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Una lunga e personale analisi di Episodio 9 - L'ascesa di Skywalker e di Star Wars in generale

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Gli scontri, gli errori, le emozioni che mettono la parola fine alla saga degli Skywalker e una riflessione più in generale su Star Wars

Questo articolo dedicato a Episodio IX - L'Ascesa di Skywalker è ovviamente pieno di spoiler, di sicuro lo te lo aspettavi, ma io ti avviso comunque.

Il primo pensiero mentre scorrono i titoli di coda è che, finalmente, è finita. Anche se fa male, anche se di dispiace, anche se con questa fine finisce una piccola parte di te. “Finalmente” non tanto per il risultato finale, ma perché le storie senza una conclusione restano sempre in tensione, perdono qualcosa, come una parabola senza morale.

Certo, fra due anni potrebbero tranquillamente mostrarci Rey che addestra bambini e Finn che si esercita per diventare Jedi (se vi chiedete cosa stesse cercando dire, sappiate che voleva rivelare di essere sensibile alla Forza) ma facciamo che per adesso è finita davvero. Anche perché con la morte di Ben Solo la dinastia degli Skywalker è finita e di lei rimangono solo benevoli fantasmi della Forza.

 

Ma inutile negarlo, il senso di sollievo è legato anche al fatto che finalmente ci siamo messi alle spalle un’operazione confusa, difficile e che cercava in qualche modo di sollevare un gigantesco peso emotivo di milioni di persone con una leva a volte troppo corta, a volte troppo basata sui consigli di Reddit e dei “veri fan”, grandissima piaga di questi ultimi trent’anni, per spostarlo verso un pubblico nuovo, più ampio, più giovane.

Il risultato finale è molto simile a quello di un’amicizia a lungo termine: inizialmente c’è stato un rapporto profondo, fraterno, che ha gettato le solide fondamenta in cui sono sprofondate tutte le cose meno piacevoli che la memoria ha cancellato.

Poi è arrivata una fase più adolescenziale, di ricerca, di delusioni e sperimentazioni che oggi ricordiamo con un po’ di imbarazzo, ma senza negare i momenti epici.

Infine, l’età adulta, in cui il tuo vecchio amico da una parte parla per bocca di manager che si muovono solo dopo aver visto i sondaggi e dall’altra ti ricorda che ehi, tu sei cresciuto, ma lui parla ancora a una generazione di ragazzi e se nel mondo molte bambine si vestono orgogliose come Rey forse non è tutto da buttare no? Non è che magari sei cambiato pure tu?

Lasciamo perdere il “cinema” però, Star Wars è una saga che ha iniziato a scricchiolare dal secondo episodio, riuscendo a mescolare momenti imbarazzanti e scene epiche come se niente fosse. In questo non c’è niente di nuovo. Nel frattempo, è cambiata la percezione della saga, è cambiato il modo in cui i film si fanno e si scrivono, è cambiato il modo in cui il pubblico li recepisce (ma neanche troppo, a leggere alcuni giudizi degli anni ’80). Paragonare i primi con l’oggi vi rende solo dei vecchi tromboni, aggrappati a un modo di valutare le cose che non esiste più.

E se proprio vogliamo essere onesti, il giochino di trovare le incongruenze e le cose che non funzionano potrebbe ritorcervisi contro in una saga dove si parte nascondendo da Anakin Skywalker il figlio Luke Skywalker senza manco cambiargli il cognome.

E questa ultima trilogia, al netto di tutto ciò che non ha funzionato (chi ha detto “Canto Bight”?) assume proprio le sembianze di un commiato tra vecchi amici. Episodio VII è stato il ritrovarsi, Episodio VIII il rendersi conto di essere differenti, Episodio IX è la scusa precipitosa è il “no ti prego davvero scusa, non volevo, abbracciamoci, salutiamoci, piangiamo assieme e vogliamoci bene, nonostante la Federazione dei Mercanti, gli Ewoks, Haiden Christensen, la gag dello scherzo telefonico, il ferro da stiro e tutto il resto, vogliamoci bene, superiamo il male, chiudiamo guardando assieme due soli che tramontano”.

E quando qualcuno si scusa e cerca di ricordarti quanto vi volevate bene la scelta sta a te. O accetti o volti le spalle. Io ho accettato, ma se avete deciso di voltare le spalle nessuno ha il diritto di dirvi che non va bene.

Iniziamo dunque a parlare di Episodio IX, L’Ascesa di Skywalker.

 

Ancora tu? Non dovevamo vederci più?

Il film parte proprio col ritmo di uno che si vuole scusare di qualcosa e parla velocissimo per non darti tempo di obiettare. E visto che l’Imperatore ce lo siamo giocato nei trailer per far salire un po’ di hype tanto vale dare per scontato che abbia già un forte peso nella vicenda e che tutti gli diano peso anche senza averlo realmente visto e senza che ci sia stata data la possibilità di capire in che modo si è manifestato. 

Lo devo dire, quel “I morti parlano!” nella scritta iniziale mi ha fatto aggrottare le sopracciglia così tanto che si sono sovrapposte.

Il problema di questo ritorno di Palpatine (e più in generale del Primo Ordine) è legato soprattutto al fatto che i film dovrebbero guidare la narrazione e le opere di contorno fornire puntelli narrativi dedicati soprattutto a chi vuole andare più a fondo, non essere quasi fondamentali per evitare uno spaesamento

La saga letteraria di Aftermath di Chuck Wendig e Bloodline di Claudia Gray sono incentrate su ciò che accade dopo la distruzione della seconda Morte Nera e l’attivazione della “Contingenza” ovvero un piano dell’Imperatore per distruggere le rimanenti forze dell’Impero, colpevoli di non averlo protetto adeguatamente, alcuni pianeti ribelli e nascondere un gruppo di fedelissimi nelle regioni dell’Orlo Esterno grazie alla guida dell’Ammiraglio Thrawn, che ci è nato, e alcuni osservatori imperiali, tra cui quello di Jakku. 

Sono libri in cui i rituali sith sono molto più presenti rispetto alla saga principale e in cui si paventa già l’idea di un ritorno dell’Imperatore (che a dire il vero Lucas aveva scartato e pure Johnson non vedeva possibile, ma ormai siamo in ballo e balliamo), ma non possiamo chiedere al grande pubblico di leggersi pagine di roba o recuperare le voci su Wookiepedia per capire ciò che sta succedendo e analizzare la nascita del Primo Ordine, che tra l’altro è un’affascinante metafora di come il male e il totalitarismo siano sempre pronti a tornare non appena qualcuno dei presunti “buoni” è solo uno che ha cambiato casacca al momento giusto in una situazione di amnistia generale.

Partire “in media res” è una cosa che poteva andare bene per il primo film, dove non sapevamo assolutamente niente, ma oggi non è più una strategia applicabile, soprattutto in una trilogia che sembra voler replicare la prima, poi no, poi sì, poi ti devi leggere i libri per capire bene tutto. 

E quindi è inevitabile che l’Imperatore sembri un pezzo quadrato infilato a forza in un buco triangolare da un bambino arrabbiato per eliminare quanto fatto con Snoke ed è anche difficile crederti se mi dici che era da un po’ che ci pensavi, a meno di non aver letto i libri.

C’è poi la questione della discendenza. L’idea che la Forza fosse qualcosa di democratico e non di "lignaggio" era molto bella, renderva Rey un personaggio ancora più interessante, democratico, di tutti, ma Star Wars nel suo cuore fantasy è soprattutto una lotta di famiglia, di sangue e di dinastie che tiene sullo sfondo un conflitto galattico. 

L’idea che Rey sia nipote di Palpatine e cerchi di andare contro un destino che la trascina verso un futuro di distruzione e dominio ci sta, la rende più forte, più indipendente, la rende coerente con i temi della saga. In questo modo si può anche giocare visivamente con il suo abbigliamento, tradizione storica della saga, che nel ritorno su Ahch-To mostra un cappuccio molto “imperiale”, ma bianco.

Però, porca puttana, se c’è una nipote di Palpatine c’è anche un figlio, che può avere una storia tutta sua e di cui vorrei saperne di più. Non dico la scena in cui Palpatine conosce la signora Palpatine e figliano ma dammi degli appigli narrativi, altrimenti l’effetto “toppa di Topolino sui jeans strappati” è ancora più forte e scema tutta l’emozione di quello che doveva essere un momento in stile “Io sono tuo padre”. Ma poi vista la "morte di Palpatine questo figlio quando è nato? Con chi? Domande che rimarranno fastidiosamente in sospeso fino al prossimo libro o fumetto che spiegherà qualcosa.

Di nuovo assieme

Un aspetto positivo di Episodio IX è stato riunire Poe, Finn e Rey. Lei da sola funziona bene, perché ogni Jedi ha un momento di ricerca e solitudine, ma loro due erano l’anello più debole di Episodio 8, personaggi in cerca di uno scopo che finivano per fare cose inutili così da giustificare la loro presenza. 

Tolti gli orpelli secondari, tipo Rose, i tre assieme funzionano, si scambiano battute, si aiutano, si punzecchiano, anche nelle scene su Kijimi che viaggiano a metà tra i serpentoni di Conan e le parti più fanciullesche della seconda trilogia. Poe è l’azione, Finn viaggia sull’archetipo di quello pauroso e che si lamenta mentre Rey è la risolutrice, ma anche il personaggio mistico che li mette nei casini. Ottima la spalla comica di C3PO che in questo film si fa carico di gran parte della comicità, come è giusto che sia, evitando la raffica di battute di Episodio 8. 

Kijimi è anche il luogo dove viene messa in scena la finta morte di Chewbacca e anche se sul momento sono stato felice che fosse ancora vivo, a posteriori mi rendo conto che forse vederlo morire per mano di un errore di valutazione di Rey sarebbe stato narrativamente importante e avrebbe evitato il suo utilizzo come personaggio di sfondo nel resto del film. 

Ma d’altronde non è neppure l’unica finta morte di questo film, tale possiamo considerare anche la perdita di memoria di C3PO, che però almeno ha il pregio di inserire Babu Frik, personaggio comico azzeccatissimo. Siamo di fronte all’ennesimo segno di una grossa mancanza di coraggio e di voglia di dare valore al senso di sacrificio necessario per la creazione di una narrazione epica. 

La rinnovata utilità di Poe e Finn si rivela anche nel fatto che finalente riceviamo qualche informazione sul loro background, sul passato oscuro del primo e sul collegamento con altri Stormtrooper del secondo.

 

Attenti a quei due

E se è vero che tanto è stato messo sotto il tappeto di Episodio 8, per fortuna ciò che è rimasto è il rapporto tra Rey e Kylo. Una tensione che resta fortissima e viaggia continuamente tra il proibito, il sensuale e what if. Se non fosse che per ora non fanno parte del canone, sarebbero entrambi, soprattutto Kylo, una buona rappresentazione dei cosiddetti “Jedi Grigi”, personaggi che viaggiano al limite tra i due lati della forza, dominando tecniche di entrambe le discipline e rifiutando l’incasellamento in una delle due fazioni. 

Uno ying e uno yang che non vogliono imposizioni dal passato, soprattutto Kylo, che proprio nella rabbia di voler contare qualcosa senza l’aiuto degli altri basa gran parte della forza di quello che è senza dubbio il personaggio più riuscito del gruppo. Vuoi perché simbolo proprio di una gioventù schiacciata dal peso del passato che cerca un suo spazio nel mondo, vuoi per l’abilità di Adam Driver, capace di aggiungere sempre più gravitas, pathos e spessore al personaggio, dando intensità a ogni sguardo e ogni battuta ma senza dimenticarsi una fisicità esplosiva e quasi bestiale. 

Personalmente ho molto apprezzato il loro legame mentale, il loro essere “diade nella forza”, fatto di oggetti che possono essere manipolati nello spazio, caratteristica che si rivelerà una vera e propria Pistola di Chechov per il finale e che è la chiave della bella sequenza che culmina con lo scontro in cui viene distrutto il piedistallo della maschera di Vader. Tuttavia gli scontri, nonostante la sontuosa messa in scena del duello sui resti della Morte Nera, non mi hanno convinto del tutto. 

Negli anni Star Wars è passato dal kendo e dalla staticità della prima trilogia, utile per venire incontro al fisico di Alec Guinness, al Wuxia, al dinamismo e alle coreografie della seconda (con l’eccezione di Dooku, che la usa la sua spada come un fioretto). Nella terza invece c’è sempre stata la tendenza a uno stile che definirei “medievale”, in cui le spade laser, normalmente leggere e aggraziate, parevano aver acquisito un peso e una gravità che portava a scontri movimentati, ma poco dinamici. 

Se escludiamo il breve ma bellissimo duello tra Kylo e Luke, che strizza l’occhio al chanbara e all’essenzialità dei movimenti dei samurai, in tutti gli altri casi abbiamo Rey che pur essendo esperta di combattimento all’arma bianca la usa come se fosse una sbarra di ferro (e questo mi sta bene quando è solo una raccoglirottami) e Kylo che, complice la forma, brandisce la sua come una claymore e ha uno stile basato tutto sulla potenza e l’uso dell’elsa che ben si evidenzia nello scontro contro le guardie di Snoke.

Il combattimento che si conclude col ferimento di Kylo poteva essere ancora più epico, invece quella lentezza lo rende a tratti quasi ridicolo, poco sensato per due guerrieri ormai abbastanza addestrati, soprattutto per quanto riguarda Rey. A causa di scelta stilistica manca sempre qualcosa, quel qualcosa che in tre episodi non ci ha mai dato uno scontro veramente soddisfacente, caratteristica che in un modo o nell’altro salvava  sempre i prequel, tanto che oggi anche ripensando a L’Attacco dei Cloni dici “però dai, c’è quella scena nell’arena”. Sospetto che molti boccino questa terza trilogia anche perché gli è mancato un duello che li abbia fatti innamorare.

Vecchie conoscenze

Ripescato anche per mancanza di ulteriori vecchie glorie da rimettere in pista, Lando vive la sua esperienza nel film in totale controtendenza rispetto agli altri vecchi, ma coerente col suo personaggio ne Il Ritorno dello Jedi: ride e fa saltare in aria cose. Al di là di questo, porta con sé un messaggio importante, un modo di agire un po’ “all’antica”, senza le ansie della gioventù: la battaglia è impossibile, il nemico sembra fortissimo ed è ciò che vuole farti capire, per questo ti getti comunque a testa alta nello scontro, è semplicemente ciò bisogna fare, è ciò che è giusto fare, per chi ci crede e per mostrare al potere che forse non è così forte. È l’ultimo rimasuglio di una vecchia guardia che tutto sommato non è ancora da buttare.

L’altra vecchia guardia e l’ennesimo rimangiarsi la parola è Luke. La mia idea è che Hamill abbia imposto un riscatto per il Luke triste di Episodio 8 e onestamente posso dire che, anche se piacione e compiacente, quel momento mi sta bene così. Quante volte ci rendiamo conto di aver sbagliato col nostro atteggiamento disfattista, magari proprio quando ormai è troppo tardi? Beati i Jedi che almeno possono tornare e metterci una pezza.

Il risultato finale è fin troppo autoindulgente e bonario ma anche qua non vedo niente che non fosse già presente nel cuore della saga: il riscatto, il momento di buoni sentimenti un po’ imbarazzanti, il trionfo rappresentato da un’astronave che viene tirato fuori dall’acqua.

La scena che cambia tutto

Parlando di vecchie conoscenze, fa veramente strano vedere Carrie Fisher morire e venire celebrata sullo schermo come Principessa Leila. E per “strano” intendo “male, di un male straziante e doloroso per una persona che in vita sua non ha avuto un percorso facilissimo e che nel ritorno di Star Wars aveva ritrovato una forza e una dignità che gli erano sempre appartenute"

Purtroppo, credo che parte del problema di Episodio IX sia stato anche perdere prematuramente una figura che sarebbe dovuta crescere ulteriormente proprio al suo interno. Forse avremmo avuto un momento di reale passaggio di testimone con Rey, magari avremmo visto il suo addestramento e i suoi insegnamenti, avremmo avuto qualche ricordo più concreto del suo addestramento e non solo una brevissima sequenza in CGI che pare uscita dalle console della scorsa generazione. 

Vederla tornare alla Forza da una parte fa riaffiorare il dolore, dall’altra è il saluto che ci voleva e che si lega (stranamente) bene con l’unica vera grande sorpresa di Episodio IX: il momento tra Han Solo e Kylo Ren, anzi, il momento in cui Kylo ritorna Ben. 

In cuor mio ho sempre pensato che avessimo accantonato Han Solo troppo presto, che quel suo momento finale meritasse qualcosa di più, anche qua siamo di fronte a un ciclo che si chiude e se Ben è destinato a seguire il cammino di Vader, con tanto di redenzione e sacrificio finali, rispetto a suo nonno può almeno congedarsi in un modo che molti vorrebbero fare: parlare coi ricordi. 

Han non torna come fantasma della Forza, non può, ciò che vediamo non è lui, a meno che il sacrificio di Leila non abbia permesso una sorta di apparizione del suo spirito, ciò che vediamo è la rimozione di un trauma e il ritorno al lato chiaro. Le battute iniziali sono lo specchio del momento in cui Han è morto, ma il finale stavolta è diverso.

Sono pochi minuti splendidamente mostrati in poche inquadrature che passano gradualmente dal campo lungo ai primi piani, accorciando le distanze emotive, ma sono essenziali per elevare il film. Han è spogliato di ogni sbruffonaggine, resta solo il padre archetipico, quello che ti supporta, che ti ricorda la tua forza, ma che sa che devi farcela da solo, che è al tuo fianco anche quando non c’è più.

Ben è improvvisamente piccolo, prima spavaldo, poi quasi piagnucolante, ma allo stesso tempo diventa finalmente adulto, ovvero una persona capace di guardare i propri errori e trovare in essi la capacità di cambiare. 

È un momento profondo, anche nei non detti, che diventano un’occasione per far emergere ancora una volta quel “lo so” improvvisato da Harrison Ford molti anni fa, quando aveva smesso da pochissimo tempo di essere un carpentiere. 

L’emotività non deve entrare nel merito di una valutazione, ma mentirei se non dicessi che questa scena fa scalare molte posizioni a Episodio 9 nella mia classifica personale e che conferma Kylo tra i personaggi più belli della saga. Quella scena mi parla, parla a ogni figlio che non può più dire niente a suo padre, che non può chiedergli consiglio, non può mostrargli i propri successi o condividere gli insuccessi, parla di ogni litigio che non avresti voluto far esplodere.

Là dentro ci sono tutti i padri e tutti i figli, così come nel sacrificio di Leila ci sono tutte le madri.

Per anni abbiamo adorato la spensierata spavalderia di Han Solo, ci nascondevamo nella sua sicurezza, quel mezzo sorriso, quel tono di chi sembra sempre ti stia fottendo mentre credi ti stia facendo un favore. Eppure, c’è sempre stato del buono in lui, lo sapeva Leila e lo sapevano quelli a lui vicini, ma non lui. In quell’ultimo intenso sguardo, in quel “ti voglio bene” non detto ma recepito troviamo infine un uomo capace di ispirare gli altri non solo col coraggio, ma con la tenerezza di un padre.

Tra tutti i cocci incollati dentro Episodio 9, questo è quello che brilla di più.

Gran finale

Nei corsi e ricordi di Star Wars il finale riprende ovviamente quello de Il Ritorno dello Jedi, con l’Imperatore trionfante che mostra a chi lo sfida la disfatta dei buoni, cercando di spegnere gli ultimi barlumi di speranza. C’è tanto di buono negli ultimi minuti, c’è uno scontro epico, una cavalleria che arriva per l’ennesima volta all’ultimo minuto e ci emoziona, di nuovo, c’è Ben Solo e il suo gesto di soddisfazione quando finalmente si trova una spada tra le mani, c’è il barlume dell’epica oscura che circonda i Sith, c’è tutto ciò che serve per concludere la saga coi fuochi d’artificio, per un finale da incidersi nelle cornee col laser.

La sensazione che stia per arrivare qualcosa di epico supera i livelli di guardia quando sentiamo le voci di Jedi famosi del passato: Qui-Gonn Jin, Yoda, Mace Windu, Obi Wan, persino Anakin! Dall’altra parte invece Palpatine sentenzia di essere “Tutti i Sith” mentre Rey risponde che lei è “Tutti i Jedi”. È il momento della verità.

Io non vorrei essere quel tipo di fan che pensa di avere idee migliori di chi ha scritto il film, perché è una china pericolosa, ma adesso lo farò. Potevamo vedere i Jedi del passato sorgere e combattere contro i Sith del passato, potevamo vedere i duellanti trasfigurarsi nei personaggi del passato fendente dopo fendente… e invece ciò che ci resta è uno sconto finale debole, con forti echi di Harry Potter, in cui Rey frigge Palpatine tenendo due spade incrociate.

Questo per me è il più grande errore di un film che aveva preparato tutto per un finale incredibile e poi si è tirato indietro, come un’auto da corsa che romba ai nastri di partenza e poi sbaglia a staccare la frizione. Poteva essere il gol in rovesciata con cui chiudere tutto e invece no. Torniamo sempre là, salvo rari casi, quasi tutti in Episodio 8, a questa trilogia sono mancati i duelli epici. 

Ma ci si potrà pensare solo quando si accenderanno le luci del cinema, perché prima c’è il giusto sacrificio di Ben, sancito da un bacio liberatorio, vero, che mescola affetto, passione e sollievo. Personalmente mi aspettavo che Ben sarebbe morto dal momento in cui è stato curato, il suo scopo era aiutare Rey a essere migliore, restituendole poi il dono ricevuto e chiudendo il cerchio con suo nonno. Mi è sembrato un momento dolcissimo e umano da parte di due personaggi che non sono mai stati come gli altri volevano, che non seguvivano le regole del passato, due giovani coraggiosi, anche quando sbagliavano, che hanno affrontato di tutto e decidono di suggellare il loro trionfo in un gesto umanissimo e con sorrisi da incorniciare.

 

 

E poi quel ritorno a Tatooine, dove tutto è iniziato, con quei due soli, così alieni e così familiari, mentre due spade scendono nel terreno, chiudendo un sipario di sabbia e mostrandoci una spada gialla ricca di significati.

Non solo il giallo vuole essere un colore diverso dal blu e dal verde, per segnalare l’inizio della storia di Rey come Jedi, non solo l’elsa è ricavata dal suo vecchio bastone, ma alle spalle c’è un significato più profondo e troppo preciso per essere casuale.

Il giallo è il colore delle sentinelle Jedi, una di loro era Bastila Shan, personaggio di Old Republic che aveva un forte legame con Darth Revan, sith recentemente diventato canon che ha la particolarità di essere uno dei pochi redenti dal Lato Oscuro. Guarda caso proprio come Ben Solo. 

Il cerchio della Forza

Nonostante le iconoclastie di Episodio 8 (che, ricordiamo, sono frutti della visione di Johnson ma totalmente approvate da chi poi l’ha fatto fuori ed è tornato indietro, ovvero la Kennedy) e le avventure della trilogia prequel, Star Wars sprigiona la sua forza quando ripercorre i suoi cicli narrativi, ampliandoli, cambiandoli, autocitandosi. Se pensate che sia irreale ricordatevi che la storia è quasi sempre ciclica, fatta di grandi ritorni, di recuperi, di solchi, di figure e di archetipi che citano e si rifanno al passato. 

In questi giorni JJ Abrams ha detto che chi ha amato questo capitolo ha ragione come chi l’ha odiato, perché è impossibile accontentare tutti. È un pensiero che si può estendere a tutta la trilogia e, se guardiamo bene, a tutta la saga, se solo riuscissimo a scollarci di dosso la visione quasi dogmatica dei primi capitoli. 

Certo, i primi erano girati con un’altra mano e un’altra consapevolezza, ma parliamo di una storia che fin da subito naviga a vista, dove Darth Vader doveva essere Boba Fett, dove tutto doveva partire da Mace Windu, dove abbiamo scoperto i Midichlorian e poi li abbiamo dimenticati, in cui si cerca di nascondere Luke Skywalker da Anakin Skywalker senza manco cambiargli il cognome e in cui un Jedi con la cappa marrone riesce tranquillamente a passeggiare in giro per la Morte Nera senza che nessuno lo incroci in un corridoio. 

Questa terza trilogia ha sbagliato molte cose, soprattutto nella visione generale, nel non sapere gestire con serenità il peso delle aspettative e nell’aver detto tutto e il contrario di tutto pur di venire incontro ai “veri fan”, gestendo ogni film in base a come andavano i sondaggi su Reddit di quello precedente. Dare retta ai fan è sempre un grosso errore, meglio sbagliare con quello che si ha che fare bene con un’idea ostaggio di una moltitudine ondivaga. Altrimenti si finisce a dare retta alle idee tipo quelle di Mark Hamill, che all’epoca de Il Ritorno dello Jedi aveva suggerito a Lucas che la madre di Luke e Leila dovesse essere… Boba Fett. 

Chi ha definito questo film come un’opera kintsugi, un coccio rotto e riparato con venature d’oro per dargli nuova bellezza, come il casco di Kylo, ha senza dubbio ragione. Per me un’altra grande metafora è l’Imperatore, attaccato a macchine che ne garantiscono la sopravvivenza, che blatera cose come quel vecchio simbolo di potere che è. Roba che se Rey avesse risposto con “Ok Boomer” mi sarei alzato a battere le mani. 

Non vi è piaciuto? Vi capisco, al di là degli errori oggettivi c’è sempre un peso soggettivo che attribuiamo a ogni momento. Anche perché non ho ancora capito se il “vero fan” è quello che tutto sommato ama o quello che esige qualcosa che sia conforme alla sua passione e conoscenza della materia.

Eppure, anche stavolta ho trovato l’emozione, la meraviglia, la commozione, la bellezza di ciò che vedevo sullo schermo, i brividi di una colonna sonora che ogni volta mi porta lontano, l’epica di un grande racconto, i sentimenti che cercavo, che parlavano ai miei traumi. 

Non è stato un sentimento esplosivo e dirompente, ma qualcosa di più raccolto, come una vecchia foto in cui ci sei tu da piccolo e tuo padre ti tiene la mano durante una passeggiata, tu sorridi felice all’obiettivo e anche lui sembra sereno. L’emozione di ritrovare qualcosa che non c’è più, che se n’è andato, che ti sta salutando per l’ultima volta, ma che sarà sempre con te.

 

Questo articolo fa parte della Core Story dedicata a Star Wars e alla fine della saga degli Skywalker.

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