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Neuromante: il cyberpunk ci parla ancora oggi

Il primo luglio di 35 anni fa veniva pubblicato il romanzo Neuromancer di William Gibson, uscito poi in Italia con il titolo di Neuromante. Il libro si impose nella letteratura di genere a partire dal suo incipit "The sky above the port was the color of television, tuned to a dead channel", affermando il cyberpunk nell'immaginario collettivo.

L'impatto culturale di questo libro si è riflesso su ogni possibile media, partendo dal cinema (Matrix), passando per i giochi da tavolo (Cyberpunk 2020), fino ad arrivare ai videogiochi come Shadowrun e l'attesissimo Cyberpunk 2077. Neuromante è stato il primo romanzo a vincere tutti i maggiori premi dedicati alla letteratura sci-fi, ovvero il Premio Nebula, il Premio Philip K. Dick e il Premio Hugo, ma il suo valore emerge anche per la sua attinenza con la contemporaneità e il mondo tecnologico e iper-informatico in cui viviamo.

Il protagonista del romanzo è Henry Case è un delinquente tossico tuttofare che si muove nel sottobosco urbano di Chiba, in Giappone. Case ha un passato come "cowboy della console", cioè un hacker in grado di trafugare dati nel cyberspazio collegandosi alla matrice. A causa di un affare andato male il protagonista si trova con il sistema nervoso danneggiato, senza la possibilità di connettersi nuovamente al cyberspazio, e cerca con ogni mezzo di recuperare le sue capacità precedenti. Con la promessa di una cura, viene reclutato da Armitage, un misterioso individuo che sta organizzando una squadra per un grosso colpo.

Gli altri membri della squadra sono Molly, una "samurai della strada", ovvero un sicario con il corpo potenziato artificialmente, e Peter Riviera, un ladro e artista dipendente dalla droga. L'obiettivo dei quattro è penetrare all'interno di villa Straylight, situata su una stazione spaziale orbitante intorno alla Terra e appartente alla potente famiglia dei Tessier-Ashpool. Lo scopo del lavoro è fondere le due intelligenze artificiali Invernomuto (IA che ha preso possesso del corpo e della mente di Armitage e che controlla l'intera operazione) e Neuromante (IA che amministra villa Straylight).

Gibson, allontanandosi dalla fantascienza didattica in voga tra gli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, crea un'immaginario dove ai chiarimenti e alle spiegazioni si sostuiscono una serie di accenni estemporanei e un bombardamento di informazioni visive e sonore veicolate da una scrittura rapida e a tratti quasi straniante per il lettore.

Nel caratterizzare quello che verrà etichettato come cyberpunk l'autore ricorre spesso all'estetica giapponese, influenzato dal miracolo economico del Giappone che negli anni Ottanta aveva conosciuto il suo picco storico: il Paese in quel decennio era una delle maggiori potenze mondiali a livello economico e uno dei leader del settore elettronico.

Gibson, quindi, nonostante si senta sconfortato dall'uscita di Blade Runner nel 1982, che presenta un'ambientazione urbana e un'estetica orientale simile e che porta l'autore a riscrivere due terzi del romanzo più volte, perché sente che il film ha già detto tutto sul quel tipo di atmosfera, immagina un Giappone governato da enormi multinazionali coorporative, le zaibatsu, che estende la sua influenza culturale in tutto il mondo. La città di Chiba viene descritta come un luogo costantemente illuminato da neon e popolato da individui ibridi con impianti cibernetici sottopelle e criminali.

Nel Neuromante l'autore non si focalizza sui massimi sistemi, sul salvare un pianeta o una galassia, ma sulla strada, i locali, i bassifondi delle città e i reietti che li abitano. La strada diventa teatro di commerci più o meno legali, di scambi di informazioni, di scontri a fuoco e accoltellamenti. L'ambientazione cittadina diventa protagonista e lo Sprawl, ovvero una gigantesca conurbazione di megalopoli situata negli Stati Uniti dove si muovono i protagonisti in una parte della storia, è più volte menzionata come luogo sia di perdizione e delinquenza che di ascesi capitalistica, le cui luci danno l'illusione di un mondo da sogno, ma la cui realtà è spesso un incubo fatto di pozzanghere fangose e tubi e cavi elettrici in vista sporchi di sangue, intensificando il realismo della narrazione.

Per riflettere questo scenario, il linguaggio utilizzato diventa quindi quello della strada, schietto e ricco di slang, ma mescolato con tecnicismi provenienti dal mondo della tecnologia e dell'informatica e con diversi neologismi: il termine cyberspazio era stato coniato da Gibson nel racconto La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome, 1982), ma è grazie alla popolarità del Neuromante che guadagna così tanta notorietà da diventare di utilizzo comune con la nascita del World Wide Web negli anni Novanta. L'autore prende spunto anche dalle parole che sente pronunciare nei luoghi che frequenta, come flatlining, tradotto in italiano come "andare in linea piatta" o "ridurre in linea piatta", per indicare la morte celebrale nel cyberspazio: questo è un termine usato sulle ambulanze a denotare l'encefalogramma piatto di una persona, che Gibson sentì una volta in un bar rimanendone colpito, come ha rivelato in un'intervista. L'influenza nipponica si riflette anch'essa nel linguaggio, sia con termini noti come samurai, che con alcuni più specifici usati all'epoca solo in Giappone come il già citato zaibatsu o yakitori (spiedini di pollo).

Il fascino di Neuromante deriva anche da tre elementi, che verranno poi sviluppati in Giù nel cyberspazio (Count Zero, 1986) e Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive, 1988), gli altri due romanzi che insieme a Neuromante compongo la Trilogia dello Sprawl. Il primo è una considerazione sull'arte attraverso il personaggio di Peter Riviera. Riviera, grazie ai suoi impianti, può realizzare performance olografiche muovendosi tra la propria immaginazione e quella delle persone che gli stanno di fronte. È quindi in grado, da un lato, di utilizzare questa abilità per sfuggire da situazioni sconvenienti e di approfittare dell'effetto sorpresa per uccidere i propri nemici, e dall'altro, di risvegliare la mente e le emozioni dei suoi spettatori. Gibson, precorrendo i tempi, fonde arte e tecnologia per riflettere su quanto l'espressione artistica sia potente e sulla sua possibile evoluzione futura.

Il secondo punto di forza è l'inserimento di elementi della cultura africana, in particolare dell'immaginario rastafariano, fatto di musica dub, il ricorso costante alla metafora di Babilonia e l'uso di cannabinoidi. L'autore vuole mostrare le potenzialità di un mondo globalizzato, caratterizzato da scontri e insicurezza, ma anche dalla realtà della solidarietà e del mutuo soccorso, in un contesto di accettazione pacifica del diverso.

Il terzo elemento è la droga. Tra cocktail di stupefacenti e nuove invenzioni nel campo dei calmanti, come i derma da applicare quasi come cerotti, tutti i personaggi finiscono per farne uso: chi per diminuire il dolore, chi per restare sveglio per giorni di seguito, altri semplicemente per estraniarsi. In Neuromante viene immaginato un mondo in cui la droga viene utilizzata in sostituzione delle normali medicine. Gibson parla di cliniche abusive e mercato nero di organi, oppure di strutture private per le classi benestanti, in una società dove si è disposti a tutto per una dose di stupefacenti così come per una cura: una visione pessimistica, ma tremendamente concreta e possibile, di una mondo in disfacimento e di un divario economico sempre più ampio tra ricchi e poveri.

Quello che oggi le opere cyberpunk come Neuromante ci possono dire è che, in un mondo dove il virtuale e il reale sono sempre più difficili da distinguere, conterà sempre di più il valore della fisicità e dell'emotività, del corpo come carne e della mente come ragione e sensazione, raccontandoci qualcosa anche dal punto di vista ecologico, riguardo allo stretto rapporto tra uomo e ambiente: la prevaricazione del primo sul secondo potrebbe portare a conseguenze disastrose per l'ecosistema, agevolando la formazione di scenari distopici in cui i paesaggi naturali vengono sostituiti da panorami artificiali in plastica e silicio, la cui finzione finisce inevitabilmente per simboleggiare la falsità della vita stessa.

 

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