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The Last of Us - recap del primo episodio

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In When you are Lost in the Darkness sono subito evidenti le familiarità e differenze tra serie tv e videogioco, resta immutata la qualità.

Ed ecco qua, primo episodio della serie dedicata a The Last of Us e primo spazio di analisi e confronto per descrivere il cammino di una serie che si porta un gran peso sulle spalle, cercando di capire assieme come serie tv e videogiochi possono raccontare la stessa storia in modo diverso.

Ovviamente ci saranno SPOILER.

Le differenze si contano già nei primi minuti: se il gioco partiva subito raccontando l’ultima giornata di Sarah e il giorno in cui il mondo viene devastato dall’infezione, la serie parte con un finto talk show degli anni ’60 in cui due esperti parlano di pandemie e uno preconizza la possibilità di un’infezione di funghi in grado di alterare la nostra mente. L’infezione sarebbe impossibile per le differenze di temperatura tra il corpo umano e certi funghi ma cosa potrebbe succedere se il mondo diventasse un po’ più caldo e i funghi si abituassero?

Se il videogioco, uscito nel 2013, era un mondo prepandemico e tutto sommatomeno consapevole anche del riscaldamento globale, dieci anni dopo certi temi sono assolutamente centrali e questo inizio, recitato con voce calma da John Hannah serve a metterci nei panni del pubblico di quel talk show, ma con la nostra consapevolezza. Serve a metterci subito in uno stato di tensione consapevole, giusto prima della sigla.

La serie, a differenza del gioco, è ambientata nel 2003, a differenze del gioco che era ambientato nel 2013, questo vuol dire che gli eventi della serie avvengono nel 2023. Perché questa scelta? Secondo Mazin serve a tenere la serie più aderente al reale, sia come tempi che come estetica, permettendoci furbescamente di avere dei cimeli dei primi anni 2000 a ricordarci il mondo che fu. D’altronde proprio di questi tempi è iniziato il recupero nostalgico di quel periodo.

Il giorno in cui tutto finì

Proseguiamo, come nel gioco col punto di vista di Sarah, ma se il gioco ci metteva quasi subito nei suoi panni per sperimentare i terribili momenti che precedono lo scoppio globale della pandemia, la serie si prende decisamente più tempo per mostraci il suo rapporto con Joel, permettendo a Pascal di mostrare tutto il suo lato più umano, tenero, di un padre amorevole ma distratto da un lavoro che succhia via tutte le sue energie. Il cambio di periodo storico permette anche di agganciare Joel e il fratello a Desert Storm, mostrandoci quindi l’epica del veterano che già prima dell’infezione portava con sé i suoi demoni (e un certo tipo di addestramento).

Questo è interessante perché nei giochi tendiamo a dare per scontato che il nostro personaggio sia abile nel combattimento, oppure il suo addestramento viene spesso risolto nei tutorial, qua invece il gancio che rende Joel un uomo adatto alla sopravvivenza nasce nel suo passato, ma anche se vogliamo nel suo essere un carpentiere, un uomo pratico, che sa fare le cose, ma anche una persona che non riesce a essere il padre che vorrebbe e che dovrebbe essere per sua figlia.

 

Ma sto divagando, seguiamo invece Sarah che va a scuola, che saluta i vicini, che va a riparare l’orologio di Joel (nel gioco ne compra uno nuovo, e credo che la scelta della serie sia più interessante). Qua è evidente la differenza nel modo in cui un gioco e una serie raccontano le cose: il gioco è molto più focalizzato su un solo ambiente e pochi personaggi, sia per non perdere subito l’attenzione del giocatore sia perché è una scelta economicamente più sensata.

La narrazione del gioco avviene attraverso cose che troviamo in giro (ma che possiamo anche ignorare) quella della serie dev’essere ovviamente molto più raccontata e può prendersi spazi differenti, facendoci empatizzare con Sarah mentre attorno a lei si costruisce lentamente una tensione che avvertiamo solo con la coda dell’occhio. La scena con la signora anziana che si contorce alle spalle di Sarah è terribile, ma possibile solo in una serie, perché in un gioco ci saremmo girati subito.

 

Quando Sarah torna a casa e dà il suo regalo a Joel le due narrazioni si avvicinano, per poi separarsi di nuovo. Nel gioco stiamo usando un personaggio che non ha alcuna abilità di combattimento mentre attorno a noi sembra scatenarsi un pandemonio di esplosioni, cani che abbiano, sirene e una casa buia da esplorare. A un certo punto arriva Joel, uccide un infetto che entra in casa e inizia la fuga.

Il gioco è molto più focalizzato su un solo ambiente e pochi personaggi, sia per non perdere subito l’attenzione del giocatore sia perché è una scelta economicamente più sensata.

Nella serie Sarah torna in casa dei vicini per mostrarci la signora anziana che ha ucciso tutti mentre i tentacoli del fungono escono dalla sua bocca. Quella dell’assenza di spore è una delle differenze più grandi rispetto al gioco, una differenza che rende forse un po’ meno “scientificamente fondata” l’infezione da cordyceps ma che si lega a un bisogno tipico delle serie tv: mostrare il più possibile i volti degli attori. Mazin e Druckmann hanno anche spiegato che il pubblico di oggi è molto più consapevole dei dispositivi di sicurezza; quindi, avrebbero dovuto girare tantissime scene con le maschere per evitare di sembrare ridicoli, da qui il cambio di infezione.

 

Un compromesso a cui, tutto sommato, possiamo abituarci e che, a conti fatti, non intacca più di tanto la narrazione, anzi, in teoria aggiunge l’idea che questi tentacoli connettano tutti gli infetti, creando una rete micellare che li allerta anche a lunga distanza.

Da qui in poi la narrazione della serie tv si sovrappone quasi del tutto a quella del gioco, riprendendone anche molte inquadrature e sappiamo tutti come va a finire il prologo. Un dettaglio importante, qua Joel sembra molto più deciso nelle sue azioni: sparare, uccidere, fare tutto ciò che serve per andare avanti. La serie ci dice in modo palese, ma sottile “Joel era già un tizio non messo benissimo di testa e pronto a fare ciò che va fatto in situazioni tese”.

Vent'anni dopo

Ciò che troviamo vent’anni dopo ci mostra ancora una volta le differenze tra videogiochi e serie tv e la possibilità delle seconde di spaziare molto di più con punti di vista laterali. Il gioco parte da Joel che si sveglia dall’ennesimo incubo, introduce subito Tess, ci fa fare un giro nella zona sicura per poi farci combattere un po’ e permetterci di prendere dimestichezza col sistema di controllo.

 

La serie parte lontana, da un bambino infetto che viene ucciso con una iniezione senza troppe cerimonie a un punto di controllo, per poi mostrarci Joel che fa un turno di lavoro tra quelli che bruciano i corpi degli infetti. In un momento vagamente Schindler’s List rivediamo il corpo del bambino, una donna non vuole buttarlo nella pira, non se la sente, Joel sì. Joel non ha più sentimenti.

Joel è anche un contrabbandiere che fa affari un po’ con tutti in una zona di quarantena che assomiglia quasi a una zona di guerra, con la gente che viene impiccata e le persone che barattano di tutto per ciò di cui hanno bisogno. La serie è molto più netta e disturbante nel mostrarci subito gli orrori della legge marziale, non ci sono mezze misure. Ed è anche molto più netta nel mostrarci Joel come qualcuno che va temuto, uno che se si incazza può ammazzarti senza troppi problemi.

 

Però se nel gioco la spietatezza di Joel cosa la capiamo da come uccide a sangue freddo il tizio che gli ha fregato le armi, nella serie per il momento quella violenza è quasi trattenuta, per creare maggiore aspettativa. Qua tra l’altro non servono armi, ma una batteria per andare a cercare il fratello di Joel, che è sparito. Il messaggio della serie è chiaro: per Joel la famiglia e i legami sono così importanti da rischiare la vita là fuori.

Per farcelo capire scopriamo Tess, una ottima Anna Torv, di cui scopriamo fin da subito il carattere duro e sprezzante. Grazie a Tess abbiamo anche uno scorcio di ciò che fanno i Fireflies in città e dei loro attentati, mentre nel gioco erano solo esplosioni lontane. E scopriamo anche che il rapporto con Joel, simboleggiato da quell’abbraccio mentre dormono, è qualcosa di più di un semplice legame di “lavoro”. Ci abbiamo sempre pensato, ma la serie, che ha tempo, ce lo dice.

 

Ed ecco Ellie, che nel gioco ha un rapporto amichevole con Marlene, mentre qua è una prigioniera molto incazzata, che deve costantemente dimostrare di non essere sul punto di diventare un mostro. E se nel gioco ci sono molte scene d’azione che collimano nello scontro con Robert e il successivo incontro con Marlene e Ellie, qua è tutto molto più fortuito e forse anche più scorrevole. Robert è stato ucciso per aver tentato l’ennesimo inganno, qualcuno deve portare fuori questa bambina e quel qualcuno saranno Joel e Tess che hanno un disperato bisogno della batteria e sono ingolositi dalla ricompensa.

the last of us

Superiamo la parte in cui Joel ed Ellie costruiscono il loro non-rapporto a base di battute e smorfie per arrivare a un punto molto importante. Siamo alla fuga, nel gioco Joel ha già ampiamente ucciso un sacco di gente, qua invece il gruppo viene scoperto dallo stesso soldato con cui Jole ha fatto affari. Ellie lo accoltella prima che scopra la sua infezione con un dispositivo che abbiamo già visto. In teoria la scena è quasi uguale a quella del gioco, solo che là ci sono due soldati senza volto e solo che qua Joel non reagisce aiutando subito Ellie ma c’è un momento di stallo in cui il fucile è puntato su di lui, Ellie è dietro, protetta, in un gesto istintivo.

 

Nella testa di Joel questo momento si connette con la morte della figlia e in un impeto di rabbia uccide a mani nude, non sparando, un militare. Il volto contorto dalla rabbia, Ellie che lo guarda, le luci dei fari che li sfiorano, con la pioggia e il fango che rendono quello scenario ancora più primordiale. È la prima volta che vediamo Joel uccidere qualcuno nella serie.

the last of us

 

Nel videogioco diamo per scontato fin da subito di doverlo fare perché la grammatica videoludica mainstream impone ritmi molto più serrati e dà per scontata la capacità del nostro personaggio di uccidere, senza dare troppo peso a quelle uccisioni. Qua le cose sono diverse, almeno per adesso, una singola morte pesa più di tutte quella cui il gioco ci aveva già desensibilizzato. Quello che nel gioco era un semplice momento di passaggio per mostrarci che Ellie è immune diventa l’evidenza di un uomo rotto, violento, capace di tutto.

 

Il viaggio può finalmente iniziare, sulle note di Never Let me down again, un codice da Bill e Frank che non fa presagire niente di buono, mentre i fulmini ci mostrano l’iconica immagine dei grattacieli di Boston in rovina l’uno sull’altro.

the last of us

Quello che più mi ha stupito di questo primo capitolo, da giocatore, è l’intensità con cui comunque si vivono gli snodi della storia, pur conoscendoli. L’impressione è quella di rivivere qualcosa che si è abitato, ma ancora più da spettatori, adesso molto più consci del fatto che il gioco sì, ci fornisce un corpo da abitare, ma per come è strutturato ci fornisce anche scelte molto relative su quel corpo.

 

Se nel gioco ogni nostro errore, in teoria, spezza la narrazione con un game over, nella serie quel rischio se ne va è resta soltanto la narrazione, resta la sensazione di vedere persone che hai conosciuto molto bene, con cui hai vissuto, che rivivono la medesima storia. Sembra quasi di trovarsi di fronte a un reperto di persone conosciute un tempo e ora lontane, che vivono una storia dall’esito scontato e doloroso, eppure, in uno strano giro di nostalgia, una storia che vogliamo rivivere per l’intensità di ciò che ci ha lasciato.

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