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Mass Effect - Il piacere della scoperta
Mass Effect è la trilogia di giochi di ruolo fantascientifici che ha portato nell'olimpo degli sviluppatori Bioware e io l'ho giocata tutta.
Gennaio 2008 rappresentò un importante punto di svolta nella mia vita: tornai nel mondo delle console.
Ero assente da anni, la generazione PS2 la vidi passare alla finestra ma non so per quale ragione, forse in concomitanza di voti a scuola più che dignitosi, mi feci regalare una xbox 360.
Le ragioni della scelta furono varie, in primis Halo (e chi se no?), ma in seconda battuta la possibilità di modificare la console.
Lo so, detto adesso sembra peggio di quello che è ma in realtà è stata per tutto il corso di quella splendida generazione la spina dorsale della mia conoscenza videoludica.
Potevo giocare a tutto: mi presentavo dal mio spacciatore di fiducia, gli poggiavo sul banco un pezzo di carta rettangolare e ne avevo indietro uno di plastica circolare. Funzionava così.
Non era una fruizione molto differente da quelle che offre il sistema xbox game pass adesso, con la possibilità di switchare alla velocità del pensiero tra un gioco e l’altro, solo che all’epoca era tutto meno cool, le copertina stampate con la fotocopiatrice e poi ritagliate ingiallivano o scolorivano, le foderine di plastica si indurivano e si spaccavano sul fondo… ma all’epoca chi ci pensava a cose come l’etica o l’estetica? Volevo solo giocare.
Ricordo distintamente come al mio compleanno i miei compagni di classe si presentarono con un headset, il tastierino per il pad per mandare messaggi agli amici tramite la party chat di xbox live e due giochi, PES 8, immancabile in tutte le case di persone rispettabili, e Mass Effect.
Non so come siano arrivati a Mass Effect onestamente, probabilmente per assonanza di genere con Halo, che tipo c’erano le astronavi e gente con tute e caschi e doveva essere la stessa roba quindi, nella macroetichetta della fantascienza. E sono quasi certo che anche io, guardandolo la prima volta, pensai la stessa cosa.
Guardando indietro, con il senno di poi, è incredibile come fu splendido approcciare a quel gioco nella miglior disposizione mentale possibile: la totale verginità.
Concetti come “space opera”, “gioco di ruolo all’occidentale”, “Bioware”, “mondo aperto” mi erano totalmente estranei.
Halo 3 era un giocone, ma comunque la versione potenziata e raffinata di un gioco che avevo conosciuto e amato su pc.
Assassin’s Creed, altro titolo che mi aveva spinto tra le braccia delle console, era comunque una roba molto simile a Prince of Persia (il remake) che avevo consumato insieme al suo sequel su pc. Si saltava, ci si arrampicava, quindi dai, era lo stesso campo da gioco.
Mass Effect mi arriva quindi in mano come una roba strana.
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Se mi avessero detto Gioco di Ruolo Occidentale, avrei pensato a questo.
Non che fossi così all’asciutto di giochi di ruolo occidentali.
Negli anni del liceo arronzando sulle regole di Dungeons and Dragons ci riunivamo a casa di amici il sabato per passare il pomeriggio insieme prima di uscire (con sommo straniamento dei miei che, la prima volta, mi chiesero se si giocava con i soldi). Una volta un amico mi prestò anche Neverwinter Nights perché “uguale a DnD”, solo che mi lasciò freddo, freddissimo, per la sua macchinosità, la sua visuale isometrica, le figurine dei personaggi, la sostanziale mancanza di effetto wow. Probabilmente la mia diffidenza verso il genere iniziò lì, apprezzando il gesto tecnico dell'adattare le regole ma trovando una incredibile distanza tra me e loro, incolmabile, dato che io volevo giocare i drammoni giapponesi à la Final Fantasy, da bravo adolescente cresciuto con l’Anime Night di MTV.
Mass Effect però era differente.
Prima di tutto non c’erano le figurine e le isometrie, poi c’erano le pistole e le astronavi, per me differenze sostanziali che lo allontana da Neverwinter Nights ad una distanza siderale. Beata gioventù.
Non so quanto Mass Effect fosse apprezzabile ad un giocatore occasionale ma le sensazione era quella, almeno ad uno cresciuto a pane e Star Wars (anche qui, mi lascio scendere una lacrimuccia pensato alla mia adolescenza vanilla), c’era la spiegazione dell'antefatto ad inizio gioco, c’era la presentazione del personaggio e la sua effettiva costruzione.
Fu la prima volta che ebbi a che fare con un editor del personaggio e ne uscì uno sgorbio. Il concetto di classe lo avevo mutuato da DnD, ma non c’era scritto “guerriero” e “mago” quindi non sapevo stessi avendo a che fare con la stessa roba.
Mass Effect per me fu aprire la porta su un mondo più vasto che avevo solo intravisto attraverso lo spiraglio di una porta. Sui generi, sicuramente, che forse sono meno schematici di quanto in giovane età era legittimo aspettarsi ma anche sul mondo dei videogiochi che mi era totalmente alieno.
Ripensandoci adesso, quel modo completamente naïf con il quale mi ci approcciai fu perfetto e irripetibile.
Semplicemente andavo avanti vivendo la storia completamente privo da qualsiasi sovrastruttura, libero da concetti esterni al gioco, ignorando i giudizi della stampa di settore, dalle opinioni di qualcuno che aveva giocato a quel titolo prima di me, dato che ero un pioniere e la xbox360 nel mio giro l’avevo soltanto io.
Una libertà tale da qualsiasi pregiudizio autoindotto o determinato da influenze esterne non credo di averla provata mai più.
Era un'esperienza complessa che iniziava e finiva con me, il salotto dell’appartamento dove stavo all’epoca e la xbox nuova di pacca.
È stato il secondo gioco che ho finito dopo Halo 3 ma, per certi versi, ha su di me avuto un impatto maggiore nel modo di percepire il media.
Credo ci siano alcuni momenti chiave nella vita di ogni videogiocatore, punti in cui le esperienze che si vivono sullo schermo hanno qualcosa di totalizzante che rivaleggiano con il sentimento di scoperta e magnificenza estatico che si prova davanti alla vastità della natura, momenti nei quali i profili dello schermo scompaiono e tutte le menate tecniche passano in secondo pianto tanto il mondo di gioco entra prepotente nella vita del giocatore e ne diventa una parte integrante.
Impossibile non citare le pianure di Hyrule in Ocarina of Time, la prima volta del ciclo giorno notte fuori dal castello, con i non morti che sorgono dal terreno per attaccare Link, oppure quando esci dalla Pillar of Autumn durante il primo Halo e l'orizzonte si spalanca davanti ai tuoi occhi increduli guardando il complesso Halo che si avvolge in un anello nel cielo.
A Mass Effect associo la stessa sensazione di scoperta di qualcosa di troppo più grande, l’universo pulsante di storie intrecciate che vivono indipendentemente dalla presenza del giocatore.
Quando apri la mappa stellare per la navigazione nella Via Lattea e vedi la vastità del cosmo che si spalanca davanti a te. Va bene che non era tutto esplorabile (e ci mancherebbe) ma il me giocatore di allora non lo sapeva, non aveva familiarità con le possibili configurazioni di un mondo “chiuso” o “aperto” e per lui quindi quella era la mappa delle stelle che stavano lì alla portata di un balzo hyperluce.
Ugualmente l’arrivo alla Cittadella fu sbalorditivo, fu lì che assimilai il concetto di “hub”, che immaginai per i png una vita che non avevano realmente in quanto solo frutto di uno schema situazionale. Cercare il personaggio non giocante con il quale parlare per progredire nella missione, le possibilità di interazione e con cui scegliere come rapportarmi accorciarono la distanza che separava l’io giocante dal personaggio, davo risposte impulsive, cercavo moderazione se il mio interlocutore mi risultava simpatico o se condividevo le sue motivazioni… Non c’era intenzionalità nel seguire una linea di condotta unica prestabilita durante tutto il gioco, il sistema di allineamento mi sfuggiva anche nei giochi di ruolo carta e penna, figuriamoci in un videogame, e questo restituì al mio Shepard una personalità sfaccettata, dalla moralità sfumata, pensavo, nella realtà solo un lunatico emotivo.
Mai più mi sono concentrato sulla sezione di gioco del Processo come in quella prima rum, mentre cercavo mentalmente le soluzioni di dialogo migliori per essere scagionato dalle accuse tanto ero dentro la situazione degli umani che erano malvisti dalle altre razze aliene.
Tutta la mia ingenuità e inesperienza contribuirono a rendere Mass Effect un momento unico.
Non era importante che si sparasse male (a Gears of War avrei giocato solo mesi dopo) che le sezioni di guida a bordo del cingolato fossero goffe (ero abituato ai warthog di Halo) erano tutti frammenti indifferenti di un gioco più grande della somma delle sue parti ed ero troppo più focalizzare sull’esperienza complessiva come mai sarebbe accaduto dopo.
Per tutte queste circostanze, a Mass Effect associo il gusto della scoperta, del tracciare una linea che segnerà il livello per tute le esperienze videoludiche successive.
In virtù di questa linea, pur essendo frutto dello stesso team (grossomodo) trovai l’esperienza di Dragon Age incredibilmente inferiore, pilotata verso lidi più consolidati del fantasy tradizionale.
Dopo quel primo Episodio mi presentai puntuale a tutti gli appuntamenti successivi, ignorando solo lo spin-off Andromeda, annullando il preordine (anche quella, un’ingenuità ormai appartenente ad un altro modo di vivere il videogioco) in tempo per non dover patire di un gioco mediocre.
Non mi feci prendere male dal tanto paventato “snaturamento della componente RPG” del secondo e terzo capitolo, alcune meccaniche dell’inventario e dell’equipaggiamento una volta snellite funzionavano molto meglio, e c’era anche una lettura in chiave narrativa, con la morte di Shepard all’inizio del secondo episodio e l’interpretazione del finale secondo la quale era in atto un condizionamento mentale dal momento in cui il Capitano aveva toccato l’artefatto all’inizio della serie.
Ho anche molto poco tollerato le critiche mosse al finale, anche questo molto attuale come tema, un assaggio di ciò che sarebbe arrivato dopo quando capannelli di videogiocatori scontenti si sarebbero riuniti agli angoli delle strade (virtuali) per protestare contro il finale, troppo criptico, troppo duro, contro gli sviluppatori.
E già provando simpatia per gli autori e schierandomi dalla loro parte per il diritto di concludere un’opera come meglio credevano, questo fece tutta la differenza negli anni a venire: come se un giocatore, l’ultimo anello della catena, dall’alto della sua potenzialità d’acquisto che, spoiler, si era già giocato per arrivare a vedere il contestato finale, potesse pretendere un finale diverso, imponendosi sulla visione artistica.
Negli anni successivi la fine della generazione X360, per colmare il vuoto colpevole lasciato dalle edizioni pirata di Mass Effect che avevo giocato fino a quel momento, ho acquistato il cofanetto con la Trilogia completa, cartonato, patitissimo. Quando ho saputo dell’uscita dell’edizione rimasterizzata per PS4 sono rimasto molto contento, un po’ per quel gusto della conversazione (che andrebbe approfondito a parte per tutte le sue contraddizioni) quanto per poter tornare di nuovo nei luoghi che ho amato, rivivere quelle storie con quei personaggi e magari compiere scelte diverse perché sono cambiato molto dai miei 17 anni e tornare ancora una volta sulla breccia a combattere contro l’estinzione.