Gli straordinari eventi che hanno trasformato un ragazzino californiano in George Lucas - prima parte
La passione per le auto, la pochissima voglia di studiare, gli incontri casuali e le botte di fortuna che hanno plasmato l'inventore di Star Wars
George Lucas nasce a Modesto, una città texana che quanto ad aspirazioni è sicuramente un nomen omen. Vagando virtualmente per le sue strade si viene catapultati all’interno del classico generico punto sulla mappa di gran parte della California: edifici bassi, cemento, negozi identici a quelli di qualunque altro paesino della zona, centinaia di chilometri che sembrano costruiti con un generatore standard di spazi da cui scappare. Se visitate la pagina di Wikipedia di Modesto la prima cosa che viene citata è l’arco che dà il benvenuto a chi entra in città e su cui è impresso il motto “Water Wealth Contentment Health”, la seconda che ha dato i natali a Lucas, il quale l’ha messa sulla mappa della cultura popolare ambientandoci American Graffiti e raccontando al mondo la sua personale nostalgia di ragazzo che andava in giro in auto in cerca di avventura, la cosiddetta “Cruisin Culture”.
Ma prima di American Graffiti, prima della statua di Lucas in una piazza di Modesto, prima di Star Wars c’era solo un ragazzino di buona famiglia che fondamentalmente non aveva voglia di fare un cavolo. Voti medio bassi, nessuna grande aspirazione, una vita già probabilmente decisa nell’azienda di cancelleria di famiglia che rendeva molto bene, il piccolo Lucas non aveva assolutamente l’aria del predestinato.
Certo, essendo nato e cresciuto nell’America post-bellica aveva fatto incetta di film di guerra, di aerei che lottano nel cielo, di Flash Gordon e di fumetti, ma questo in fondo succede a tutti no? Ma di George Lucas ce n’è uno solo ed è lui ad aver compiuto un cammino che parte da ragazzino qualunque e prosegue col giovane pilota, il meccanico sporco di olio motore, l’appassionato studente di antropologia, il fotografo e infine piccolo prodigio delle accademie cinematografiche, cineasta ribelle e pilastro del presente.
Tutte queste esperienze si sono stratificate dentro George Lucas e lo hanno reso ciò che è, o meglio, ciò che è stato.
A volte per impressionare i ragazzi più giovani gli dico che sono nato in un mondo in cui ancora non c’era internet, qualcuno per impressionare me potrebbe dirmi che è nato in un mondo senza Star Wars, il mondo prima che quel film cambiasse moltissime cose, direttamente o meno. Ma come sarebbe stato il mondo senza di lui e quali sono stati i primi passi che lo hanno portato a essere uno a cui dedicare statue nel paese natale?
Una delle prime “inception” di Star Wars potrebbe essere Tommy Tomorrow, fumetto che Lucas leggeva a 10 anni in cui legge che improvvisamente uno dei protagonisti scopre di essere figlio di un famosissimo pirata spaziale e la notizia lo sconvolge. Oppure potremmo citare il fatto che uno dei bulli che lo tormentavano a scuola faceva Vader di cognome (non ha mai confermato ufficialmente che il nome viene da là e penso non lo farebbe neppure sotto tortura, ma la coincidenza è strana), ma una delle più grandi influenze di Lucas è senza dubbio la sua passione per le auto veloci.
Da ragazzo Lucas amava disegnare ma ben presto la sua passione principale diventarono le automobili, passione che gli rimase attaccata per tutta la vita e che si inserì in maniera potente nella sua visione cinematografica. Fateci caso: in un film di Lucas c’è sempre una gara o qualcosa che si muove molto velocemente, la rapidità del suo cinema è uno dei suoi tratti distintivi.
La sua prima auto fu una Bianchina della Fiat che non rappresentava certo il suo ideale di velocità, ma era un compromesso necessario per la tranquillità del padre. Tranquillità che se ne volò dalla finestra quando Lucas cominciò a frequentare la Foreign Car Service, una officina con kartodromo in cui la Bianchina la “stupida macchinina”, come la chiamava lui, subì pesanti modifiche. Il passo successivo fu ottenere un documento falso per partecipare alle gare di autocross e farsi amico il campione locale, che lo descrive come “un ragazzino timido che non la smetteva di parlare appena gli davi confidenza”.
Se Lucas era inizialmente un ragazzo che passava gran parte del tempo a casa, immerso tra fumetti, televisione, musica e Coca Cola, grazie all’auto si ritrovò ben presto al centro della vita sociale della città.
La diffusione delle automobili tra i giovani aveva infatti generato la cosiddetta cultura del “Cruising”, ovvero girare in macchina con gli amici, senza una meta particolare, oppure andare su e giù la sera per le “strip”, le vie piene di locali, cinema e negozi, con gli amici o la propria ragazza. Un cazzeggio giovanile degli anni ’50 così diffuso da venire celebrato poi in tantissimi film nostalgici degli anni ’70 come Grease o da Lucas stesso col film che lo mise sulla mappa di Hollywood: American Graffiti.
Sono anni in cui Lucas sfiora il mondo delle gang di ragazzi, ma solo alla lontana e in cui il suo divertimento più grande era correre in auto, per quanto concesso dalla sua Bianchina truccata, in cui la media voti comincia a scendere drammaticamente e i genitori cercano di distrarlo da un mondo fatto di grasso per ingranaggi e olio motore. Prima gli regalano una macchina fotografica e allestiscono una camera oscura in casa, ma per tutta risposta George Jr. se la porta alle corse, infine gli promettono che potrà fare un viaggio in Europa se riesce a diplomarsi.
Lucas si butta sui libri, annoiandosi a morte. Un giorno si annoia così tanto che decide di rincasare prima, fa una svolta vietata e centra in pieno un’altra macchina.
L’impatto è fortissimo e la macchina si disintegra contro un albero, tuttavia, la cintura di sicurezza installata da Lucas si rompe e lui vola fuori dal tettuccio invece che schiantarsi. Non è un’esperienza comunque piacevole, ma rimedia solo dei danni ai polmoni e qualche mese di fisioterapia. Insomma, ha un culo pazzesco.
Un po’ come accadrà molti anni dopo a Stephen King, l’incidente è uno spartiacque fondamentale nella vita del regista, che cambia completamente la sua visione del mondo e il suo approccio alla vita. Improvvisamente si calma e diventa più concentrato sulle cose attorno a sé, ma anche più emotivo, si rende conto di aver avuto una seconda occasione.
Cosa sarebbe successo se Lucas fosse morto in quell’incidente o anche solo se avesse fatto quel viaggio in Europa o avesse continuato la sua vita da pilota e meccanico? Probabilmente c’è un universo parallelo in cui Star Trek è rimasto sul piccolo schermo, nessuno va dei versi strani con la bocca fingendo di brandire una spada laser, il Padrino e Apocalypse Now sarebbero stati diversi o non sarebbero stati, forse il cinema di intrattenimento basato sulla fantascienza e sul fantastico si sarebbe sviluppato in un altro modo e lo stesso vale per il mondo dei videogiochi.
Ma Lucas sopravvive e si diploma, perché dopo l’incidente i professori sono decisamente più benevoli con lui, si iscrive al Junior College e inizia a frequentare il mondo della cultura studentesca californiana, fatto di giovani intellettuali, dibattiti e proiezioni improvvisate.
E proprio a una di queste proiezioni che si imbatte in 21-87, un filmato di 10 minuti di Arthur Lipsett fatto tutto di spezzoni audio e video totalmente casuali che si uniscono in un collage video in cui Lipsett riesce a trovare un senso trascendentale e spirituale.
Per quanto sia la cosa più lontana da Star Wars del mondo, è qua che Lucas si imbatte in una frase che, per sua stessa ammissione lo segnerà: Molta gente ritiene che, attraverso la contemplazione della natura e la comunicazione con altri esseri viventi, si possa avvertire una specie di forza, o qualcosa del genere”. Inoltre, forse è qua che inizia la sua ossessione coi numeri per identificare i personaggi.
Ma se pensate che la passione per le auto se ne fosse andata al primo incidente vi sbagliate. Nel 1963 suo padre, sempre alla ricerca di qualcosa che fosse meglio delle corse, gli regala la sua prima cinepresa 8mm e proprio come era successo con la macchina fotografica, Lucas la porta alle gare. Quando non fa il meccanico ai box di una piccola squadra, la AWOL Sports Car Competition Club, Lucas sperimenta con la cinepresa e realizza piccoli filmati ed è qua che arriva un’altra grande botta di culo: a Laguna Seca viene notato da un altro appassionato di corse: Haskell Wexler.
Chi è Haskell Wexler? Diciamo che dopo qualche anno vincerà il suo primo Oscar come direttore della fotografia per Chi ha paura di Virginia Wolf e nel ’77 per Questa terra è la mia terra. Proprio nel ’63 aveva già ricevuto una nomination per America, America e negli anni successivi lavorerà a La calda notte dell’Ispettore Tibbs, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Colors e, ovviamente American Graffiti.
Ma prima di tutto questo c’è il momento in cui Wexler vede un ragazzo smilzo con la camicia a quadri che riprende le auto a Laguna Seca e riconosce in lui del talento. Attraverso di lui Lucas entra per la prima volta in una sala di montaggio, si rende conto che il cinema potrebbe essere una strada migliore rispetto al fare il meccanico e riceve un caloroso benvenuto dall’industria cinematografica a base di porte in faccia.
Wexler cerca infatti di farlo lavorare a un suo documentario, The Bus, come assistente di produzione, ma i sindacati cinematografici si mettono nel mezzo, ci prova con altri progetti e finisce allo stesso modo. Da questi inconvenienti nascerà il profondo risentimento che Lucas ha sempre covato per Hollywood e l’establishment.
L’incontro tra i due è comunque una svolta fondamentale, perché arriva esattamente nel momento in cui Lucas deve decidere cosa fare del resto della sua vita. Inizialmente pensa di iscriversi alla San Francisco State per il corso di Antropologia, prova anche a entrare all’Art Center College of Design di Pasadena, ma il padre gli dice che in quel caso se la sarebbe dovuta pagare da solo e infine c’è una terza opzione: la University of Southern California, dove si trova John Plummer, suo vecchio amico di infanzia, che ha un bel programma dedicato al cinema e alla fotografia.
Wexler si raccomanda ai professori e lo fa entrare, il padre non è molto d’accordo ma decide di farlo andare per impartirgli una lezione su cosa succede a seguire troppo i propri sogni invece che entrare nell’azienda di famiglia. Già all’epoca era molto difficile che un laureato in cinematografia trovasse subito lavoro, la gavetta era lunga e ci volevano anni prima di poter montare realmente un film, figuriamoci girarlo. George Senior si aspettava che il figlio sarebbe presto tornato all’ovile, pronto per il suo futuro nella cancelleria.
Ci tornerà molti anni dopo, per farsi dedicare una statua. Nella prossima puntata vi racconteremo come Godard, un po’ di furbizia, il diabete e Coppola lo aiutarono a proseguire nel suo cammino.