World of Warcraft Shadowlands: il mio ritorno a casa
I giochi come World of Warcraft non sono solo passatempi: sono luoghi che visitiamo e dove a volte torniamo, come il paese dove siamo nati.
Quando sei una liceale in piena tempesta ormonale e il tuo ragazzo annuncia di volerti mostrare una cosa meravigliosa nel seminterrato di casa sua, non ti aspetti di vederlo dirigersi alla scrivania, accendere il computer, e chiederti entusiasta di sederti. A meno che quella liceale non sia la me stessa di dieci anni fa: una trasandata adolescente sovrappeso che aveva conosciuto il suo primo amore su un gdr by chat di genere fantasy.
Com'era prevedibile, la “cosa meravigliosa” era un nuovo videogioco da lui scaricato. Un gioco dal titolo altisonante e dall'epica colonna sonora che mi accolse fin dalla schermata iniziale.
«Chi vorresti essere?» mi domandò, mentre faceva scorrere il cursore sulle varie classi disponibili. La mia fantasia correva veloce. Sarei stata una guerriera che difende i compagni? Una maga che infligge danni coi suoi incantesimi? O magari una sacerdotessa che cura gli alleati?
Non riuscivo a decidere, rapita dal design tematico di ogni archetipo.
«Qui puoi essere quello che vuoi».
Colma di curiosità gli chiesi cosa avesse scelto lui, e la risposta non tardò ad arrivare.
Poco dopo, sotto il mio sguardo meravigliato, un buffo e sconquassato velivolo con a bordo un nano armato di fucile, stava sorvolando una vallata che pareva sconfinata e respirava di vita propria.
«Il mezzo l'ho costruito io, con la professione di ingegneria».
Ma no, non fu quello il momento in cui capii di trovarmi al cospetto di un mondo dove tutto era possibile. Fu quando aprì la mappa.
Vidi la zona in cui si trovava il suo personaggio e pensai che fosse un vasto mondo di gioco.
Poi, con un semplice clic, la mappa del paese divenne la mappa di un continente, a sua volta pieno di paesi di ogni forma e dimensione.
Un altro clic, e il continente divenne un intero mondo, composto da più continenti.
Non riuscivo a immaginare nulla di più potente, ma lui cliccò ancora una volta, e il mondo divenne un universo con al suo interno altri mondi.
Quel giorno ebbe inizio la mia relazione più duratura: quella con World of Warcraft.
E non ho nemmeno dovuto conoscere i suoi genitori.
Ad oggi non c'è videogiocatore che non abbia mai sentito parlare dello storico MMORPG targato Blizzard Entertainment: un fenomeno che dal 2004 ha inglobato milioni di giocatori in tutto il mondo, arrivando a toccare picchi di 12 milioni di utenti attivi.
C'è chi lo ha provato alla sua uscita e ancora se ne vanta, chi lo accusa di avergli portato via gli amici, chi ci ha conosciuto la propria anima gemella, chi lo ha usato per socializzare abbattendo la barriera della timidezza, chi ha smesso di giocarlo e chi invece non ha smesso mai.
E io?
Come per molti altri, è una relazione intensa ma un po' altalenante, di quelle che ti fanno dire “stavolta non ci ricascherò”, ma anche “meno male che ci sono ricascato”.
Ho vissuto la fase dei pasti dimenticati per fare raid, degli innumerevoli tentativi ai boss che richiedevano più coordinazione, delle voci dei compagni di gilda tutto il giorno nelle orecchie su TeamSpeak, delle confidenze alle due di notte con l'ultimo di loro rimasto online.
Spesso, attorno a un fuoco.
La sensazione che provavo era quella di un porto sicuro e familiare, pieno di persone dalle quali mi sentivo non solo accettata ma persino ben voluta, desiderata, alle volte acclamata. Sebbene non sapessi quasi nulla delle loro vite, e loro della mia, sentivo il calore di una famiglia.
È risaputo che il punto di forza di World of Warcraft sia il senso di appartenenza a una comunità. La mia esperienza, in questo, è uguale a quella di moltissimi altri.
Ma cosa succede quando i legami si sfaldano, i compagni di avventure prendono strade diverse, e le meccaniche di gioco ridondanti cominciano a pesare somigliando ad un impegno?
Quello è il momento in cui ci si prende una lunga pausa di riflessione.
“Non sei tu sono io, ho bisogno di tempo per pensare” e tutte quelle cose là, fino al ritorno di fiamma che solitamente coincide con il lancio della nuova espansione di turno.
Solo che a me il ritorno di fiamma non è arrivato per un bel po', e la mia ultima pausa è durata quasi due anni.
Nemmeno una telefonatina ogni tanto.
Quando ti abitui alla lontananza da quel mondo, ti racconti che puoi farne a meno, che tanto è sempre la stessa storia e che non può coinvolgerti più di quanto non abbia già fatto durante i bei tempi andati.
Ammetto di averlo creduto davvero.
Ho pensato a lungo di aver definitivamente spezzato il cerchio e che non avrei più trovato un motivo per tornare a giocare, da sola, senza un gruppo di amici e nessuna voglia di cercarmene un altro. Mi sono sentita “troppo vecchia” per tuffarmi di nuovo in un'avventura come quella.
Così, nonostante l'annuncio di World of Warcraft - Shadowlands al Blizzcon del 2019, ho finito per disinteressarmi del fenomeno durante tutto il 2020, ignorando volutamente news, rumors e speculazioni.
“Stavolta non mi avrai. Con te è sempre la stessa storia”.
Naturalmente, mi sbagliavo.
Partiamo dal presupposto che le Shadowlands, nell'universo narrativo di WoW, sono un piano di esistenza parallelo dove confluiscono le anime dei caduti provenienti da ogni mondo: in altre parole, l'Aldilà.
Poniamo che qualcuno abbia deliberatamente provocato uno squarcio nel velo, rendendo possibile il passaggio tra i due piani di esistenza e sconvolgendo l'ordine naturale delle cose.
Una premessa del genere non può che indurre il giocatore – persino il più disinteressato – a porsi almeno una delle seguenti domande.
“Perché qualcuno dovrebbe squarciare il velo?”
“Cosa comporterà viaggiare tra un piano e l'altro?”
“Come reagiranno i personaggi storici della saga?”
“Sarà possibile incontrare le anime degli eroi che se ne sono andati nel corso degli anni, o dei nemici che i giocatori stessi hanno sconfitto in passato?”
E soprattutto, “come funziona questa sorta di vita dopo la morte?”
Del resto, è solo la domanda che l'uomo si pone maggiormente dalla notte dei tempi.
Così, a ridosso del lancio di Shadowlands, ecco che Blizzard sfodera il suo asso nella manica e fa quella cosa che ti piace con la lingua:
Ti ricorda che ha un team creativo della madonna.
Quattro meravigliosi cortometraggi tematici vengono quindi rilasciati sul canale ufficiale Youtube, a una settimana di distanza l'uno dall'altro, per dare ai giocatori un assaggio di ciò che li attende dall'altra parte.
Quattro corti per raccontare quattro diversi gironi in cui finiscono le anime, ciascuno con la propria gerarchia, la propria morale, il proprio scopo, e ovviamente, la propria estetica.
Nei suggestivi campi dorati del Bastione, i kyrian conducono un'esistenza votata al superamento della vita passata, in modo da raggiungere l'ascensione e assolvere al compito di prelevare le anime al momento della loro dipartita.
Tra le distese d'ossa e fango di Maldraxxus, i necrosignori trascorrono l'eternità combattendo per essere ricordati anche oltre la loro morte.
Sotto imponenti alberi senza tempo, a Selvarden, i silfi della notte preservano le anime più devote alla natura in attesa di farle rinascere a nuova vita.
Sulle rocche gotiche di Revendreth, i venthyr si occupano di far espiare i peccati alle anime macchiate dei crimini più orribili.
Manco a dirlo, a fine campagna il giocatore può scegliere per quale Congrega prestare servizio.
Ed ecco che ancora una volta viene sfruttata ad arte la dinamica dello schieramento, della ricerca di identità personale e del senso di appartenenza.
Affascinata da questi concept, la mia immaginazione è tornata a galoppare come non succedeva da molto tempo, ritrovandomi a fantasticare su quale Congrega avrei scelto in base alla personalità che ho sempre attribuito al mio personaggio.
Più guardavo le presentazioni e gli screenshots di quelle nuove spettacolari ambientazioni, più sentivo il desiderio di esplorarle. Perché forse mai come in questa espansione è emersa una direzione artistica capace di caratterizzare e infondere un'anima nel mondo di gioco.
Sarà che in fondo, quella di Shadowlands, è una storia che parla proprio dell'anima.
La mia, ancora una volta, ho finito per venderla alla Blizzard, e al lancio ufficiale della nuova espansione ho preso parte anche io.
Tra momenti epici e altri ancora più epici.
E così, quasi senza rendermene conto, ero tornata a casa.
Presa come non mai, con la sensazione di star giocando uno story-driven grazie ad un nuovo sistema di quest perfettamente integrate nella trama, ho potuto godermi un'esperienza di gioco fluida, leggera, a tratti ironica e autoironica, ma non per questo frivola.
Durante il tortuoso viaggio nell'Aldilà, le vicende narrate portano il giocatore – come un novello Dante Alighieri – a riflettere sui diversi temi che caratterizzano i quattro gironi: dal superamento del passato, all'eternità della gloria, alla natura come allegoria della rinascita, a quanto costi perdonare se stessi.
Nell'ambientazione la cura per i dettagli è tale che, per una appassionata di occulto come la sottoscritta, una delle attività più stimolanti è stata andare a caccia di chicche e piccoli riferimenti alla cultura esoterica...
Trovandone.
E qui arriviamo a quello che personalmente reputo il cuore pulsante di World of Warcraft.
Al di là dell'Aldilà (eheheh) e di tutte le riflessioni filosofiche da esso sollevate nel corso della trama, il vero protagonista di questa esperienza è un altro.
Seguitemi.
Venite con me mentre varco il portale indicato dalla main quest e mi ritrovo in un luogo conosciuto ma mai dimenticato: Ice Crown, la Corona di Ghiaccio, dove anni fa ho faticosamente sconfitto insieme ai miei compagni uno dei villain più celebri di sempre. Una battaglia così intensa che meriterebbe un posto nel curriculum vitae, mi dico, o più probabilmente è solo la nostalgia di quei momenti a farmela ricordare così.
Ma c'è qualcosa di catartico nel tornarci dopo tanto tempo.
E nel farlo da sola.
È come se il gioco mi sussurrasse: “ma guardati, guarda quante ne hai passate dall'ultima volta che hai messo piede qui”.
E io trascorro diversi minuti aggirandomi senza meta per la zona, accantonando momentaneamente la quest, per studiare i piccoli dettagli cambiati nel corso degli anni e soppesare silenziosamente il passato e il presente.
È come guardarmi allo specchio.
Per un lungo istante ho la sensazione che questo mondo così caro e familiare, in lenta ma costante evoluzione, non sia altro che una rappresentazione della vita.
Una sensazione che si ripresenta ancora e ancora, avvolgendomi ma senza stringermi, con la dolcezza di un vecchio amico. O di un vecchio luogo.
Il vero protagonista del mondo di Warcraft, è il mondo stesso.
Lo capisco una sera, quando per un banale errore di valutazione mi ritrovo a corto di quest e mi vedo costretta a joinare un dungeon per guadagnare i punti esperienza necessari al proseguimento della storyline di Selvarden.
Mettersi in coda per un dungeon come dps e farlo la sera tardi è una mossa disperata che richiede tempo, lo si sa.
Così, nell'attesa, mi metto a vagare per la zona, abbandonando il sentiero e inoltrandomi nella fiabesca vegetazione, per il puro gusto di esplorare.
Un passo dopo l'altro, mi lascio alle spalle qualunque giocatore intento a viaggiare di qua e di là per le missioni, raggiungendo meandri del bosco che non avevo ancora mai visto.
Scorgo in lontananza delle enormi radici di fronte a una gigantesca struttura a cupola e decido di avvicinarmi per capire di cosa si tratti.
Mi guardo attorno, poi capisco.
Sono spalti di un teatro.
Un teatro per gli spiriti della natura, nascosto agli occhi dei più, nel mezzo di una radura incantata.
Ed è tutto per me.
Mi dirigo istintivamente verso il palco.
Il mio sguardo si posa sugli spalti davanti a me, sul posto d'onore riservato alla Regina, ora vuoto.
Ci sono soltanto io.
Mi metto a danzare senza un motivo particolare, sapendo che nessuno mi vedrà.
Danzo per me stessa, per celebrare il momento, e mi sento felice.
Perché in fondo ne ho fatta di strada, da quando guardavo il mio ragazzo giocare nel seminterrato.