Questo mondo non mi renderà cattivo - Recensione collettiva
Una parte della redazione ha guardato Questo mondo non mi renderà cattivo e ne è uscita una recensione a sei mani, quelle di CapitanTroll, Tanz e Felice!
CapitanTroll
Ero estremamente curioso della nuova serie di Zerocalcare, già solo per il suo punto di partenza, ovvero che non sarebbe stata una stagione 2 di Strappare lungo i bordi, ma una cosa diversa, tanto da diventare il tizio simpatico alle feste che fa la precisazione non richiesta.
“Quando esce la stagione 2 di Zero?”
“Non è la stagione 2, è una serie diversa”
Se la prima serie approdata su Netflix era un racconto molto vicino a quella prima produzione fumettistica dove si parla di piccole storie che parlano a tutti, in Questo mondo non mi renderà cattivo si fa un percorso differente, più vicino ai suoi reportage a fumetti che si possono trovare su l’Internazionale, dove non si parla della periferia come sfondo di una storia, ma dove la periferia è la storia stessa.
Si parla di centri di accoglienza, di fascisti, di politica che fa equilibrismi e di parole lanciate alla pancia del paese sempre parlando di zone grigie che a volte ci dimentichiamo.
Chi ha il cuore nel posto giusto ma che è legato a delle logiche di vita o di sopravvivenza e si ritrova quindi su una parte della barricata in cui non si sarebbe mai voluto trovare, mentre questo stare in mezzo agli eventi ti porta ad andare da una parte che urla contro altri, perché è sempre questo che si vuole comunicare, è sempre la narrazione di due fazioni che si scontrano.
Questo mondo non mi renderà cattivo è una serie matura e spietata, dove lo stesso autore rende il pubblico parte del suo problema del raccontare quella periferia come persona che forse non ne fa più così parte perché è riuscito ad emergere fra mille persone che ancora annaspano e rischiano di annegare.
Certo, si ride, ci sono le gag con l’amico Armadillo, ma è più un racconto struggente (portato in scena con la qualità che si sperava) che ci accompagna ad una riflessione amara e molto più tagliente.
Tanz
La questione delle ultime opere di Zero in questi anni è diventata ormai lampante a tutti: gestire la celebrità. Essere famoso e parlare di certi temi è scomodo. Perché vuoi o non vuoi, sei un privilegiato, o quantomeno lo sei diventato. Sei quello che ce l'ha fatta con intorno una serie di personaggi e situazioni che ti mettono costantemente in difetto, come se quella cosa del successo sia in contravvenzione con lo schieramento politico, o con la localizzazione geografica.
Vuoi o non vuoi, con quella vita, con quei contatti, con quella mole di pubblico e successo, non puoi restare te stesso. O non puoi essere Zerocalcare, che tra i tratti distintivi della sua opera un continuo riflettere su se stesso (e sulla sua serie di temi) senza essere affetto da autocritica che per altri sarebbe paralizzante.
La prima serie, Strappare lungo i bordi, affondava le sue radici nel periodo "ingenuo" della vita di zero, di quando muoveva i primi passi nel mondo del fumetto e non era ancora diventato il Messia del fumetto italiano che da solo si carica sulle spalle un intero settore e dona luce e speranza anche a quello che si sveglia la mattina e decide di fare fumetti perché "se una casa editrice guadagna con Zero, allora ci sono più soldi per investire sugli altri" e soprattutto, la concorrenza è alla disperata ricerca di uno Zerocalcare.
Questo mondo non mi renderà cattivo invece è un prodotto dello Zerocalcare maturo, di quello che ha scollinato (post Dimentica il mio nome, per capirci), non sono sicuro sia ancora la forma definitiva di Zero, è di sicuro un momento di transizione e autocritica che affronta il tema del disagio sociale e della periferia forse con meno delicatezza di quello che farebbe tramite un fumetto, in quanto il media, la distribuzione e compagnia cantante necessitano di un prezzo da pagare in termini contenutistici che non può essere sottovalutato, perché zero è sí, quello dell'impegno politica, ma in prima battuta è quello che fa ridere coi pupazzi, altro tema che è affrontato, appunto, nella serie nuova.
Per quanto mi riguarda, trovo sempre il discorso ficcante, molto calato nel contemporaneo, risponde alle complessità delle situazioni nel modo più naturale possibile, facendo sbagliare il personaggio in un momento di forte consapevolezza del distacco che passa tra autore e personaggio.
È oggettivamente una serie meno divertente della precedente, più calata nei temi del tempo presente, e questo è un bene, ma con un finale sospeso che, secondo me, non arriva ai livelli di delicatezza di Scheletri, che fino ad ora è tra le sue opere migliori e più complete. È sempre bello vedere Zero su Netflix perché pur sapendo chi è Zero, non sai dove ti porterà, o almeno non sai come ti porterà dove vuole arrivare.
Felice
La seconda serie tv di Zerocalcare è uscita e, come ormai di consueto, ha raggiunto vette di successo inimmaginabili per la maggior parte (tutti?) degli appartenenti al fumettomondo.
Zerocalcare, insomma, sfonda ogni porta e abbatte ogni muro tra media e modalità promozionali.
Questa volta, come tutti hanno rilevato in più modi, è diverso.
Perdonatemi il paragone ma è necessario: se Strappare lungo i bordi ha avuto la capacità di parlare di una situazione specifica rendendola un tema universale, con la seconda serie, Zerocalcare decide di parlare al pubblico che gli somiglia, a una nicchia che si identifica con il suo background e che capisce - e condivide - i suoi riferimenti politici.
Tutto questo ha una serie di implicazioni notevoli, secondo me: la prima e la più lampante è rendere evidente la presa di posizione politica di Zerocalcare. Certo, chi voleva capire quali fossero i valori di Zero aveva modo e tempo per farlo ma rendiamoci conto che uscire su Netflix con una serie tv vuol dire rivolgersi a una platea estremamente più grande di quella (già relativamente enorme) di quella che legge i fumetti di Zerocalcare.
Approdare su Netflix vuol dire arrivare al fantomatico grande pubblico. E buona parte del grande pubblico ha visto solo una serie animata in cui un ragazzo della periferia romana dice che i nazisti sono pericolosi, che si annidano dappertutto, che si organizzano per cacciare gli immigrati e che non vanno tollerati, anzi vanno combattuti.
Attenzione, la scelta della parola nazisti è voluta e se avete visto la serie dovreste sapere perché. Se, invece, non l’avete ancora vista, mi accodo a Zero nel dire che nazisti, a differenza di fascisti, è rimasta una parola che ha ancora alle spalle un significato negativo e basta, non sdoganato dalla morale comune come è accaduto, appunto, con fascisti.
Tutto questo farà perdere consenso e lettori a Zerocalcare?
Sticazzi perché la seconda implicazione è questa: Zero ha così tanto potere (inteso come carisma, bravura, capacità narrativa) da poter fare qualsiasi cosa voglia. Netflix gli dà le chiavi di casa ed esce, lasciandolo solo a giocare (lo so che non è così semplice e che dietro c’è una strategia precisa ma lasciatemi approssimare questo concetto).
Zerocalcare, insomma, così come ha fatto per il fumetto, ha rotto anche ogni argine delle serie tv e delle piattaforme di streaming che dominano il settore.
Pensateci: Netflix, così come ogni grande multinazionale, ha come obiettivo quello di non scontentare il suo pubblico pagante, ma anzi di tenerselo stretto. E quindi mette al bando la possibilità di schierarsi a favore o contro una causa, se non all’acqua di rose (basti pensare al fatto che ci si ricordi delle tematiche lgbtqia+ solo a giugno e solo per mettere arcobaleni sulle spillette distribuite al Pride). Invece, Zerocalcare arriva sul tappeto rosso di Netflix, armato di carta, penna e testa e può fare, dire e far vedere qualsiasi cosa voglia.
Ed è per questo motivo che al fumettista romano viene permesso anche di guardarsi dentro e raccontare ancora una volta i suoi demoni interiori, stavolta prediligendo il senso di colpa e la necessità di raccontare il perché delle sue scelte.
Sono questi i pilastri fondanti di Questo mondo non mi renderà cattivo, i temi intorno a cui ruota la trama della serie animata.
Questi e anche la voglia, anzi la necessità, di partecipare, impegnarsi, fare qualcosa per sé stessi e gli altri. Ognuno a modo suo.
Zerocalcare urla al mondo che Secco usa i bomboni, Sara usa il megafono, lui usa il potere mediatico che ha raggiunto e sollecita tutto il suo pubblico (la sua nicchia che annuisce e il grande pubblico che comincia a capire, si spera) a scendere in strada per difendere il mondo dai nazisti che vogliono solo renderlo peggiore.