STAI LEGGENDO : The Legend of Zelda: un videogioco per amico

The Legend of Zelda: un videogioco per amico

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Un videogioco non è mai solo un videogioco quanto questo si lega, indissolubilmente, alla vita di chi lo gioca quando diventa... importante.

Eccolo, è arrivato The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom , il seguito dell’ottimo Breath of the Wild, sono uscite le recensioni, la gente ne parla, sperimenta o e io vivo una sorte di strana malinconia perché vivo Zelda in modo particolarmente strano, quasi morboso.

Non sono mai riuscito a dirmi se è un buon rapporto quello che c’è fra me e la Leggenda, so solo che c’è e che me lo devo tenere così com’è vivendo sempre, ogni nuovo capitolo, in questo limbo malinconico a cui non so dare un senso.

Ecco, The Legend of Zelda è un videogioco che ha avuto l’onere di far parte dei momenti più importanti e particolari della mia vita legandosi, in modo indissolubile, a dei ricordi che si sono attaccati in modo permanente nella mia memoria riaffiorando ogni qualvolta qualcosa che riguarda la serie mi colpisce.

E me ne accorgo più forte che mai a qualche settimana dall’arrivo del nuovo capitolo che mi ha spinto a portare a termine Breath of the Wild. Già, non lo avevo mai finito e per sei anni mi sono raccontato una bugia. Una bugia gigantesca.

Sono arrivato al castello di Hyrule e ho salvato li davanti. Non volevo finirlo perché non volevo lasciarlo andare”. E mi raccontavo, e raccontavo, questa storia con così tanta convinzione da averla fatta reale: io non avevo finito Breath of the Wild perché non avevo voglia di finirlo, perché con i titoli di coda sarebbe “finito”.

E fino a qualche settimana fa questa bugia era ancora la prima cosa che raccontavo parlando dell’ultima fatica di Aonuma. Poi ho deciso di finirlo perché, insomma, se esce un seguito non ha più senso dire di non volerlo finire, no?

Così riavvio il mio salvataggio con Link in piedi davanti ad un cavallo in uno stallaggio. Un cavallo nero. Trota.

Immediatamente sento un vuoto attorno a me e ritorno al momento preciso in cui abbandonai la mia avventura ad Hyrule.

Incominciai Breath of the Wild assieme ad una delle relazioni più importanti della mia vita con una persona che mi ha cambiato radicalmente nel mio modo di essere generando quello che sono io oggi.

Ci tenevo molto al fatto che lei giocasse Breath of the Wild perché per me Zelda è sempre stato importantissimo e volevo condividere con lei questo pezzo così importante di me. Quel cavallo lo prese lei, che amava i cavalli. Gli diede quel nome e io lo conservai nella stalla (non era un granché come cavallo Trota).

Poi ci lasciammo e non fu una cosa piacevole. Mi lecco ancora quella ferita quando mi capita di pensarci. E io lasciai Link, fermo, li a vivere in eterno quei momenti con lei che nella mia vita non c’era più.

E così Hyrule rimase senza un eroe a salvarla perché quell’eroe era troppo occupato a preservare un momento che non volevo finisse con dei titoli di coda perché non avevo la forza di chiudere quel capitolo della mia vita che mi ha segnato così tanto.

Certo, dopo 4 anni abbondanti di relazione con un’altra persona avrei potuto tranquillamente lasciare andare quel cavallo e compiere il mio dovere nei confronti del regno ma… me ne ero dimenticato, così impegnato a nutrire quella stupida idea che mi ero fatto del mio abbandono.

E così, concludendo Breath of the Wild, mi ritrovo a pensare ai motivi per cui The Legend of Zelda è così importante per me.

E torno agli anni delle scuole medie, quando io e la principessa ci incontriamo per la prima volta fra i banchi.

Un amico aveva una copia di Oracle of Seasons e Oracle of Age che noi, ingenuamente, avevamo ribattezzato Zelda Rosso e Zelda Blu (perché di Pokémon non ne avevamo mai abbastanza). Fu amore, istantaneo.

E ricordo che in quel periodo della mia vita ogni sabato noi (io e mia sorella) andavano a dormire dai miei nonni. Un sabato di quel periodo, quando conoscevo Din e Naryu, non ci andammo. Solo qualche giorno più tardi scopriamo che nonno, quella che forse è la persona più importante della mia vita, è morto ammazzato.

E il mondo mi stava crollando sotto i piedi. A tendermi la mano quell’avventura che mi distraeva continuamente da quella cosa così grossa e pensate che mi stava succedendo intorno.

Era solo l’inizio di un intreccio, quello della mia vita e di Zelda, che avrebbe scandito ogni tappa o evento importante della mia esistenza.

Esiste ancora un salvataggio, sulla mia Wii, ad esempio, di Skyward Sword con il nome “Gnegna”, di proprietà della mia prima relazione.

Comprai per la prima volta Wind Waker quando nacque il mio fratellino e il gioco arrivò in ritardo (era una copia acquistava su eBay) giusto per esserci quando lui entrò nella mia vita.

E via discorrendo. Tears of the Kingdom arriverà durante uno dei periodi più bui della mia vita, il secondo dopo mio nonno, che sta vedendo il progressivo avvicinarsi di altre due perdite importanti.

Con me, e Giulia, ci sarà ancora una volta Hyrule per qualche strano allineamento planetario.

Una “magia” che non riesco a spiegarmi se non con “certi videogiochi capitano quando devono capitare”. Perché sì, a volte nella vita succedono cose che non sappiamo definire, così grandi e imponenti che abbiamo bisogno di aggrapparci, inconsciamente a qualcosa.

Quel qualcosa per me è stato un videogioco, uno di quelli di cui non so mai parlare male e di cui non mi stancherò mai. Uno di quelli che mi porterò dietro in eterno perché è il nostro tacito accordo: non mi accadrà mai niente di importante senza uno Zelda accanto, o forse, più semplicemente quando qualcosa di importante sta per accadermi cerco Zelda in ogni cosa ed è tutto solo una grandissima storia di equivoci.

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