Oppenheimer è Nolan in purezza (e un gran film)
L'ultima fatica del regista è probabilmente il suo film più riuscito fin qui. Che trae il massimo dalla sua esperienza sul montaggio e sui paradossi, trasformandoli in puro intrattenimento
Ci sono pochi registi che possono permettersi, film dopo film, di continuare a proporre la propria idea di cinema e di linguaggio cinematografico, senza doversi piegare alla necessità di rendere più popolare il proprio approccio. Christopher Nolan è senz'altro uno di questi: anche quando ha lavorato a produzioni estremamente mainstream, pensate alla Trilogia del Cavaliere Oscuro, è riuscito a tirar fuori un prodotto completamento suo. I film di Nolan sono pressoché inconfondibili: sono riconoscibili nell'estetica, nella fotografia, nel linguaggio e persino in una certa complessità nella narrazione che pone allo spettatore una sfida. Oppenheimer non fa eccezione: ma, sento di poterlo dire questa volta, è un film eccezionale.
Di cosa parla Oppenheimer
Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti sono entrati nel conflitto e si sono schierati contro l'Asse nazifascista che minaccia di dilagare in Europa: ma, come ci hanno insegnato molti film di epoca recente (uno su tutti: The Imitation Game), quelle al fronte non furono le uniche battaglie combattute. Sin dal conflitto precedente la tecnologia aveva giocato un ruolo chiave nel determinare il risultato dello scontro: la scienza, a partire dalla Prima Guerra Mondiale, era divenuta e resta ancora oggi uno degli elementi di spicco degli arsenali delle nazioni che scelgono il conflitto armato.
Ciò che era avvenuto nel mondo della fisica teorica e sperimentale a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, inoltre, aveva creato le condizioni per un'ulteriore salto in avanti in chiave bellica: le scoperte relative alla meccanica quantistica e le successive elaborazioni di nuovi modelli atomici avevano dato il via a una indagine scientifica che, inevitabilmente, avrebbe condotto alla nascita di nuove armi cariche di un nuovo tipo di energia. L'Europa, all'epoca, dominava questo settore della scienza: Bohr, Dirac, Heisenberg, Schroedinger, Pauli, Planck, praticamente tutta la leva di studiosi che diede impulso alla nuova fisica era nato e viveva nel Vecchio Continente, con l'unica notevole eccezione costituita da Albert Einstein che già nel 1933 aveva deciso di traslocare negli Stati Uniti, per sfuggire alla marea crescente di antisemitismo che affliggeva Italia, Germania e non solo.
Lo stesso Robert Oppenheimer, newyorkese, era venuto oltreoceano a formarsi: dopo aver iniziato ad Harvard si era spostato a Cambridge, poi Zurigo, Gottingen e Leiden in Olanda. In Europa si era formato in modo da conoscere ed esplorare le frontiere della meccanica quantistica: l'avrebbe portata con sé tornando a casa, all'inizio degli anni '30. A Berkeley contribuì a dare vita a un dipartimento di fisica che ancora oggi è tra i più importanti al mondo, mentre era impegnato nelle sue ricerche che nella prima fase della sua carriera si concentrarono soprattutto sui processi di evoluzione stellare (fu tra i primi a ipotizzare l'esistenza dei buchi neri). A breve, però, sarebbe stato reclutato per essere messo a capo del cosiddetto Progetto Manhattan.
Tutto questo, dunque, è alla base della storia che Nolan racconta, traendo spunto da una biografia best-seller dello scienziato uscita nel 2005 (la trovate anche in italiano): ma questo, appunto, è solo l'inizio.
La simmetria e il caos
Con un raffinato approccio, Nolan imbastisce in questo film un racconto su molti piani: il presente, il passato e il futuro, che si incrociano e si mescolano in continui flash-back e flash-forward che garantiscono comunque una certa linearità (non lasciatevi scoraggiare da chi vi dirà che è un film complicato: non lo è davvero). La struttura di tutto il film è poi praticamente simmetrica: il centro della vicenda, la singolarità attorno a cui orbita l'intera storia, è il Trinity Test svoltosi il 16 luglio del 1945 nel deserto del Nuovo Messico. Fu lì che per la prima volta l'uomo attinse alla potenza dell'atomo, fu lì che per la prima volta venne fatta esplodere una bomba atomica. Attorno a questo evento gravitano le vicende umane, anche intime, di tutti i personaggi della storia: Robert Oppenheimer splendidamente interpretato da Cillian Murphy, sua moglie Kitty interpretata da Emily Blunt, un notevole Robert Downey Jr alle prese con la figura di Lewis Strauss, la tormentata Jean Tatlock interpretata da Florence Pugh.
Il cast è, come ormai tradizione per i film di Nolan, molto più ricco di così: fanno breve apparizioni Gary Oldman, Rami Malek, Kennet Branagh e molti altri, Matt Damon ha per sé un ruolo più consistente. Ma è indubbio che siano le figure di Oppenheimer e di Strauss sulle cui spalle si concentra il peso della rappresentazione di un'epoca, epoca in cui l'intera umanità ha varcato un confine invisibile: l'intento di Nolan, forse, più che di raccontare una biografia è quello di metterci davanti al bivio, quello che chi ci ha preceduto si è trovato ad affrontare. Prova a farci comprendere, e magari comprendere lui stesso, quale sia stata la disposizione d'animo di chi ha lavorato alla creazione di un'arma di distruzione di massa: quali le conseguenze per la coscienza personale e per l'umanità intera.
Gli esseri umani, d'altra parte, non sono bidimensionali o monocromatici: a un progetto enorme, come quello che portò alla costruzione della prima atomica, lavorarono decine di scienziati e centinaia di addetti, ciascuno di essi con una propria sensibilità e una propria idea su come dovessero essere fatte le cose. Siamo abituati a guardare alla storia come un blocco monolitico, a giudicare quanto è avvenuto in retrospettiva, giustificando i mezzi considerando il fine raggiunto: la doppia cavalcata di questo film, che racconta il prima e il dopo di quello che è probabilmente, fin qui, il momento cruciale della storia dell'uomo, serve proprio a restituire tridimensionalità e colore ai personaggi.
Il tutto senza derogare ai classici vezzi di Nolan: la doppia lettura, il colpo di scena, la sopresa, il disorientamento, l'elemento presentato al principio che comprendi solo a fine racconto. Non ci sono però trovate prive di uno scopo, non c'è un MacGuffin a motivare le scelte e le azioni dei personaggi: questa volta, un po' come in Dunkirk, Nolan racconta una storia vera e non ha praticamente bisogno di alcun artificio romanzesco per farlo in modo efficace. La storia di Robert Oppenheimer è talmente incredibile, il suo impatto sulla storia del genere umano talmente enorme, che non è necessario ricorrere ad alcun trucco.
Nello splendore del 70mm
Ci sono alcuni aspetti di Oppenheimer, il film in questo caso, che probabilmente saranno irripetibili: come la scelta di affidarsi ad effetti speciali pratici e non digitali per riprodurre l'esplosione nucleare del test Trinity; come l'idea di girarlo interamente in pellicola 70mm (pur aggiornando le macchine da presa alla tecnologia moderna), per offrire una resa completamente diversa da quella che il digitale al cinema ci ha offerto in questi anni. Ritornare alla grana e alla pasta della pellicola (ho avuto l'opportunità di guardarlo in una sala attrezzata per proiettare proprio la pellicola da 70mm) è un'esperienza spiazzante da principio, ma che poi (complice la mia età) torna in fretta a essere familiare: è un arricchimento dell'esperienza e non una semplice trovata del regista, questo film è un punto fermo nella carriera di Nolan sotto qualsiasi aspetto.
Il sonoro, ad esempio, è ancora una volta parte essenziale dell'esperienza: Nolan, ormai è chiaro, lo intende come un elemento imprescindibile dell'intrattenimento, non mancano i momenti nei quali si viene letteralmente schiacciati sulla poltrona dalla pressione di quanto ascoltiamo. Il silenzio, allo stesso modo, può essere una componente del racconto: anche con questo si misura il regista, così come la colonna sonora contribuisce a indirizzare l'emozione nel corso della storia. A dirla tutta, forse questa volta non si raggiunge il livello epico di Interstellar: ma sarebbe ingeneroso sminuirne la bontà e il contributo alla riuscita complessiva della pellicola.
Più di altre opere di Nolan, questo film è una sfida intellettuale al pubblico: lo sono i fitti dialoghi, lo è la scelta di inserire lo spettatore in media res senza fornirgli chissà quale appiglio rispetto alla storia della fisica, o alla storia propriamente detta. Se non avete familiarità con la figura di Heisenberg, su chi fosse Niels Bohr, magari vi perderete alcuni dettagli del racconto: ma ciò che davvero Nolan punta a fare è cercare di spiegare le terribili scelte che una generazione si vide costretta a operare nel 1945, prese allora senza saper davvero quali sarebbero state le conseguenze. Non sono chiare neppure per noi oggi quelle conseguenze: è paradossale quanto, ancora oggi, non abbiamo compreso se l'energia dell'atomo sia il nuovo fuoco di Prometeo, o bensì il principio di una lentissima fine dell'intera umanità che affronta da allora un impercettibile ma costante declino.
Sarebbe facile cedere alla tentazione di rileggere questo film alla luce della cronaca di guerra attuale: ma non è questo il senso di Oppenheimer, non bisogna ad ogni costo cercare di piegarlo a una interpretazione. Anzi, forse dovrebbero smetterla di cercare di "spiegare" la cinematografia di Christopher Nolan: non sempre guardare dentro la scatola, scavare, è utile a godersi lo spettacolo. Guardare un'opera d'arte è un'esperienza personale: torniamo a farlo, come Robert Oppenheimer riappropriamoci delle emozioni che le nostre azioni scatenano in noi.