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Mecha Musume: Come ti trasformo la corazzata in una ragazza animata

Il paese del sol levante nasconde moltissime peculiarità quando si parla della cultura che gira intorno al mondo animato, che sia vissuta tra le veloci vie di internet o nelle affollate strade di Akihabara. Quante volte abbiamo visto gli stereotipi convergere in mode di tendenza? L’ondata delle Maid, il gusto per le avventure in mondi digitali, l’allegria celata delle Mahou Shoujo, l’eroismo degli shonen e perfino una loro deriva sportiva figlia della forte cultura orientale agonistica. Tra questo marasma di generi e idee, un fenomeno in particolare viene visto dagli occhi occidentali in maniera alquanto bizzarra e inusuale, così tanto fuori dagli schemi da non comprendere il nesso logico dietro la sua genesi.

Partiamo però con ordine e prendiamo come esempio il nuovo anime disponibile in simulcast su Crunchyroll: Girly Air Force. La sua storia verte infatti attorno a delle figure non ben precisate che vivono a metà tra l’identificazione in dei jet militari e in delle ragazze normali che, in realtà, sono esse stesse l’aereo. Questa tecnica, se così vogliamo chiamarla, è più comunemente nota come “Moe Antropomorphism” e in parole comprensibili a tutti gli esseri umani significa trasformare oggetti, animali o altre entità in delle versioni umane dall’aspetto carino e giovanile (da qui Moe).

L’elicottero e la ragazza sono però entrambi descritti molto ambiguamente proprio per non lasciare intendere che il veicolo sia de facto la fanciulla, la quale viene chiamata “Anima” dell’aereo. Essendo create artificialmente in separata sede e collegate indissolubilmente al veicolo, si può effettivamente catalogare l’idea di Girly Air Force nel fenomeno antropomorfico descritto sopra. Tale trasformazione è oggetto di discussione all’interno della community, proprio perché rappresenta una nuova declinazione un po’ atipica del fenomeno chiamato “Mecha Musume”.

Moe Antropomorphism: trasformare oggetti, animali o altre entità in delle versioni umane dall’aspetto carino e giovanile

Questo termine, per quanto strambo e nuovo vi possa sembrare, ha in realtà una ricca tradizione alle sue spalle che risale a più di 20 anni fa. La sua creazione e prima nomenclatura appare tuttavia solamente intorno al 2000 quando il noto artista Fumikane Shimada produce insieme a Konami una collezione di statue chiamate Mecha Musume, le quali hanno un aspetto che mischia elementi meccanici e metallici al loro corpo, creando una sorta di incrocio tra i motori di un aereo e le sinuose linee delle giovani ragazze animate. Non a caso, una delle opere più significative legate alla nascita della corrente è il famoso Strike Witches, dove vediamo come protagoniste proprio delle ragazze “motorizzate” che solcano i cieli come se fossero dei veri e propri jet. Dietro questa produzione c’era ovviamente Shimada e non è un’esagerazione se si afferma che egli sia il padre vero e proprio di questa idea creativa.

È bene però, prima di proseguire, andare a differenziare l’anatomia di queste ragazze da quella che appare nelle opere fantascientifiche più occidentali, al fine di comprenderne meglio le strutture narrative. L’ibridazione in questione potrebbe essere fatta passare come un rapporto che coinvolge l’installazione di impianti cibernetici, rendendola quindi affine allo scenario cyberpunk o a una più plausibile natura umana resa però artificiale. Della stessa valenza è l’ipotesi secondo cui, anatomicamente, queste figure siano puramente robotiche e, quindi, molto lontane dalla definizione antropologica dell’essere umano.

Entrambe le argomentazioni sono ben lontane dal concetto della Mecha Musume, la quale è definita come un vero e proprio organismo dalle fattezze umane - con tanto di organi interni e struttura ossea simile a quella dell’uomo – nata già con una serie di caratteristiche che rendono il loro DNA già fuso con gli elementi metallici, più o meno modificabili a seconda delle esigenze di trama.

A nessuno sano di mente verrebbe l’idea di trasformare le corazzate inglesi o gli incrociatori tedeschi in poppute donne di bella presenza

In Strike Witches questa loro natura è piuttosto evidente nel contesto delle battaglie: il danneggiamento delle parti meccaniche con conseguente dolore, la grande resistenza del corpo, la capacità di utilizzare munizioni convenzionali, la possibilità di solcare il cielo/il mare senza l’ausilio di mezzi esterni e altri elementi suggeriscono esattamente quelle caratteristiche che hanno accattivato il pubblico fin da subito, creando un perfetto mix tra fanservice e pura azione strategica.

Il mondo militare/mecha è indubbiamente uno dei più seguiti nella società giapponese, perfino in maniere molto serie. Non è una vera e propria cultura delle armi come quella americana, ma c’è molto orgoglio nazionale per le tecnologie e gli armamenti che il paese possiede, soprattutto perché storicamente l’ingegneria, sia bellica che civile, è stata un vanto per il Giappone e la sua popolazione più patriottica (e non a caso esiste un vero e proprio culto per i treni).

Questo sentimento radicato possiamo scorgerlo spesso nelle opere degli anni ‘90: in Neon Genesis Evangelion, Hideaki Anno ha trattato molto bene i veicoli militari apparsi sullo schermo, tanto da disegnarli e descriverli fino al dettaglio più infimo. Opere meno seriose come Full Metal Panic hanno usato l’ampio contesto militare in maniere sempre più creative, dall’umorismo al maniacale scontro tra tecnologie belliche internazionali. In particolar modo, Upotte!! e il recente Magical Girl Spec-Ops Asuka sono una vera e propria apologia alle armi incarnate negli spiriti delle ragazze animate. Senza contare quanto Metal Slug abbia attinto ai disegni militari di Miyazaki.

Considerando che la forte base culturale favorisce soprattutto i fruitori di sesso maschile, bastava solamente arrivasse qualcuno in grado di utilizzare l’idea giusta per realizzare la miscela più corretta, assicurandosi così di far breccia nel vasto pubblico di appassionati e amatori maturato negli anni. Ed ecco che entra finalmente in scena la produzione definitiva – e più conosciuta da noi occidentali - sulle Mecha Musume: Kantai Collection, o per gli amici KanColle

In Giappone il mercato dei “Gacha!” è forse uno dei più floridi e vissuti, accostato – e fuso – a quello delle Pachinko e delle sale giochi vere e proprie. Se si considera l’esplosione del mercato mobile e della sempre verde attenzione alla portabilità dei mezzi d’intrattenimento, capite bene che questo terreno è una miniera d’oro per chi sa sfruttarlo sapientemente. Kantai Collection si pone quindi come un gioco militare navale (e il Giappone è forse la potenza più vanitosa della sua flotta marina) dove le varie unità sono delle sexy Mecha Musume realizzate da alcuni disegnatori di spicco, tra cui Shimada stesso. Inizialmente sbarcato su PC, il suo immediato successo nelle nicchie di “weeabo” ha convinto la produzione a volerlo estendere anche al mercato smartphone e lì è veramente esploso come una supernova.

Le cause, seppur intuibili nella lettura, sono davvero molteplici: da una parte c’è sempre quel sentimento di orgoglio bellico che viene raddoppiato se si parla della marina del sol levante, dall’altra c’è abbastanza strategia da rendere interessante e complesso il gameplay, lasciandolo accessibile anche per chi è solo un curioso, infine la grande qualità dei disegni, il fanservice accuratamente dosato e un sistema di ottenimento gratuito delle eroine basato su percentuali hanno fatto sì che si trattasse di un prodotto raffinato e non volgare, un gioco vero e proprio e non un pretesto solo per mettere in mostra una bella fanciulla con dell’artiglieria sulla schiena.

Gli entusiasti dei veicoli militari e del mondo animato si sono subito buttati a capofitto e, a seguire, il resto del mondo ha guardato incuriosito questo prodotto proprio perché a nessuno sano di mente verrebbe l’idea di trasformare le corazzate inglesi o gli incrociatori tedeschi in poppute donne di bella presenza. Eppure, è piaciuto così tanto da tirarne fuori una serie animata, una Mod per World of Waships, un gioco da tavolo, un film e un’infinità di altre opere che ne hanno tratto ispirazione come Azur Lane o Z Girls. Addirittura, la sua enorme popolarità ha portato alcuni opinionisti coreani e giapponesi a riflettere sulla sua valenza storica: l’Asahi Shimbun ad esempio, una delle cinque maggiori testate nazionali del sol levante, ha ospitato un’opinione autorevole secondo cui alcune meccaniche del gioco, come la perdita permanente di una nave affondata, possano portare i giovani a riflettere sulla brutalità che i loro nonni e il paese hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale, stimolando la voglia di apprendere di più sulla storia del conflitto.

Come se non bastasse, KanColle è stato uno dei trend maggiori del Twitter giapponese, con tanto di nomi illustri dell’industria videoludica – tra cui Naoki Yoshida di Square Enix- che lo hanno reputato come uno dei migliori game design del 2013. Ciò si è rifletto anche a livello finanziario, portando ben 140 miliardi di Yen nelle casse del publisher DMM.com e superando di 140 volte il valore di produzione nonostante una natura completamente free-to-play. A seguire sono ovviamente arrivati i cloni, tra cui Token Ranbu, il quale trasforma delle spade storiche in aitanti ragazzi dal fisico scolpito, giusto per non escludere anche il pubblico femminile.

Il mondo del MechaMusume può risultare strano, bizzarro ed eccessivamente incline al fanservice per certi versi (stiamo pure sempre parlando del Giappone, ricordiamocelo), tuttavia l’idea di trasformare armamenti in ragazze ha letteralmente conquistato il mondo e il mercato, ben più di quanto abbiano potuto fare alcune produzioni più serie. La creatività, alla fine, paga sempre.

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