

Nosferatu: i vampiri di oggi non hanno proprio più voglia di lavorare
Che bello il Nosferatu di Robert Eggers, eppure il suo vampiro non ha abbastanza denti per bucarci la pelle.
Avete presente quando uscite dal cinema dicendo "bello!" e nello stesso attimo in cui la parola vi esce dalla bocca percepite nel retrocervello l'esclamazione "meh"? Ecco, quello.
Ho avuto incubi più strazianti di quelli di Ellen per capire come mai ci fosse qualcosa che non mi convinceva del Nosferatu di Robert Eggers, perché sulla carta ha proprio tutto quello che ci avrei voluto. Ho desiderato ardentemente amarlo, e sono comunque convinta che mi piaccia, eppure alcune delle scelte fatte nel riallestimento della storia del celebre non-morto mi hanno lasciato, per così dire, a bocca asciutta. La saggezza popolare la descriverebbe come la sensazione di avere "gli occhi pieni e la pancia vuota", ovvero la consapevolezza di aver visto qualcosa di incantevole che però non ti entra mai sotto pelle. Un morso a vuoto, se volete. Sarà la mancanza di canini affilati del conte, oppure i baffi hanno fatto da cuscinetto?
Ma basta con le battute e diamo un po' di soddisfazione al pover Robert che ci teneva proprio tanto a fare questo film! Lo annunciò subito dopo The Witch (bei tempi), ma non serve andare a rileggere le interviste per vedere quanto cuore Eggers ha riversato nel suo Nosferatu. Il film trasuda praticamente idolatria e non sorprende che infatti la storia risalente al Nosferatu di Murnau del 1922, così come a quello di Herzog del 1979, sia pressoché invariata. Le poche volte in cui Eggers si prende delle libertà lo fa con il proverbiale cappello in mano, con un rispetto da adepto e con l'ossessione filologica che ormai lo contraddistingue come autore. E qui arriviamo al baffo della discordia.
Sparpagliati qua e là ci sono numerosi dettagli ripescati sapientemente dal folklore popolare (non senza un filo di condiscendenza, tipo nella scena in cui Thomas arriva alla locanda rumena e viene accolto completamente a caso da gitani che cantano e ballano perché a quanto pare non hanno mai visto uno straniero in vita loro). Non è certo l'accuratezza storica a mancare in questo Nosferatu, che riporta il suo Orlok a una rappresentazione mortifera che ha poco a che fare con il vampiro fascinoso di oltre un secolo di cinema, e che trascende in orrore perfino il principe delle tenebre di Murnau/Herzog. L'Orlok di Bill Skarsgård, di cui purtroppo si perde l'espressività sotto il trucco prostetico, è un perfetto ritratto del cadavere che cammina. È un ammasso di carne purulenta, rigida e fredda, vestita alla moda transilvana e con il parrucco che più gli si addiceva, baffo compreso. E funziona.
O meglio, funzionerebbe a pieno se il film non avesse puntato così tanto su Nosferatu in quanto metafora del desiderio sessuale represso. Il focus del film sta infatti su Ellen, e proprio nel suo immaginario inserisce l'unica vera novità narrativa firmata Eggers, ovvero il prologo in cui la ragazza invoca un potere superiore perché lenisca la sua solitudine e la sua irrequietezza. Da un punto di vista metaforico più che un'invocazione quella di Ellen è una vera e propria manifestazione, la produzione di un'ombra che parte da lei e si proietta sul mondo, ma che alla fine sempre da lei ritorna perché le appartiene. Nosferatu è Ellen, è l'incarnazione della sua psicosi e della sua lussuria, resa mostruosa dal contesto culturale del suo tempo in cui l'ingordigia sessuale equivale automaticamente alla perversione. È Orlok stesso a palesarci questa sua mancanza di identità, questa sua dipendenza dalla pulsioni di Ellen, quando dice "Sono solo un appetito, niente più", ed è vero.
Per la metafora questo passaggio è fondamentale, ma per il film rappresenta un po' un buco nero che drena la storia rendendola, ehm, anemica. La figura del vampiro si limita infatti a una proiezione, un'ombra che non si anima mai senza colei che la proietta, facendone un mostro esteticamente spaventoso ma dinamicamente inceppato, senza volontà o agency al di fuori della fame. Anche qui, questa impostazione non costituisce per forza un difetto, ma credo che abbia contribuito a rendere la visione meno avvincente, perché essenzialmente ha eliminato il conflitto relegandolo tutto all'interno di Ellen. Orlok neanche si sarebbe svegliato dal suo sonno eterno se non fosse stato per le paturnie della sua prediletta. Vampiro scansafatiche.
Non ha aiutato a rinforzare questa narrativa la totale assenza di erotismo del film. Avrò forse dei gusti troppo sofisticati, ma onestamente quattro mugolii, una scena di necrofilia, un mezzo amplesso durante un attacco psicotico e una seconda scena di necrofilia non hanno esattamente stuzzicato la mia fantasia. Non che mi aspettassi chissà che spicy, ma magari un filo di languore, della tensione sessuale ovattata, uno sfiorarsi di dita che fa tanto vittoriano? Diciamo che l'erotismo non rientra proprio nell'arsenale tecnico di Eggers, ma il gotico? Ecco, quella è tutta un'altra storia. Se c'è qualcosa che Eggers sa costruire con tutti i crismi è la vibe, l'atmosfera coerente e immersiva dove ci si può perdere ammirando il paesaggio, tanto più se il paesaggio è quello desolato, ostile, maestoso e mortifero del gotico.
I meravigliosi tableaux oscuri di Nosferatu sono inoltre costellati di accenni espressionisti, come le ombre esasperate che sembrano avere in pugno interi quartieri o come, ahimé, la recitazione epilettica di Lily-Rose Depp, interessante e citazionista sulla carta ma francamente esasperante all'atto pratico. Specialmente se crisi, smorfie e vesti lacerate si inseriscono in un contesto di emozioni già cesellate con l'accetta e sparate in faccia con la fiocina. Tutto molto espressionista, certo, ma forse anche meno.
A parte una serie di dettagli e riaggiustamenti di focus, il Nosferatu di Eggers non aggiunge niente di nuovo alla tradizione rappresentativa vampiresca, se non il ritorno a una delle possibili iconografie pre-cinematografiche, più ancorate al folklore che al bagaglio culturale del vampiro sul grande schermo. Come accennavo all'inizio, l'intervento del regista sul materiale originale mi è parso essenzialmente di natura cosmetica, operante sul piano dell'epidermide ma incapace di affondare i denti dove si trova il sangue. Il finale del film non poteva che mantenere questo tipo di coerenza e in realtà sono anche sollevata che l'abbia fatto.
Il desiderio represso di Ellen si è materializzato, rischia di mandare in rovina l'intera società civile, che dell'appetito femminile ha una fifa atavica. Alla protagonista resta poca scelta, a quanto le dicono. Può guardare il mondo che brucia o può sacrificarsi per espiare i peccati altrui, abbracciando il proprio abisso e venendone consumata. La metafora è perfetta. Il desiderio femminile viene talmente demonizzato dalla società da diventare causa di annientamento. Questa è una storia che poteva raccontare Eggers. Se avesse cambiato il finale, o addirittura riscritto la metafora buttandoci dentro l'empowerment tronfio che solo un uomo che scrive una storia di rivalsa femminile sa produrre, me la sarei presa sul personale.
Ricapitolando, il Nosferatu di Robert Eggers è di una bellezza visiva folgorante, è coerente con i suoi predecessori e se ne allontana il tanto che basta per creare uno sprazzo di originalità. La vibe del film è squisitamente gotica e decadente, se non vi disturba l'overacting troverete anche delle performance scolasticamente espressioniste, oppure perfette come base meme. L'esperienza di visione è piacevole, immersiva e solo a tratti compiaciuta della propria erudizione, eppure in qualche modo il film riesce a risultare proprio come il suo conte Orlok: morto. Il che, come sappiamo, non è necessariamente un difetto, negli anni '90 Dracula era morto e contento, quindi chi siamo noi per giudicare?