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Provo a spiegarvi Venom, The Last Dance

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Perché dare seguito a una saga che fin qui ha riscosso solo pessimi giudizi dalla critica? Perché al pubblico piace Venom. E perché nel mondo delle piattaforme la quantità batte la qualità

Non ce lo nascondiamo: l’universo cinematografico Marvel di Sony, quello abitato da Madame Web o da Morbius, non è esattamente l’opera che resterà nella storia dell’arte. D’altra parte, anche il Marvel Cinematic Universe sta godendo di un revisionismo retroattivo che non restituisce gli stessi giudizi lusinghieri di un tempo. Insomma, stiamo vivendo ciò che da più parti è chiamata “stanchezza del supereroe”: dopo 15 anni di cinecomic ci siamo stufati, non che sia un avvenimento inedito per cineasti e produttori. Ai peplum, le saghe drammatiche ambientate nell’antica Roma, successe lo stesso. Pure l’horror vive degli alti e bassi che durano decenni. Ma allora perché insistere con un terzo capitolo di Venom: i primi due lasciavano più interrogativi che risposte. Errare è umano: ma perseverare…

Il motivo per cui Sony ha deciso di continuare, anzi i motivi, sono diversi. Prima di tutto: hai Tom Hardy scritturato per tre film, ti costa quel che ti costa, non lo butti certo via - visto che comunque la si guardi, resta un signor attore che ci mette del suo. Poi, ovviamente, c’è l’incasso dei primi due film: nonostante le critiche non esaltanti, il pubblico si è riversato in sala e ha fatto incassare centinaia di milioni di dollari alla saga di Venom. Infine, c’è la necessità di nutrire le piattaforme: creare un universo narrativo, per quanto discutibile e incoerente (che fine hanno fatto i Sinistri Sei? mistero), serve a mettere insieme quella massa di film, serie, spin-off e tutto quanto potrà essere consumato in infinite sessioni di binge-watching dell'abbonato. Non serve che siano tutti capolavori: basta che ci siano delle pietre angolari solide (gli Spider Man con Tom Holland non sono male), il resto sono fregi che per completezza verranno visti da una bella fetta del pubblico. E va bene così, per loro.

A questo punto bisogna domandarsi se vale la pena tornare in sala anche per Venom, The Last Dance. La risposta è sì se avete un adolescente appassionato del genere. Se siete adulti, probabilmente, potrete serenamente aspettare lo streaming su Netflix, da qui a qualche mese. Vado a spiegare perché.

L’ultimo ballo

Avevamo lasciato il nostro Eddie Brock, alla fine del secondo capitolo, in Messico: era fuggito lì perché le cose non si erano messe benissimo dopo gli sviluppi di Let There Be Carnage, e nel frattempo ha fatto pure una capatina nell’MCU grazie al momento in cui il multiverso sembrava la strada maestra attraverso cui far continuare i successi Disney. Di acqua ne è passata sotto i ponti: il multiverso ce lo siamo lasciati alle spalle, direi, e dunque Eddie torna serenamente nel suo Messico riprendendo praticamente da dove aveva lasciato. Braccato dalla polizia, deve decidere che cosa fare per sopravvivere e che fine far fare al suo simbionte.

Sony si gioca la carta super-cattivo: signore e signori, ecco a voi Knull, il creatore dei simbionti e di altre razze cattivelle, intrappolato secoli or sono dai simbionti stessi e che da allora cerca vendetta. Indovinate dove proverà a regolare i conti? Esatto: la Terra ormai pare la Tokyo dei kaiju. Se c’è da fare a botte, i mostri di tutto l’universo, di qualsiasi universo, si danno appuntamento in Nordamerica per distruggere qualche città, parco naturale, monumento. Nessuna eccezione neanche questa volta, anche se a dirla tutta ci buttiamo dentro un tocco abbastanza surreale portando il tutto a Las Vegas: un luogo perfetto per consentire al simbionte Venom di sbizzarrirsi.

Non vi sto a spiegare come va, non ci sono enormi sorprese e non voglio spoilerarvi il film: è pur sempre, lo dice il titolo stesso, il capitolo conclusivo di una saga e come tale cerca di portare a compimento alcune parti della trama. La cosa realmente importante è che il film sta in piedi, nonostante molte ingenuità in termini di trama e di sospensione dell’incredulità, e probabilmente per un giovane adolescente in cerca di azione e botte sarà pure un film soddisfacente. Se invece provate ad approcciarvi a questo film come se fosse cinema d’autore, beh, amici e amiche, avete decisamente sbagliato programma. Oh, sia chiaro, vi divertirete: ci sono pure delle belle battute, tanta ironia, a patto che non crediate troppo nell’idea del grande universo cinematografico alternativo e complementare all’MCU.

Ciao Venom, un po’ ci mancherai

Il personaggio di Venom, parliamo dei fumetti, ha una genesi strana: di fatto era l’idea di un lettore spedita per lettera all’allora gestore della continuity di Spider Man, Jim Shooter, che piacque talmente tanto all’editore e ai lettori da ricavarsi pian piano uno spazio tutto suo. Ha avuto diverse interpretazioni, diversi ospiti (umani che hanno avuto dentro di sé il simbionte), un po’ ha agito da cattivo soggetto e un po’ ha agito da vigilante. Al cinema abbiamo conosciuto il secondo ospite di Venom, il già citato Eddie Brock, che nei fumetti arriva subito dopo Peter Parker e che deve molto del suo successo al fatto che a curare le sue avventure ci fossero dei pezzi grossi come Todd McFarlane.

L’aspetto più intrigante, che è un po’ la spiegazione che mi sono dato per la trama deragliata di questo The Last Dance, è che Venom può essere riletto a posteriori come un supereroe affetto da psicosi schizofrenica: pensateci un attimo, l’ospite ha questa voce nella sua testa che gli fa compiere azioni assurde, a volte in netta contraddizione con la sua morale, e finisce - come nel caso di Eddie Brock al cinema - per scendere a patti con i propri valori e con il simbionte. Eddie inizia a compiere gesti che in qualche modo siano condivisi dalle due personalità, in principio contrapposte e poi sempre di più difficili da distinguere l’una dall’altra. Venom è un “diverso” in un mondo che, visto dai suoi occhi, è altrettanto folle.

Se pensate a questa trilogia di Venom come una progressiva discesa nella schizofrenia, allora tutto assume un senso: le allucinazioni di Eddie, il suo modo strano di camminare, tutto fa brodo. Non sono un medico o un esperto del ramo, ma come esempio vi porto un altro film che parla di questa psicosi: ricordate quello che succedeva a Steve Nash in A Beautiful Mind? Un modo come un altro per dire: se Nash ha vinto un premio Nobel nonostante la sua malattia, a maggior ragione in un cinecomic ci può stare che un giornalista con dentro un simbionte alieno, in pieno delirio paranoide, riesca a salvare il mondo. E, seguendo il coniglio nella sua tana e dando credito a questa mia teoria, in effetti questa trilogia pare pure meglio di quanto gli incassi hanno già detto rispetto al gradimento del pubblico.

Com’è, davvero, The Last Dance

Se però vi dovessi raccomandare questo film non vi fornirei un servizio del tutto onesto. In tutta sincerità mi aspettavo poco, visti i precedenti dell’ultimo periodo, e il risultato è stato perfettamente in linea con quanto avevo pronosticato: film ben fatto dal punto di vista degli effetti speciali, con tanti spunti estetici ma poca sostanza nella trama. Bel cast, Rhys Ifans soprattutto riesce a rendere con dignità anche un personaggio assolutamente bidimensionale che gli viene affidato e Juno Temple non è da meno, ma il resto pare davvero un racconto fatto di topos standard e stereotipati per costruire un film di supereroi: il militare (Chiwetel Ejiofor) che persegue i suoi obiettivi cieco a qualsiasi argomentazione, la famiglia felice che finisce per caso al centro dello scontro tra alieni e umani, lo scienziato (la già citata Temple) con una storia di sofferenza nel suo passato che inevitabilmente troverà modo per risolvere nel corso della trama.

Paradossale poi il continuo fare riferimento a New York, a lasciar intendere che insomma prima o poi Spider Man potrebbe fare capolino in questo mondo di simbionti: spoiler, non succederà neppure in questo terzo e ultimo capitolo.

L’impressione è che The Last Dance sia un po’ una conclusione degna di un prodotto sviluppato “in casa”: la regista Kelly Marcel è al suo esordio dietro la macchina da presa, ma è saldamente alla base della scrittura di Venom sin dal primo film ed è amica di vecchia data di Tom Hardy. Si tratta di un sistema che abbiamo già visto al cinema: l’attore protagonista attorno a cui ruota il franchise si sceglie un professionista di cui si fida e che condivide con lui una visione. Niente braccio di ferro sul set, i rapporti di forza sono predeterminati e non ci saranno brutte sorprese. Qualunque fossero le ambizioni di Venom al suo esordio, oggi è quel che è diventato: un divertente circo in cui tanti simbionti colorati si riempiono di botte con degli xenomorfi, arrivati dalla parte opposta dell’universo per accaparrarsi il McGuffin. Finale consolatorio che regala un sorriso, scene post-credit scadenti.

Resta da capire cosa voglia fare Sony con questo suo SSU: è stato annunciato un quarto capitolo di Spider Man (Tom Holland riuscirà a girare quattro film nelle vesti dell’amichevole ragno di quartiere, un record), ma il resto pare abbastanza fumoso. A dicembre dovrebbe arrivare Kraven, altro personaggio del tutto trascurabile, in TV sbarcherà Spider-Noir con Nicolas Cage. Ma il resto pare davvero poco promettente. Per questo, in conclusione, ribadisco quanto scritto sopra: restiamo alla finestra, ma non c’è rimasta molta aspettativa rispetto a quanto questo universo cinematografico potrà offrire.

E va bene così, ci sta che il ciclo dei supereroi si prenda una pausa: lasciamo che l’addio a Venom diventi l’occasione per lasciar decantare idee e progetti, lasciamo che queste idee si sviluppino e crescano fino a diventare prodotti realmente interessanti e film che valga la pena davvero aspettare per dargli un’occhiata in sala. Per portare al cinema Iron Man ci vollero circa 20 anni di tentativi e riscritture: per fare le cose per bene occorre prendersi del tempo, non pensare di dover nutrire e sfamare le piattaforme in perenne ricerca di nuovi abbonati. E infine, ma non meno importante, un appello: visto che la redazione di N3rdcore spedisce sempre me a vedere questi cinecomic SSU, almeno fatemi trovare un epico secchiello per i pop-corn all’anteprima!

 

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