nelle stagioni è quello del robot Janet, interpretato da una D'Arcy Carden che riesce a donare calore a quello che in altre mani poteva essere solo una Siri con un corpo.
Parlare delle due stagioni uscite fino a ora senza fare spoiler è impossibile perché entrambe le stagioni giocano regolarmente con le aspettative del pubblico facendo scelte che, anche se non sempre sono impossibili da intuire, rivelano comunque una bella spregiudicatezza nelle conseguenze di determinati colpi di scena. Questa commistione di paradossi morali che mettono in crisi i personaggi e di sicuro stimolano lo spettatore al ragionamento uniti a una narrazione non del tutto lineare tendono The Good Place una show televisivo a cui la definizione di sit-com sta piuttosto stretta e che la dovrebbe vedere vicina a produzioni più blasonate.
Se le prime due stagioni hanno dimostrato qualcosa è che Schur e i suoi compagni di scrittura non si fanno problemi a rimescolare le carte in tavola per cui la terza stagione difficilmente correrà il rischio di sapere di già visto, sopratutto dato il finale estremamente aperto della seconda.