"Giovinette": il calcio femminile sotto il fascismo
Federica Seneghini scrive "Giovinette", un romanzo storico che ci parla del calcio femminile e dei suoi difficili esordi nell'era fascista.
"Giovinette" di Federica Seneghini è un romanzo interessante, da poco uscito per l'editore Solferino.
La Seneghini, giornalista per il Corriere della Sera, narra una vicenda molto interessante: la storia del primo nucleo del calcio femminile in Italia. Il sottotitolo, "Le calciatrici che sfidarono il Duce", è forse un po' enfatico: infatti non emerge tutta questa sfida nel corso della narrazione, molto fedele ai fatti storici. Il titolo, invece, è molto appropriato, e rimanda a quel "Giovinezza", inno della goliardia torinese fatto proprio e riscritto nei testi dal fascismo.
Certo, le giovani calciatrici vengono almeno in parte da famiglie antifasciste: ma il fulcro del loro agire è semplicemente la voglia di giocare. Il calcio, infatti, ha assunto sotto il fascismo una importanza propagandistica cruciale. Serve come distrattore sociale, sostituendo la stampa sportiva, nelle discussioni, alla politica o alla cronaca nera. Serve per catalizzare le rivalità campanilistiche dando loro la nuova veste del tifo sportivo. Con molte altre attività sportive, è utile preparazione a un inquadramento pre-bellico della gioventù. Infine, i successi calcistici sono una ottima propaganda per la nuova Italia. L'Italia fascista ne vince due, nel 1934 e nel 1938. Un successo poi ripetuto dall'Italia democratica di Pertini, nel 1982, e nel 2006, in un Belpaese già percorso dai primi segni della crisi che sarebbe poi esplosa sempre più.
Siamo nel 1933, l'anno dell'alleanza col regime hitleriano, quando il fascismo accelera la china autodistruttiva che, nel 1938, porterà alle leggi razziali (e, nel 1940, alla disastrosa guerra mondiale al seguito dell'alleato nazista). Il romanzo documenta bene l'ondivaga posizione del regime rispetto alla caparbia richiesta delle giovani e determinate calciatrici. La donna è vista dal regime principalmente come madre, e si teme infatti (piuttosto irrazionalmente, in base alle conoscenze dell'epoca) che il calcio ne possa inibire la fertilità.
Tuttavia, il culto dello sport fa sì che la richiesta delle calciatrici trovi in parte sponda nel regime, e sia consentito loro di giocare, sia pur con molte limitazioni: a porte chiuse, senza pubblico, e con una divisa scomoda, con una gonnellina al posto dei pantaloncini più comodi dei maschi, pericolosamente rivelatori. Inoltre, la fascia di età era circoscritta ai 15-20 anni.
Alla fine, però, l'esperimento genera troppi malumori in alto, e Storace - sotto pressione dell'ostilità del CONI - decide di porvi fine, facendo riorientare le ragazze più promettenti presso altri sport. Il prediletto sport femminile è la pallacanestro (nel dopoguerra sarà la pallavolo), per l'assenza di contatto fisico, ritenuto disdicevole come espressione di "maschia violenza".
L'esperimento di quegli anni '30 rimase a lungo un caso isolato: solo nel 1946, con la fine del regime, riprese un calcio femminile, che nel 1968 confluì in una federazione riconosciuta ufficialmente solo nel 1986 (sulla scorta dei successi di Bearzot?). Ma intanto, anche nella cultura pop anni '80, si erano codificati implicitamente i ruoli di genere prevalenti, anche tramite gli "spokon", gli anime nipponici di argomento sportivo (giunti da noi nel 1978): calcio per i maschi, sulla scia di Holly e Benij, del 1983 (o, per i puristi, Capitan Tsubasa), pallavolo per le femmine, con "Mimì e le ragazze della pallavolo" (1969) e "Mila e Shiro" (1984). Curioso che invece il capostipite calcistico, "Arrivano i Superboys" (1970) non abbia attecchito da noi (a differenza del modello pallavolistico femminile).
Un immaginario in seguito proseguito coi videogiochi, come abbiamo indagato qui su Nerdcore.
Completano il volume alcuni approfondimenti storici, che contestualizzano meglio il romanzo e permettono di avere un primo quadro delle origini del calcio italiano femminile. Un'opera dunque piuttosto interessante, che permette di conoscere meglio un fenomeno tuttora un po' ignorato, ma che merita di indagare sia per la sua valenza autonoma, sia per capire meglio la mentalità dell'Italia dell'epoca fascista. Un volume che potrebbe essere anche consigliato come un approfondimento didattico storico, specie in un liceo sportivo o, comunque, per gli allievi appassionati o praticanti di calcio.