

Split Fiction, definire i videogiochi con l'ingenua meraviglia
Split Fiction è l'ennesima grande prova di maestria di Hazelight Studios, portandoci in un viaggio impossibile tra fantascienza e fantasy.
Fares l'ha fatto di nuovo, poco da dire. Se stavate cercando una conferma su quello che è il valore qualitativo del nuovo titolo di Hazelight Studios, denominato Split Fiction, vi dico già da ora che è un capolavoro, addirittura superando il precedente It Takes Two che, a mio giudizio, era perfetto. Lasciatemi però indugiare un attimo e seguitemi nel ragionamento. Del resto, è difficile azzeccare la perfezione due volte, eppure è stato ripetuto un miracolo produttivo, realizzando uno dei migliori giochi attualmente sulla piazza a prescindere dal punto da cui lo si guardi, se poi guardiamo alle esperienze strettamente cooperative si può tranquillamente affermare che ne sia il capostipite, la quintessenza del couch coop ad alto potenziale.
Potrei passare le prossime righe a dirvi le mirabolanti idee che sono state applicate al gameplay e non mi basterebbero i caratteri, Split Fiction è infatti considerabile come un omnibus di tutto ciò che compone la definizione di “videogiocare”. Un manuale perfetto del design e una miniera incredibile di idee, capace di sfornarne in una quantità impossibile per i byte che occupa. Qualsiasi cosa pensiate possa essere applicato al gioco è lì e, forse ancora più di It Takes Two, spinge tantissimo sulla coordinazione tra le due protagoniste per mettere alla prova i legame che intercorrono tra voi e il partner scelto. Per quanto si possa giocare online, credo che il modo migliore per vivere Split Fiction sia in locale e me lo confermano anche le diverse soluzioni della telecamera che il gioco adotta, annullando più e più volte la divisione tra le parti per i momenti chiave con stratagemmi di regia ben piazzati.
La fantasia è per tutti
Il valore su cui mi preme più andare invece è la capacità di Split Fiction (come di It Takes Two all'epoca) di essere un prodotto adatto a qualsiasi persona lì fuori; un gioco che può essere vissuto anche da chi non ha mai toccato un controller in vita sua. Io ho la fortuna di avere una moglie ben preparata e anche discretamente brava. Con lei ho già avuto modo di giocare a It Takes Two, ha pure finito Hollow Knight nel mentre, perciò non potevo non portarla anche in Split Fiction. Quello che ho osservato in entrambe le avventure è che ogni volta che mettiamo mano a un gioco di Hazelight è come se entrambi videogiocassimo per la prima volta, perché è come entrare in un universo (o multiverso in questo caso) con regole e situazioni inedite.
La premessa di base, in questo caso, è quella di vivere nei panni di due scrittrici che si ritrovano, insieme, in una macchina che attinge dalle loro idee per creare nuove storie e farle vivere a loro in prima persona. Uno dei personaggi, Mio, è una ragazza disillusa che scrive fantascienza alla Edge of Tomorrow: dura, cyberpunk o apocalittica. L'altra invece è Zoe: fanciulla di campagna a contatto con la natura e la sua immaginazione, costantemente immersa nel fantasy e nelle fiabe. I due lati di una medaglia creativa che si esplora saltando da uno all'altro scenario grazie a dei portali, finendo praticamente in un “film” diverso a seconda dell'ispirazione che colpisce l'una o l'altra persona. Naturalmente l'esplorazione non è solo nella fantasia ma anche nei ricordi e nel vissuto delle due protagoniste, trasformando il viaggio tra i loro scritti in qualcosa di più personale.
A ogni salto dimensionale, entrambi abbiamo provato meraviglia, quella sorpresa genuina che chiunque ha avuto con le prime console e che ti porta a sorridere o esclamare davanti allo schermo. Il continuo sfoggio di ingegno da parte del team di sviluppo fa sì che non sai veramente mai cosa aspettarti dietro l'angolo, non c'è una cosa che risulti prevedibile o ripetitiva, se non per le meccaniche di base che decretano le funzioni base dei personaggi. E perciò, dopo poco, ti ritrovi a bocca aperta senza neanche accorgertene. Non esiste altro gioco in grado di sorprendere i propri giocatori in maniera così tanto fanciullesca, pescando dalla curiosità di ognuno di noi e lasciando che sia quella a guidare i passi nei mondi descritti, arrivando senza sforzo a farci dire “giochiamo ancora un altro po'” anche solo per vedere cosa ci aspettava dopo l'ennesimo portale. Le situazioni che abbiamo vissuto in Split Fiction sono state tantissime, variegate, alle volte opposte ma mai, proprio mai frustranti. Anzi, rimango sempre stupito da quanto lo studio riesca a fare in termini di sfida crescente, infatti più si progredisce nel gioco più c'è complessità nel design e nella relativa richiesta d'azione da parte dei giocatori.
Tra le nuvole fatate e la distopia
A tal proposito, rispetto a It Takes Two devo dire che la parte di Mio, quella più seriosa e d'azione dove la coordinazione è più serrata, è un giusto bilanciamento per evitare che tutto sia ricondotto a un'esperienza unicamente leggera, fiabesca per così dire. It Takes Two, essendo ambientato in un contesto legato alla figlia della coppia, aveva a che fare con l'immaginazione bambinesca e ciò che ne consegue. Qui quella parte è rappresentata da Zoe che, in più livelli, attinge proprio dalla sua infanzia per generare situazioni tra il comico e l'onirico pre adolescenziale, sfociando nelle irriverenza che tutti riconosciamo in Josef Fares. Avere Mio a fare da contraltare è stata una scelta saggia, direi quasi essenziale e che alla fine distanzia Split Fiction da It Takes Two in termini migliorativi. E poi, per noi “hardcore gamer” un po’ di sana fantascienza non guasta mai quando ci sono esplosioni e moto alla Akira. Ma, andando oltre, anche per quelli che se non c'è morte, distruzione o guerra non c'è videogioco. La classica anima Animal Crossing e Doom, unità nello stesso disco.
A prescindere dal vostro lato del gaming, vivere Split Fiction è un'esperienza impossibile da perdere per numerose ragioni. Qui su Nerdcore intersechiamo un sacco di pubblico di diverso tipo, dai film ai fumetti fino ai libri, quest'ultimo anche oggetto principe della trama. Ecco, se c'è un gioco che dovreste tutti possedere, a prescindere dalla vostra provenienza, è proprio questo. Se avete una console in casa e due controller, o anche a distanza se preferite, sedetevi sul divano con qualcuno di a voi caro e vivetelo insieme.
Split Fiction non solo vi farà tornare bambini e testerà la vostra capacità di collaborazione (senza mai mettervi in situazioni insuperabili, mica c'è la firma di From Software), ma vi darà anche molto di cui parlare, ridere e riflettere. Magari anche commuovere, perfino piangere, perché no? Ne uscirete divertiti, forse anche cresciuti o perfino più affiatati. E onestamente, almeno dal mio punto di vista, i momenti che Split Fiction mi ha regalato insieme a mia moglie sono alcuni di quelli più preziosi, nel caos della frenesia quotidiana, in cui ci siamo sentiti un po' più vicini l'uno all'altro. Non potrei dirlo di nessun altra esperienza videoludica, non con la stessa leggerezza e contentezza con cui lo faccio per Split Fiction. Perciò, oltre alle innegabili qualità realizzative, per me è una ragione più che sufficiente per dargli il voto massimo e anzi, spero che il suo successo spinga ancora il futuro di Hazelight Studio, lasciandolo come faro per un'industria che forse ha proprio perso l'anima creativa che rende Split Fiction “Il Videogioco” a cui tutti dovrebbero aspirare.