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Slice of life nel fumetto: Reid Kikuo Johnson e "Nessun altro".

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Lo slice of life è un genere che da sempre accompagna il successo del graphic novel. E questo "Nessun altro" ne è un perfetto esempio.

"Slice of life", una "fetta di vita".

Uno spaccato di una situazione esistenziale comune, un concetto che nasce dal teatro e si estende in letteratura. Fino a giungere al successo anche nel fumetto, con numerosi esperimenti precoci: ma, innegabilmente, il suo trionfo è negli anni 2000 con la stagione del graphic novel. Il genere prediletto dal "romanzo a fumetti" è infatti la quotidianità narrata con un tono ordinario, in programmatica opposizione al "larger than life" del supereroico o, nel fumetto italiano, all'avventura investigativa di stampo bonelliano.

 

 

Il termine è già di fine '800, ma si impone dagli anni '50, anche in connessione - sul versante "basso", lowbrow - con la serialità televisiva del "kitchen sink realism", legato anche ai minori costi produttivi. Nel fumetto, prima di divenire quasi paradigmatico della seconda stagione del fumetto "autoriale", è il manga ad aver portato il genere a un grande successo anche commerciale. Oggi, forse, questa associazione quasi automatica tra "graphic novel" e "slice of life" sta tendendo ad attenuarsi, ma il connubio tra tali forma e genere del fumetto continua a produrre ancora picchi elevati. Il caso, appunto, di questo "Nessun altro", che ci pare quasi paradigmatico dello slice of life in stato di grazia.

 

 

L'autore, Reid Kikuo Johnson, nato nel 1981, è un illustratore e fumettista americano piuttosto interessante. Originario dell’isola di Maui nelle Hawaii, ha compiuto i suoi studi come disegnatore sotto David Mazzucchelli, tra i più importanti nomi del fumetto d’autore americano, di cui è ritenuto uno dei migliori allievi.

 

Il suo primo romanzo a fumetti è “Night Fisher” (2005), una storia di crescita semi-autobiografica che vince diversi riconoscimenti nel 2006, incluso un premio Eisner. Da allora lavora anche come illustratore sul prestigiosissimo New Yorker, di cui ha realizzato una cover nel 2016. Nel 2011 “The Shark King” è l’unico suo altro fumetto, un breve adattamento per bambini di una leggenda hawaiiana.

 

“No One Else”, pubblicato nel 2021 e tradotto correttamente come “Nessun altro”, è un suo nuovo lavoro a dieci anni dall’ultimo. Un ritorno al graphic novel maturo e allo “slice of life” dopo sedici anni dall’esordio, con un segno e una narrazione giunte in effetti a una maturità notevole.

 

Il formato scelto, come si può vedere subito, è particolare: non quello verticale classico, ma un formato orizzontale, non infrequente in assoluto ma comunque più raro, forse spesso scelto, nell’ambito della graphic novel autoriale, per il suo evocare uno schermo cinematografico nel formato.

 

Slice of life

Come si vede dalla copertina, la scelta cromatica è ugualmente particolare. Al posto del netto contrasto chiaroscurale dell’opera di esordio, in bianco e nero, qui si ha una tricromia, con la compresenza di un inchiostro blu al posto dei neri, e il complementare arancione a fare da contrappunto. In particolare, in molte scene l’arancione è usato come sottolineatura simbolica di qualche particolare importante, che ritorna in modo significativo più volte nella storia. Pensiamo ad esempio alla copertina del figlio o al tema del fuoco. Particolare è l’unica tavola in cui l’arancione è usato in modo “pittorico”, nella bella doppia splash (l’unica doppia) in cui alla barca abbandonata della copertina, a p.60-61, fa da contrappunto un vero viaggio in barca, momento felice tra molti agrodolci che costellano la storia.

 

Molto efficace è anche come, a p. 88, la protagonista gridi finalmente a gran voce come sia ormai tardi, e abbia perso la propria vita nell’accudimento. Lo fa a una pausa a un semaforo che, nel reale, passerebbe da rosso a verde: ma qui la transizione, più melanconica come effetto visivo, è da arancio a grigio-azzurro.

 

Slice of life

La copertina è interessante, e mostra l’accuratezza di scelte che caratterizza tutta l’opera, e che richiede più riletture (essendo, del resto, di lettura agevole) per essere apprezzata appieno. Senza fare particolari spoiler, si può notare come siano presenti numerosi leitmotiv del volume: la barca abbandonata nel cortile, ma anche gli incendi boschivi e il gatto di famiglia.

 

La struttura base della tavola è giocata su una griglia di due strisce di tre vignette quadrate perfettamente sovrapposte e allineate: ogni tanto, a modificare il ritmo della narrazione, abbiamo una struttura a mattoncino o solo quattro vignette.

 

Spesso questa griglia squadrata e nitida è usata per scandire in modo significativo minimi movimenti dei personaggi tramite la ripetizione di scene quasi uguali (a partire dall’esordio della narrazione principale, da p. 8-9, dopo un breve prologo icastico di tre vignette che definisce con mirabile sintesi tutta la situazione di partenza).
Il segno è pulito, preciso, ricorda in qualcosa maestri dello slice of life come i fratelli Hernandez e il loro Love and Rockets, e diviene perfettamente funzionale alla narrazione asciutta, efficace, basata sul far intuire più che sul narrare apertamente.

 

La storia procede così per ellissi, non detti, allusioni che, però, contribuiscono a delineare personaggi tridimensionali, basati su grandi archetipi almeno della narrazione contemporanea che vengono però declinati in modo originale e vivo.

 

Slice of life

Al centro, come fa presagire il titolo (senza svelarlo del tutto) vi è il dramma dei caregiver, o – come qui – molto più spesso delle caregiver. La protagonista della storia corale è infatti costretta a occuparsi del vivace figlio e del padre ormai anziano e non più in possesso pieno delle proprie facoltà. Infermiera, le prime sequenze delineano la sua condanna a prendersi cura di tutto, dato che non vi è “nessun altro”.

 

I simbolismi sono precisi e accurati: il figlio, nel giorno cruciale, sta guardando il Re Leone, nella scena iniziale o finale: la presentazione del figlio di Mufasa, Simba, o del figlio di questi, scandita dalla notissima “Circle of life”: e la storia avrà a suo modo lo stesso tema, declinato ovviamente in chiave adulta e amara, come mostra anche la circolarità tra il primo cerchio arancione, che apre la prima vignetta, e l’ultimo, che chiude l’albo (oltre, letteralmente, a essere un correlativo oggettivo, il Re Leone, delle vicende del gatto di famiglia, “Batman”).

La cura è anche in minime annotazioni psicologiche ben delineate: la dedizione della protagonista si vede in piccoli gesti come quello della sequenza di p. 13, senza che però questo annulli momenti di irritazione e stanchezza che appaiono altrove.

 

 

Questo credo sia il merito più forte di questa storia a fumetti: non cedere a una facile paradigmaticità dello slice of life, con una maturazione scontata dei personaggi, e un struttura troppo orientata all’apologo.

 

C’è un arco narrativo, che è un arco di cambiamento e di crescita, ma i personaggi sono poliedrici: il padre resta una figura enigmatica, non priva di ombre nel suo passato; la figlia è prigioniera del suo ruolo senza essere ridotta a vittima o angelo, e il fratello hippie, sotto la patina della divertente cialtroneria, resta in effetti una figura più ambigua nel suo stile parassitario, non totalmente redenta dalla simpatia di superficie.

 

Per certi versi, siamo non lontani dall’umorismo pirandelliano: i toni da commedia garbata, con momenti innegabilmente buffi e teneri, nasconde la drammaticità di tutte le esistenze nel loro intrecciarsi, in una storia di garbato ed elegante equilibrio.

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