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Turbo Kid — La recensione

Turbo Kid è l’esempio di ciò che succede quando metti una cinepresa in mano a una generazione cresciuta coi film, le serie tv, i giocattoli e le pubblicità degli anni ’80 e ’90. I tre registi, François Simard, Anouk Whissell e Yoann-Karl Whissell non hanno infatti nascosto il fatto che Turbo Kid sia una lettera d’amore ai film che li hanno più emozionati durante l’infanzia e quindi non stupisce che il risultato sia un ottovolante lanciato a tutta velocità nella mente di un over-30.

Turbo Kid ammassa così tanti riferimenti risalenti alla cultura degli anni ’80 che ci vorrebbe un hangar per contenerli tutti. L’arma più importante è un guanto potenziato che ricorda il Power Glove della Nintendo e spara raggi come Megaman. C’è un robot che segnala la propria energia con i cuoricini di Legend of Zelda, ci sono le BMX, la carta nei raggi della bici per fare rumore, massime degne del Kobra Kai, un cubo di Rubik, le diapositive del ViewMaster, ci sono i cereali che si chiamano Soylent Green,Indiana Jones che fa a braccio di ferro con Mola Ram e ogni inquadratura sembra un quiz enigmistico in cui scovare citazioni.

La colonna sonora è composta da Le Matos, un duo di dj franco-canadesi chiaramente affascinato dai film e i cartoni animati di almeno 20 anni fa. Tutto il film è quindi accompagnato da un sapiente mix di canzoni pop-rock motivazionali e sintetizzatori degni di Moroder.

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Chi ha capito almeno la metà di quanto scritto sopra, amerà Turbo Kid, lo amerà molto più di quell’operazione tutto marketing e zero sentimenti di Kung Fury, sempre che riesca a trovarlo. Stranamente pur avendo collezionato recensioni positive un po’ ovunque, questa pellicola a oggi non ha ancora un distributore italiano. Anche se a quanto pare da oggi dovrebbe essere disponibile su iTunes, almeno quello americano.

La storia è semplice: la Terra è stata devastata dalle piogge acide, i pochi sopravvissuti lottano tra loro per l’acqua potabile, nessuno usa più le auto e tutti si muovono in bici. In questo mondo orribile vive un ragazzo senza nome e senza genitori che in sella alla sua BMX saccheggia tutto ciò che può per scambiarlo con l’acqua e i fumetti del suo idolo: Turbo Rider, un supereroe che uno stile a metà tra i cartoni giapponesi e i giocattoli di Capitan Power (ve li ricordate?). Il ragazzo è un solitario che vive di espedienti e ricordi, totalmente isolato dal resto del mondo e che cerca solo di andare avanti senza problemi. Ovviamente però il destino ha in serbo per lui qualcosa di molto diverso.


A sconvolgergli la vita ci penserà Apple, una ragazza ingenua, completamente pazza, creata ispirandosi palesemente a Jem e le Holograms e alle teste di bambola da truccare che erano così popolari trent’anni fa. I suoi occhi sbarrati sembrano totalmente impermeabili alla bruttezza del mondo che la circonda, adora tutto ciò che incontra (“Saccheggiare? Io adoro saccheggiare!”) e ha un entusiasmo che ricorda molto il cane di Up. Apple è probabilmente uno dei personaggi migliori del film nonché uno dei pochi che non recita come se facesse parte di un action movie a basso costo. A lei sono affidati i risvolti più comici eadolescenziali della trama ed è perfetta nel controbilanciare lo splatter e la violenza che occupano gran parte delle scene.

Come poi vuole la tradizione, ogni apocalisse ha il suo regnante che in questo caso si chiama Zeus, ha la faccia e il carisma di unMichael Ironside e sintetizza tutti gli stereotipi del super cattivo privo di empatia, ma ricco di frasi a effetto.

Zeus, soprannominato così perché ogni tanto indossa la maschera del dio greco, è un sadico contornato di scagnozzi pronti a tutto che controlla il territorio gestendone le riserve d’acqua attraverso un perverso procedimento che preferiamo non svelarvi. Quando si annoia, fa combattere i suoi uomini migliori contro chi osa contraddirlo o chi ha la sfortuna di trovarsi solo per strada.


Ed è proprio così che Zeus incrocia il suo cammino con quello del giovane protagonista che sarà costretto a strappare Apple dalle sue grinfie.

Il capo dei suoi tirapiedi è Skeletron, anche qua il nome non può che ricordare allo storico nemico di He-Man, un tizio muto e pieno di tic che indossa la maschera di un teschio e ha un’arma che spara seghe circolari. Al suo comando c’è un esercito di folli vestiti come se avessero saccheggiato nell’ordine un ferramenta, un negozio di materiali sportivi e un museo, creando una sorta diibrido tra i Cavalieri dello Zodiaco e una squadra di hockey.

Con queste premesse Turbo Kid si sviluppa lungo una trama tutto sommato non banale, anche se ogni tanto soffre qualche calo di ritmo, e racconta una storia insospettabilmente dolce, a tratti romantica, in cui gli spruzzi di sangue non hanno niente da invidiare a Kill Bill e dove le (volontariamente) ridicole scene splatter sono perfette per un sabato pomeriggio al cinema con gli amici tirandosi popcorn.


Ciò che differenzia Turbo Kid dalle solite operazioni nostalgia senz’anima e acchiappa-hipster è l’amore. L’amore per un’epoca, per il cinema di puro intrattenimento, per le serate d’estate in cui non c’era niente alla tv e Italia 1 passava Notte Horror, per i film della Troma, per il Sega Megadrive. Turbo Kid è una satira che non manca di rispetto, un pastiche pieno zeppo di riferimenti visivi e sonori che non nausea mai e che scioglierà il vostro cuore nostalgico… oppure ve lo strapperà dal petto.

Pubblicato originariamente su WIRED.

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