Negli anni ’80 gli sviluppatori avevano un solo pensiero in testa: portare le donne nelle sale giochi.
No, non per i motivi che pensate voi, ma perché avevano capito che tra videogiochi e maschi si era già creato un legame destinato a non morire mai, la vera sfida era affascinare l’altra metà del cielo e trasformare il settore da nicchia a vero fenomeno culturale di massa.
“Le donne con la loro presenza rendono ogni posto migliore — mi disse in un’intervista Tohru Iwatani, creatore di Pac Man — per questo volevo creare qualcosa che le portasse a entrare nelle sale giochi”.
Anche Fukio Mitsuji era della stessa idea, per questo motivo pensò a un gioco puccettoso, non violento e che fosse possibile giocare in due, così magari potevi coinvolgere la tua ragazza, invece di farla annoiare mentre finivi i gettoni.
Per il design di alcuni personaggi Mitsuji si ispirò a un vecchio gioco Taito: Chack’n Pop, in cui un pollo deve recuperare un cuore in ogni livello lanciando bombe a mano contro i nemici. Non fate domande, pensate solo che roba buona doveva girare negli uffici Taito in quegli anni.
Nell’agosto del 1986 Bubble Bobble arrivò in sala giochi e fu un successo incredibile per un motivo molto semplice: ha dentro di sé tutti gli ingredienti dell’arcade perfetto.
La meccanica di gioco base è innovativa, elementare e geniale: un draghetto spara delle bolle che possono essere usate per arrivare in punti inaccessibili della mappa o imprigionare e uccidere i nemici. Ogni livello si esaurisce nello schermo e non dura mai più di qualche minuto, dando un senso di varietà continua e facendoti venire voglia di sapere cosa c’è dopo lo schema in cui sei morto. Il carico da 11 è la musichetta ossessiva e orecchiabile che se l’ascolti oggi ti ritrovi in un bar a chiedere di cambiare 5000 lire in pezzi da 200.
Altra differenza era l’essenza “pacifista” e inclusiva di Bubble Bobble, che veniva fuori dopo il finale, quando credevi di essere un giusto perché avevi terminato il gioco da solo e ti appariva la scritta “Giocaci con un amico per scoprire il vero finale!”. A quel punto molto meno pacifista era la tua reazione. Uno dei primi giochi dell’epoca, dunque di sempre, in cui la cooperazione era più importante del singolo, un titolo che promuoveva l’amore e l’amicizia (sempre per il discorso delle donne in sala giochi). Questo lo ha portato ad essere anche il primo videogioco con finali multipli e una conclusione vera e propria. Non male per un’epoca in cui al massimo ti appariva la scritta THE END, il gioco continuava all’infinito oppure crashava.
L’idea di cooperazione pacifica è un concetto atipico per un settore che in quegli anni proponeva alieni da sterminare, cattivi da picchiare, palazzi da far crollare. Double Dragon ti obbligava addirittura a sconfiggere il tuo migliore amico se volevi finire il gioco, una roba che rischiava seriamente di compromettere la vostra politica di giocattoli vicendevolmente prestati.
Non che all’epoca ce ne fregasse qualcosa eh? Per noi Bubble Bobble era semplicemente il titolo perfetto per quando avevi una moneta che ti ballava in tasca, quello che prima ancora di Moby Dick ci ha insegnato il terrore di una balena bianca, in cui si faceva a gare per prendere i frutti giganti che cadevano dall’alto alla fine del livello, dove sparavi bolle contro il muro per migliorare il punteggio e ad ogni partita ti ripetevi che quella era la volta buona in cui beccavi il livello segreto.
Già, i segreti, sapevate che se finivi i livelli 20, 30 e 40 senza mai morire si sbloccavano porte segrete che portavano in schemi pieni di gioielli e suggerimenti su come ottenere il vero finale del gioco? E che se i punteggi dei giocatori erano identici nelle ultime due cifre, alla fine del livello si ottenevano bonus più grandi?
L’eredità di Bubble Bobble è immensa, quasi tutti i giochi successivi in cui due personaggi devono eliminare dei mostri livello dopo livello gli devono qualcosa. Ha gettato le basi per un altro gran titolo, Rainbow Island, e per uno spin-off forse persino più famoso dell’originale: Puzzle Bobble, altro gioco copiatissimo che riuscì realmente a portare un sacco di ragazzine in sala giochi. Un vero peccato che del codice originale del gioco si siano perse le tracce negli anni ’90. D’altronde ve l’ho detto, mi sa che in Taito girava roba buona.
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