“1899”: se il Titanic avesse virato verso un trip esoterico
Con "1899" i creatori di "Dark" tornano con un nuovo mistero, più lineare del precedente ma carico di simbologia esoterica da decifrare
Pochi show del 2022 si portavano dietro un carico di aspettative così massiccio come 1899, la nuova serie creata da Baran bo Odar e Jantje Friese, ovvero la coppia di pazzi geniali che nel 2017 ci regalò Dark. Lo stile è indubbiamente il loro, e il risultato è un viaggio allucinante in bilico tra incubo, pazzia, raggiro e fuga verso la libertà, sebbene il fattore WTF sia decisamente più blando rispetto al lavoro precedente degli autori, con cui è pressoché inevitabile fare il paragone.
Per 1899 è stato infatti scelto un effetto sorpresa elaborato in maniera lineare, un capovolgimento di prospettiva improvviso (ma costantemente suggerito in maniera subliminale) che crea un momento shock di grande impatto ma anche di anti-climax. Alla complessa rete di collegamenti di Dark si è preferito un trucco, e neanche troppo originale, ma c’è una semplice soluzione allo smarrimento che ci assale a fine stagione: ripartire da capo per godere di tutti i piccoli indizi disseminati nelle prime sette puntate della serie.
È proprio con la seconda visione che si riesce ad apprezzare a pieno la cura con cui è stata costruita la scia di briciole di pane che conduce al finale, una scia che è più soddisfacente della conclusione stessa poiché basata su una selva di riferimenti esoterici divertentissima da decifrare. Non a caso la canzone dei titoli di testa della serie è una cover di White Rabbit dei Jefferson Airplane, il perfetto accompagnamento per una discesa nella tana del bianconiglio a caccia di simboli.
Da cui in poi non è più possibile parlare di 1899 senza svelarne il finale, quindi andate in pace o continuate avendo già scoperto il segreto!
Lo show si apre sulla nave Kerberos, un gigante che attraverserà l’Atlantico per portare i suoi quasi 1500 passeggeri dall’Europa a New York in cerca di lavoro, fortuna, familiari perduti, libertà o clemenza. Poco dopo la partenza, però, dall’oceano arriva un segnale, che pare provenire dalla nave gemella Prometheus, scomparsa nel nulla quattro mesi prima. Il contatto con l’imbarcazione perduta innesca una valanga di stranezze e di morte, condita con passaggi segreti nella memoria dei passeggeri, nuovi arrivati con congegni bizzarri, teorie del complotto e isteria, fino alla rivelazione. Maura e Daniel hanno costruito una simulazione per trasferirvi la coscienza del proprio figlio morente. Qualcosa è andato storto e adesso i due sono intrappolati in un loop insieme agli oltre mille partecipanti al Progetto Prometheus, che non si trova su una nave ma su una navicella spaziale nel 2099.
Ecco il segreto, niente di quello che abbiamo visto accadere prima del risveglio di Maura è accaduto nel mondo reale. Il che non significa che niente sia stato reale, perché uno dei dubbi più pressanti della serie è proprio quello sulla definizione di realtà. È veramente reale soltanto il mondo al di fuori di noi stessə, oppure il mondo diventa reale soltanto attraverso la nostra percezione ed elaborazione di esso?
I primissimi minuti di 1899 ci danno diversi indizi su ciò che ci attende. Se da una parte sceglie quindi di utilizzare uno stratagemma narrativo ormai collaudato, dall’altra non si risparmia nell’arricchire la storia con diversi livelli di lettura, con piccoli e grandi spoiler della conclusione, ma soprattutto con una vasta simbologia esoterica che fa passare in secondo piano lo svolgimento stesso delle vicende.
I primissimi minuti, dicevamo. Riguardo allo scontro tra materia e percezione, la voce di Maura ci dice subito da che parte sta: “Il cervello è più ampio del cielo” e poi “Il cervello è più profondo del mare”. La prima passeggera che conosciamo ha quindi qualche dubbio persino sul Mito della Caverna di Platone, perché nessuno può veramente assicurarci che ciò che stiamo guardando non siano soltanto ombre proiettate su un muro. Le navi, poi, Kerberos e Prometheus. Entrambe fanno riferimento alla mitologia, una a Cerbero, guardiano degli Inferi a tre teste, l’altra a Prometeo, colui che rubò il fuoco agli Dei e fu condannato alla prigionia in un loop di tortura. Ma non solo. Il Protocollo Kerberos ha anche a che fare con l’informatica, e qui citerò Wikipedia perché in materia sono poco affidabile: “è un protocollo di rete per l'autenticazione forte che permette a diversi terminali di comunicare su una rete informatica insicura provando la propria identità mediante l'utilizzo di tecniche di crittografia simmetrica”. Anche capendone poco suona piuttosto familiare. Infine, troviamo un indizio letterario. Sul comodino di Maura compare la prima edizione di The Awakening di Kate Chopin, uscito nel 1899 e storia di una donna intrappolata nel proprio ruolo di moglie e madre.
Ci troviamo quindi su una soglia, in prossimità di un confine inafferrabile tra realtà e simulazione, ma anche tra coscienza e subconscio, tra colpa e punizione, causa ed effetto. Sappiamo che Maura è la chiave per decifrare il mistero, la serie ce lo suggerisce immediatamente, come lo suggerisce a Maura stessa, che all’inizio brancola nel buio quanto noi, essendosi auto-condannata a un loop logorante in cui sceglie ogni volta di vivere nella finzione rifiutando la realtà, per imprigionarsi nel ruolo della madre in lotta contro la morte. Ciò che fa Maura con la sua simulazione non è infatti gestione del lutto, scienza o bioingegneria. Quello che fa Maura con le sue navi alla deriva è necromanzia.
Dopo aver dato vita a un mondo fittizio per sottrarre il figlio alla morte, Maura ne diventa prigioniera, abbandona la propria identità e il proprio dolore perdendosi tra drammi altrui ed enigmi, cercando inconsciamente di seguire le tracce da lei stessa lasciate verso il risveglio, dilaniata tra la dolcezza dell’oblio e il richiamo della realtà, come una Wanda Maximoff ottocentesca. Il custode della chiave è di nuovo il figlio Elliot, colui che attraversa la soglia tra vita e morte per guidare la madre fuori dalla caverna. Maura necromante attinge a piene mani da una tradizione simbolica ricchissima, partendo da uno dei grandi principi della filosofia ermetica, “as above, so below”, come in alto, così in basso. L’equivalenza tra macrocosmo e microcosmo, tra mente umana e universo, è a sua volta suggerito con le enigmatiche frasi inziali, “Il cervello è più ampio del cielo”, “Il cervello è più profondo del mare”, nonché dalla simbologia ricorrente della serie, ossessionata dai triangoli.
Il triangolo è infatti uno dei più famosi e importanti simboli alchemici utilizzati nell’iconografia degli elementi, che in 1899 popolano ogni elemento della messa in scena, dall’arredamento al costume design. Il simbolo più reiterato è quello del triangolo rivolto verso il basso e tagliato da una linea, la Terra, che graficamente contiene già tutti gli altri: rovesciato è Aria, senza linea è Acqua, rovesciato senza linea è Fuoco. Combinati o contrapposti, questi quattro elementi saltano fuori a ogni angolo grazie ad associazioni più o meno tradizionali. La piramide per esempio è legata al Fuoco, l’oceano all’Acqua, la nave all’Aria, la madre alla Terra. Ma anche la memoria traumatica dei passeggeri dà spunti di collegamento divertenti da individuare: Eyk ha il fuoco, Ling Yi ha l’acqua, Olek ha la terra.
Scoperto il trucco, potrete passare delle spassosissime ore a caccia di simboli alchemici nelle varie puntate, e probabilmente finirete anche voi per tornare all’elemento chiave, quello del simbolo più urlato dello show, ovvero la Terra. A lei sono legate le allegorie più evidenti di 1899: sotto terra è dove si nasconde e dove giace Elliot, la terra ferma è ciò che non si vede mai in prossimità della Kerberos, ma è anche ciò che non si vede dalla navicella spaziale del Progetto Prometheus, forse perché la Terra non esiste più, o perché è il luogo dove Maura sta tendando di tornare.
In sostanza, 1899 è divertente da vedere a più riprese, in gran parte grazie al suo castello di simboli. Il risultato può facilmente sembrare un esercizio di stile, che in effetti appiattisce il contributo dei singoli personaggi a favore di un gioco cerebrale che indebolisce l’impianto narrativo e si compiace del farci sentire intelligenti mentre risolviamo il mistero. Allo stesso tempo, la serie si fa innesco per la creazione di un viaggio parallelo e gemello a quello della Kerberos che ha luogo tutto nella nostra mente e che vi lascia un sedimento di curiosità, dubbio e meraviglia da non dare mai per scontato.