STAI LEGGENDO : The Binding of Isaac: Four Souls è un esperimento riuscito

The Binding of Isaac: Four Souls è un esperimento riuscito

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The Binding of Isaac Four Souls è un buon esempio di trasposizione in gioco da tavolo da un videogioco: l'unico dubbio è il target.

Ogni volta che qualcuno mi chiede qual è il mio videogioco preferito non ho mai troppi dubbi nel rispondere The Binding of Isaac, e i motivi li potete trovare “riassunti” qui dove vi spiego anche perché dovreste proprio lasciarvi travolgere da tutto quello che Edmund McMillen è riuscito a creare con il suo “piccolo” gioco.

 

L’autore, però, che non riesce a fermarsi mai, ha sempre cercato di evolvere il mondo di Isaac e di portarlo anche al di fuori del videogioco stesso e fra box mensili contenenti gadget particolari e affini ha deciso di portare la sua creatura anche sul tavolo dando vita ad un gioco di carte piuttosto particolare il quale è stato, finalmente, pubblicato in Italia da Ms Edizioni sia nella sua scatola base che nella sua espansione, Requiem.

 

Il gioco, è bene dirlo fin da subito, non è per tutti per via delle tematiche messe in scena dal videogioco e dall’art-design che seppur estremamente gradevole alla vista potrebbe far discutere i giocatori più sensibili a certi temi.

Ma come si traspone un videogioco come The Binding of Isaac in un gioco da tavolo? Di esempi di passaggio dal virtuale al fisico ne abbiamo a bizzeffe fra Dark Souls, Bloodborne, Fallout e così via con risultati più o meno riusciti.

 

The Binding of Isaac: Four Souls (e la sua espansione Requiem) fa parte di quella via di mezzo molto particolare, che o la ami o la odi senza mezzi termini. E il “problema” di questa dicotomia questa volta è da ricercarsi nel target: a chi sta parlando questo card-game?

 

Four Souls è un gioco competitivo (o cooperativo a seconda della modalità con cui si gioca) che vede 2 o più giocatori (la modalità in singolo prevede che un giocatore controlli due personaggi) affrontare i classici mostri del mondo di Isaac per collezionare delle anime. Il primo che ne colleziona quattro ha vinto la partita.

 

Il gameplay, così come il setup, sono piuttosto semplici: ci sono tre (o quattro se si utilizza l’espansione) mazzi di pesca. Quello dei mostri/eventi, quello dei bottini, quello dei tesori e, in caso di utilizzo di Requiem, quello delle stanze.

 

Ogni giocatore parte con un personaggio randomico e il suo oggetto attivo di riferimento (Isaac con il D6 e così via), dal mazzo dei mostri si rivelano i primi due e lo stesso vale per i tesori. Poi vengono distribuite tre carte bottino e tre monete a tutti i giocatori, e la partita può iniziare.

La struttura di un round è molto standard: il giocatore attivo pesca un bottino, può giocare una carta bottino (due esaurendo il proprio personaggio), attivare i propri oggetti pagando il costo necessario o esaurendoli tutte le volte in cui è possibile farlo, comprare tesori (10 monete a tesoro selezionabile fra i due visibili o uno coperto) o attaccare (un solo attacco per turno salvo carte che modificano la regola) uno dei due mostri visibili oppure il primo coperto nel mazzo.

 

Gli oggetti possono essere di vari tipi: oggetti che restano davanti al giocatore che possono dare effetti passivi o attivi ed oggetti di singolo utilizzo che permettono il guadagno di risorse (statistiche temporanee o monete).

 

Un mostro invece ha una vita, un valore di elusione che rappresenta il numero da equiparare o superare con il lancio di un d6 per poterlo colpire e un valore di danno che infligge al giocatore che non riesce a colpirlo. In più possono avere effetti passivi che si attivano quando prendono danno, vengono sconfitti e via discorrendo.

L’attacco è un duello mortale: una volta ingaggiato il mostro si continua a combattere finché lui o il giocatore non sono morti. Dovesse morire il mostro il giocatore guadagna le ricompense specificate dalla carta (bottino, tesori, monete e, in caso di boss, anime), dovesse morire il giocatore questo rende inattivi tutti i suoi oggetti, ne “rompe” uno che non porta la dicitura “eterno”, scarta un bottino e perde una moneta.

 

È interessante sottolineare come durante il turno di un giocatore, qualora si avesse la possibilità, è possibile giocare altre carte che possono aiutarlo o intralciarlo nel suo turno creando una vera e propria pila di effetti che si risolve come nel più classico Magic: l’ultimo effetto ad essere lanciato è il primo ad essere risolto.

 

Il regolamento, infine, incoraggia i giocatori a scambiarsi favori al costo di monete che possono essere rispettati o meno, come succede nei più classici giochi di diplomazia e contrattazione.

 

Questo è, a grandi linee, il gameplay offerto da The Binding of Isaac: Four Souls al netto di eccezioni e varianti qua e la che è piacevole scoprire esplorando il gioco partita dopo partita (esattamente come per il suo corrispettivo virtuale).

 

E se da una parte abbiamo un gameplay piuttosto rodato, funzionale e funzionante dall’altra abbiamo una scatola piuttosto povera di materiale: il gioco richiede spesso l’utilizzo di segnalini che la scatola non fornisce richiedendo al giocatore di arrangiarsi come può. Allo stesso tempo le monete e le carte sono di una qualità altissima lasciando il giocatore piuttosto confuso sulla qualità finale della scatola di gioco a cui sarebbe bastato poco, molto poco, per essere perfetta.

Perché, dunque, il suo principale problema è il target di riferimento? Perché non è molto chiaro a chi il gioco sta parlando: è molto semplice nelle meccaniche e nelle interazioni ma allo stesso tempo richiede una buona dose di concentrazione per innescare effetti e combo fra gli oggetti, offre un buon punto di partenza strategico ma è tutto deciso da un d6, è molto facile da assimilare ma è molto difficile da vincere (i mostri sono, senza mezzi termini, molto forti e i personaggi molto deboli).

 

Insomma sembra parlare continuamente a due gruppi di pubblico molto differenti: i giocatori più da party game alla Munchkin e quelli un po’ più navigati nel genere, continuando a sovrapporre i due gruppi senza soluzione di continuità.

 

Infine parla, ovviamente, a chi viene dal videogioco e in quello riesce senza alcun dubbio nel suo intento: il feeling è piuttosto simile, l’art-design è meravigliosa e la resa generale è veramente ottima rappresentando un must have per chi ha macinato migliaia di ore a schivare sangue e combattere con le lacrime.

Ma stiamo parlando di un gioco da tavolo che seppur in piena crisi di identità sa divertire: ecco, se la compagnia è ben assortita e si ha voglia di perdere (perché si perde senza motivo), si ha voglia di passare interi turni a non far niente (una delle mie partite sono morto letteralmente all’inizio di ogni turno) ma passando qualche ora in piacevole compagnia allora è un buon titolo da proporre per riempire la serata.

 

L’aspettativa non deve essere né quella del gioco “caciarone” né quella del gioco estremamente serioso: è semplicemente un gioco che prova a divertire riuscendo nel suo intento e tanto basta per poterlo promuovere senza pensarci troppo.

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