Oath - Un "piccolo" gioiello da tavolo
Oath, Cronache di Esuli e Sovrani, titolo molto semplice nelle meccaniche, molto complesso nelle dinamiche e poco intuitivo nel regolamento.
Tempo fa, molto tempo fa, scrissi in merito al mondo dei giochi da tavolo legacy, una particolare tipologia di titoli la cui peculiarità è la storia che si viene a scrivere, partita dopo partita, con una modifica permanente (o quasi) dei materiali di gioco che rendono, di fatto, ogni scatola un’esperienza unica e irripetibile.
C’è chi ama e chi odia profondamente il genere proprio per via di questa sua peculiarità che spinge i più puristi a stare molto, molto, lontani dal mondo legacy nonostante si possano sentire (come tanti) estremamente attratti dalla componente narrativa che permea i giochi da tavolo legacy. Personalmente mi ritrovo a metà: amo follemente il genere (e posseggo un notevole numero di titoli) ma ho sempre paura a metterli in tavolo (molti sono letteralmente ancora in fustella) perché non voglio comprometterne l’integrità.
Proprio per questo motivo quando sentii parlare per la prima volta di Oath ne rimasi immediatamente folgorato: Oath, Cronache di Esuli e Sovrani disegnato da Cole Wehrle, illustrato da Kyle Ferrin (gli stessi autori di Root, con cui viene condivisa molta dell’estetica) ed edito da MS Edizioni in Italia, è un vero e proprio eden per chiunque ami un war-game con delle fortissime connotazioni narrative.
La grande peculiarità del titolo, infatti, è quella di “scrivere” la storia del mondo di gioco con ogni partita che influenza la successiva nel setup modificando, più o meno profondamente, le terre in cui i giocatori (che possono essere sempre differenti) si trovano a vivere la propria avventura.
È interessante specificare, prima di addentrarci nelle meccaniche di gioco, che il titolo non altera in modo permanente i suoi componenti ma si limita ad influenzare le regole di preparazione della prossima partita aggiungendo o rimuovendo carte e modificando gli obbiettivi di vittoria rendendo, di fatto, ogni partita unica nel suo genere, giocabile con giocatori sempre differenti e tessendo un sottile quanto interessante fil-rouge che accompagna la crescita del mondo.
Ed è proprio il mondo a rappresentare il protagonista assoluto del titolo: è lui che avanza, che cambia e che evolve mentre i giocatori restano gli stessi. Quello che in ogni partita di Oath succede è il plasmare una terra sia nel concetto più “fisico” del termine (costruendo edifici e affini) sia a livello più “politico”, rovesciandone i governi e costruendogli una nuova identità.
Ogni partita è un ciclo che ricomincia: c’è un sovrano che cerca di mantenere il suo potere sulle terre di Oath e ci sono degli Esuli che vivono la loro “tranquilla” vita cercando di perseguire un obbiettivo politico, “religioso”, di conquista e affini.
Nonostante tutta questa introduzione possa far pensare ad un gioco eccessivamente complesso nelle sue meccaniche, Oath, al netto di una pessima organizzazione del regolamento, è un titolo piuttosto “semplice” da mettere in tavola e da giocare mentre diventa molto, molto, complicato nelle dinamiche che si vengono a creare durante ogni turno.
Il regolamento, purtroppo, è quanto di più ostico si possa immaginare e decisamente non aiuta moltissimo i giocatori ad addentrarsi nel mondo di Oath in maniera “tranquilla”, tanto che viene esplicitato al suo interno che i giocatori sicuramente sbaglieranno nell’applicare qualche regola e che questo non dovrebbe avere un grande impatto sulla partita. E sì, si sbaglia troppo spesso ad applicare questa o quella regola all’interno delle più svariate situazioni di gioco che si verranno a creare.
Per quanto, a conti fatti, questo effettivamente non ha un impatto eccessivo sulle partite (al tavolo abbiamo sbagliato ben più di una regola nelle partite fatte) crea quella leggera nuova di frustrazione che porta i giocatori a rompere il ritmo a più intervalli per sfogliare uno dei due manuali presenti (la guida rapida e la legge di Oath, in pieno stile Root) per capire se si sta giocando bene o male.
Non è bello e rappresenta, per certi versi, il peggior difetto di un titolo che invece gioverebbe di un regolamento più chiaro ed esplicativo e, soprattutto, non diluito fra schede riassuntive poco chiare e un doppio libretto da consultare in maniera alternata per trovare la risposta al proprio interrogativo.
Digerito quanto il regolamento ha da offrire, comunque, il titolo offre un gameplay piuttosto standard nel genere e molto affine a quanto visto in Root per quanto concerne il flusso di un turno: ogni giocatore eseguirà una fase Risveglio, dove nella quasi totalità dei casi si controllerà semplicemente la condizione di vittoria (o si attiveranno abilità su carte attive), una fase Azione nella quale svolgere un numero indefinito di azioni e una fase Riposo in cui “resettare” i propri contatori.
Nella fase Azione, che rappresenta il core del turno, si svolgono le classiche azioni di un war-game: ci si può muovere, pescare, rafforzare il proprio esercito, si possono cercare oggetti, commerciare o combattere. Ognuna di queste ha un costo variabile in dipendenza del dove o come si vuole eseguire l’azione: pescare può costare da 1 a 4 scorte a seconda del mazzo in cui si pesca e della situazione al tavolo.
Le scorte rappresentano il nostro “mana”, si parte da un ammontare fisso che viene scalato man mano che si utilizzano le varie azioni per poi essere ripristinato nella fase di Riposo in dipendenza delle truppe che avremo reclutato e del “mana” che avremo avanzato nel turno.
Non scenderò troppo nel dettaglio dei costi delle azioni e nelle variabili che le riguardano perché rischierei di ricopiare il manuale e di risultare eccessivamente prolisso nella spiegazione, ma vi basti pensare ai più classici flussi del genere per farvi un’idea generale del funzionamento di ogni singola azione con qualche chiara eccezione che determina l’anima di Oath.
La plancia di gioco, infatti, è divisa in tre sezioni, che rappresentano le regioni del mondo di gioco, ognuna delle quali ha un suo mazzo di pesca rappresentato dagli scarti delle regioni vicine: se la nostra pedina si trova nel Fulcro, ad esempio, scarterà le carte nella pila degli scarti delle Pianure che rappresenta il mazzo di pesca per chi si trova nelle Pianure.
Questo crea un’interessante varietà di situazioni e strategie che vedono il movimento fra regioni fondamentale per riuscire ad avere una buona varietà di carte per eseguire le proprie azioni.
Le carte, infatti, rappresentano la centralità del mondo di gioco: ogni carta, abitante o edificio, ha degli effetti particolari e può essere giocata all’interno di un territorio, divenendo così “un’azione” disponibile per tutti coloro che si trovano nel territorio, o sulla propria plancia che ha il duplice scopo di essere sia una mano (di tre carte) che una sorta di “pool di azioni” private e personali.
Come detto in apertura, Oath è allo stesso tempo semplicissimo nelle meccaniche quanto complesso nelle sue dinamiche il che lo rende decisamente ostico da descrivere nel dettaglio pertanto non mi dilungherò ulteriormente su tutto quello che il regolamento ha da offrire perché rischierei di far sembrare troppo complicato qualcosa di decisamente più semplice.
Concentriamoci invece sui giocatori: in Oath esistono tre differenti tipologie di giocatori, il Cancelliere (sempre presente in ogni partita), gli Esuli e i Cittadini. Ogni tipologia presenta le medesime azioni e il medesimo flusso di gioco mentre cambiano, invece, gli scopi e le condizioni di vittoria il che rende il titolo “asimmetrico” nel game-plan (una delle tante unicità di Oath).
Il Cancelliere può vincere dal quinto turno se possiede il titolo di custode (definito in fase di setup in base al risultato della partita precedente): viene lanciato un dado a sei facce e in base al risultato (6 al quinto turno, 5-6 al sesto, 3-6 al settimo) può vincere la partita.
Dopo l’ottavo turno il gioco finisce sempre per sfinimento e vengono applicate delle regole, appositamente segnalate nella tessera obbiettivo della partita in corso, per definire la gerarchia di vittoria.
Gli Esuli, a loro volta, possono vincere come Visionari pescando e giocando una carta Visione e iniziando il loro turno con la condizione di vittoria descritta sulla carta soddisfatta o come Cittadini (il Cittadino vincerebbe in tutti i casi in cui a vincere dovrebbe essere il Cancelliere).
Proprio la cittadinanza rappresenta un’altra delle, tante, peculiarità del gioco: in qualsiasi momento il Cancelliere, o chiunque possegga lo Scettro Imperiale, può offrire la cittadinanza ad un Esule che, qualora dovesse accettare, girerebbe la sua plancia e giocherebbe come giocatore imperiale (quindi sotto gli stessi colori del Cancelliere).
Questo genera una valanga di eccezioni per ogni azione, dal semplice movimento alla dichiarazione di un combattimento ma rappresenta allo stesso tempo una delle mosse strategiche più interessanti di Oath: tramite la cittadinanza il Cancelliere potrebbe salvarsi in determinate situazioni o potrebbe “eliminare” la minaccia di un Esule per poi esiliare il Cittadino (pagando le dovute penalità), così come un Esule potrebbe indurre il Cancelliere a offrirgli la cittadinanza per vincere la partita al posto suo e cambiare, per sempre, le sorti del mondo di gioco.
Insomma, Oath mette sul tavolo una varietà incredibile e fantastica di situazioni e dinamiche ognuna delle quali rende ogni partita molto interessante da analizzare in ogni sua sfaccettatura: al netto della “semplicità” di esecuzione il titolo si fregia di una complessità e di una profondità strategica importanti che, purtroppo come spesso accade, si infrangono nel consueto “king making” con un conseguente “bash the leader”.
Qualcuno starà sempre dominando e ci si metterà di impegno nel riuscire a spegnere la sua leadership per spingere la propria per arrivare nelle battute finali cercando di capire quale giocatore favorire nella vittoria.
Oath riesce, però, a fare un passo in avanti anche se fortemente influenzato dal gruppo di giocatori al tavolo: giocare come Esuli potrebbe voler dire giocare come i “popoli liberi” e “arrendersi” ad un altro giocatore favorendone la vittoria potrebbe essere visto come un interessante scelta narrativa per il mondo di gioco.
È chiaro che una narrativa implicita del genere non si sposa benissimo con la tipologia di gioco che vuole vedere un vincitore e dei vinti, ma con il giusto gruppo di giocatori, da alternare senza problemi a strateghi più accaniti, potrebbe quasi essere un interessantissimo “piccolo” gioco di ruolo “guidato” in scatola all’interno del quale generare storie e vivere l’evoluzione del proprio microcosmo narrativo.
Oath è, senza mezzi termini, un capolavoro nel suo genere che riesce sapientemente a riscrivere generando qualcosa di mai visto prima d’ora e che funziona egregiamente. Le componenti premium presenti all’interno della scatola rendono la messa in opera incredibilmente gradevole da vedere aiutando la narrazione a fare il suo corso e generando un interesse che va oltre alla serata ludica di turno.
Peccato, solo, per quei manuali troppo poco funzionali che rendono il titolo un must have solo per giocatori accaniti e con una certa esperienza sulle spalle lasciando indietro moltissimi giocatori che avrebbero potuto trovare in Oath una grandissima prima esperienza.