Manzoni, i Tarocchi e tutto quanto: i Promessi Sposi alchemici?
Una curiosa edizione dei tarocchi dedicata a Manzoni sono l'occasione per una riflessione sull'opera e sugli Arcani Maggiori.
Uno dei corrispondenti che mi scrive talvolta di cose esoteriche di cui sono curioso - ve ne sono alcuni, la maggior parte dietro pseudonimo, spesso coltissimi di cose ermetiche come in questo caso - mi segnala questi sorprendenti Tarocchi del Manzoni. Sono incredibilmente accurati e valgono da soli molto più di tanti saggi di analisi dell'opera del Don Lisander.
Come si può leggere qui, si tratta di un mazzo celebrativo realizzato nel 1985, nel bicentenario della nascita. Le carte sono fatte creare dalla Banca Popolare di Milano, e l'introduzione mette le mani avanti, come si fa di solito quando si va a giocare con l'esoterico:
Niente di superficiale (o di… sacrilego), intendiamoci, ma solo una rilettura dei «Promessi Sposi» fatta con i tarocchi, carte misteriose già chiamate in causa innumerevoli volte nel passato per dare un significato arcano, con figure «ad hoc», a vicende storiche, letterarie e così via. Un «divertissement», dunque...
Pubblicati in una tiratura limitata di 500 copie, gli autori di questo tarocco sono Angelo Fedegari e Piera Grandesso. Le carte sono di grandi dimensioni e sono tutte illustrate. La cosa interessante è che gli Arcani Maggiori, le ventidue figure più alte del tarocco che da sempre costituiscono il fondamento delle riletture iniziatiche della tradizione tarologica (vedi ad esempio questo valido saggio di EffeQu), corrispondono particolarmente bene ai principali archetipi del romanzo.
La cosa significativa è legata al fatto che i Promessi Sposi sono fin dall'inizio, più di quanto si voglia ammettere, un romanzo che deve il suo successo all'essere un "graphic novel", un "romanzo illustrato" dove questa componente - tramite le incisioni di Francesco Gonin (che apprezzo molto come autore ottocentesco, anche per l'aver affrescato in parte la cattedrale della mia Mondovì) è importante a far penetrare il testo in un pubblico popolare. Ne ha parlato bene Eleonora Brandigi qui, in questo testo in gran parte disponibile free su Google Books: "L'archeologia del graphic novel" (2013). E si vede anche nella diffusa influenza sul fumetto italiano, che ho ricostruito qui.
Naturalmente, c'è da fare una piccola premessa ai Promessi: non è un testo come tanti altri.
È IL testo, per eccellenza, che si incontra e con cui ci si scontra nella propria formazione, specie in epoca ancora classica.
Personalmente sono cresciuto come "quello bravo in Italiano" fin dalle elementari, e così col Manzoni - assolutamente centrale - ho avuto un percorso conflittuale. Ho sopportato con fastidio il Manzoni dei buoni sentimenti delle elementari, quello cattolico delle medie, quello nozionistico delle superiori, e pur trovandola interessante, la lettura critica marxista gramsciana di Manzoni fondatore della tradizione neorealista prevalente all'università non mi soddisfaceva. e per quanto col tempo, nelle infinite ripetizioni di Manzoni, ne abbia imparato ad apprezzare la complessità (Umberto Eco lo amava, per dire) non potrò mai perdonargli di essere colui che, in forza della sua autorità, ha stroncato con grande influenza - viva ancora oggi - il fantastico in Italia.
Il mio rapporto col Manzoni, romanzandolo un po', può essere quello espresso da Starnone nei suoi romanzi - da professore acutissimo osservatore della scuola - e passato in un film agrodolce come "Auguri professore". La differenza, forse, è che quello che per il personaggio di Silvio Orlando diventa il marxismo, per me è stata la cultura pop.
Ad ogni modo, quelle che seguono sono le immagini degli Arcani Maggiori manzoniani, che esaminerò.
Il tarocco in questione prevede anche le figure per gli Arcani Minori, ma seguendo Jodorowski - e la linea tradizionale - ha poco senso variare gli arcani minori, le comuni carte numerali legate ai vari semi e le figure corrispondenti. Difatti, nella tradizione queste non sono figurate, si tratta di una riscrittura tarda che ha quindi minor valore tarologico. Oltretutto, per i Promessi funzionano benissimo i semi tradizionali, Coppe, Denari, Spade e Bastoni. Il convivio è un momento cruciale in molte scene dell'opera (Coppe), tra osterie e palazzi; i Denari ruotano dietro allo svolgersi di molte vicende, e Spade e Bastoni rimandano ai due poteri giustapposti, quello della nobiltà in crisi e quello delle insorgenti rivolte popolaresche.
Questo tarocco ha però anche anche alcune interpretazioni piuttosto incongrue: e se alcune hanno un senso "commerciale" (porre Renzo e Lucia come carte autonome) altre non me le spiego (o non le capisco) a meno che non siano una "dissimulazione onesta", non impossibile in ambito iniziatico, per cui si mettono alcuni "errori" per non disvelare appieno i segreti iniziatici ai profani. Naturalmente c'è sempre il rischio di sovrainterpretare in questo caso, ed essendo i tarocchi degli archetipi fondamentali, come spiega Jung, è facile incastrarli in molte narrazioni (qui, sul mio blog, avevo esaminato le corrispondenze tarologiche della prima stagione di Westworld; qui, invece avevo esaminato una serie di 22 immagini dell'artista Urfaut, che potrebbero essere avvicinate alle lame degli Arcani Maggiori).
Tuttavia, vediamo quali sono le scelte di questo mazzo di tarocchi, e perché gli Arcani Maggiori hanno interpretazioni particolarmente azzeccate. Laddove non concordo con le raffigurazioni, proporrò le mie alternative. Così, se volete, potrete anche avere la mia variante dei tarocchi di Manzoni.
Il Matto è mostrato come un uomo-libro del '600, completamente ricoperto di questo "nuovo" prodotto che egli va a vendere in modo itinerante. Una scelta azzeccata simbolicamente, perché il Matto, l'arcano senza numero, è in qualche modo "fuori" dal ciclo degli altri Arcani Maggiori, primo e ultimo degli stessi. E, oltre a riprendere una figura secentesca, si riprende la natura metanarrativa dei Promessi, a partire dall'introduzione (il finto manoscritto ritrovato) ma costante in tutta la storia - vedi questo interessante articolo di Giulio Mozzi.
Il Mago, similmente, è Manzoni. Il manipolatore di tutta la storia, e anche il Narratore Esplicito, che è quindi a sua volta personaggio della narrazione.
La Papessa è la Monaca di Monza, mentre per l'Imperatrice si sceglie Agnese come "Grande Madre". Questa è una delle prime scelte su cui avrei da opinare, anche perché appare duplicata più avanti. La figura di potere laico tra l'altro c'è: Donna Prassede. Tra l'altro, nell'illustrazione originale di Francesco Gonin, la notiamo in una posizione (certo, certo, non voluta: ma perfetta) del "solve et coagula".
L'Imperatore è ridefinito Il Grande Vecchio, e sembra la scelta più logica: Il Conte Zio. Il patriarca della famiglia di Don Rodrigo, membro tra i più autorevoli del Consiglio Segreto del governo milanese, che fa spostare Fra Cristoforo per favorire le bizze del nipote, per il famigerato "punto di principio" in cui si trasforma la vicenda. Non un imperatore ma, comunque, nell'economia del romanzo, forse la figura più potente laica che entra in gioco.
«Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva un certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c'era il suo compagno»
Un prestigio aumentato dopo un viaggio a Madrid, nel palazzo reale, dal Re di Spagna; quindi brilla della "luce riflessa" dell'Imperatore.
Il Papa, emendato ne Il gran sacerdote, è correttamente Il Cardinal Borromeo
La correzione più incongrua è su Gli Amanti, tramutata nel singolo "l'innamorato", mentre è carta per definizione "doppia". Curiosamente, è la carta che coincide - in modo non forzato - col romanzo e col suo titolo: I Promessi Sposi. Quindi, andrebbe emendata in una carta coi due fidanzati. Qui probabilmente la variatio vuole fornire una carta di Renzo "da solo". Ma vediamo che ci si può arrivare agevolmente in altro modo.
Il Carro propone Il carro di Cecilia. Cosa che funziona da un punto di vista simbolico esteriore, ma non "interiore": il carro è azione, movimento, energia. Più che il carro di Cecilia, direi "l'altro" carro dei Promessi: il Carro di Ferrer.
La Giustizia è rappresentata dal Notaio Criminale, che incastra il povero e inesperto Renzo, e dai "birri" (ci sono sempre alcuni allievi molto divertiti da questo termine manzoniano. "Ma lui può dirlo?" e incuriositi dalla spiegazione filologica: una inversione del termine "rubium", "rosso", dal colore della casacca della tipica guardia milanese, che diveniva "birum"). La cosa è appropriata in modo particolare, perché anche la Giustizia dei tarocchi, come quella terrena del mondo di Manzoni, è in realtà una truffa ai danni dei deboli: infatti con un ginocchio nella figura originale sposta uno dei piatti della bilancia con cui dovrebbe pesare equamente.
L'Eremita è Frate Cristoforo, e di nuovo funziona bene come ruolo esteriore e interiore, figura spirituale e di sapienza, l'Obi Wan Kenobi del giovane padawan Renzo (anche se non perdonerò mai al Manzoni, causa del suo troppo estenuante cattolicesimo, di non aver concluso come si doveva i Promessi, ovvero con un duello nel lazzareto tra Don Rodrigo, più abile ma fiaccato, e un Renzo addestrato da Frate Cristoforo, che con la spada ci sapeva fare).
La Ruota viene associata alla figura dei due Promessi, non usati per gli "Amanti", con cui di fatto coincidono. La variazione è così strana, come dicevo, che a un malizioso verrebbe da pensare a un rovesciamento volutamente grossolano. La Ruota rappresenta il continuo cambiamento, come la morte e distruzione di uno sia la vita e la salvezza dell'altro, con i tre personaggi ad essa legati: Regnavi, Regno e Regnabo: Regnai, Regno e Regnerò. In questo senso, la Ruota è il Carro di Cecilia, questo sì: perché a un primo livello è il simbolo del massimo orrore della peste, l'uccisione dell'innocenza assoluta. Ma, nell'economia del romanzo, "la peste è una scopa", che spazza via Don Rodrigo e i prepotenti come lui, che si fanno beffe del contagio, convinti di essere superiori come quel Principe Prospero di Edgar Allan Poe nella Maschera della Morte Rossa (e Poe era un grande apprezzatore del Manzoni). Ingenuità ovviamente oggi passate totalmente di moda.
Se vogliamo, c'è anche un altro simbolo della Ruota, in senso proprio, nel romanzo:
«Condotti al luogo del patibolo, le siano dal carnefice con una ruota ben ferrata spezzate ad uno ad uno tutte le ossa principali del corpo del cranio della testa in poi, poiché possino i loro corpi intessuti vivi fra i raggi di detta ruota, e poiché in essa fra quelli accerbi cruciati in pena della sua scelleratezza ad esempio dei simili mostri di crudeltà avranno vomitata quella anima infelice, che informava quel corpo scelerato, sia quell'infame cadavere come peste del mondo gettato nelle fiamme e ridotto in minima polvere che sparsa nell'acqua di un vicino viume, si disperda, non convenendo che qualsivoglia minima parte di lui abbia sepoltura in quella città o luogo, che avrà così empiamente tradito.»
(Dalla grida del 7 agosto 1630, contro gli untori, firmata da Antonio Ferrer ne I Promessi Sposi)
La ruota della tortura, che resta sullo sfondo (ma non nel testo strettamente collegato ai Promessi, la Storia della Colonna Infame) della narrazione ma è ben presente come orrore della storia in agguato. Ma non è un vero e proprio archetipo nella narrazione, quindi propenderei per lo spostamento del carro di Cecilia di cui ho detto.
La Forza sono I Bravi, e questo può funzionare.
L'Appeso sono I polli di Renzo, e qui si vede di nuovo una conoscenza dettagliata dell'opera. Sia nel senso letterale (i polli sono "impiccati" nelle mani di Renzo), sia nel senso simbolico (l'Appeso rappresenta l'impossibilità di agire: i polli nelle mani di Renzo, ma i due Promessi nelle mani di Don Rodrigo e della sua rete di potere).
La Morte resta lei, la Peste. Di nuovo, qui, identità assoluta di archetipi. La morte così come effigiata nella cultura occidentale deriva, come noto, dalla terribile peste del '300, quella del Decameron di Boccaccio.
La Temperanza è, duplicata, Agnese che mesce dell'acqua in un bicchiere. Ammetto che da un lato questa visione non mi convince del tutto, perché Agnese simboleggia piuttosto una saggezza popolare pratica. Ma non saprei con che immagine sostituirla, quindi qui la confermo nella sua sede. Non manca chi, online, nel parlare di temperanza, sceglie i Promessi come miglior esempio di tale virtù:
"Nel finale della storia, nell’insegnamento ultimo del libro, che si esprime nel “ sugo di tutta la storia", faticosamente ritrovato dai due sposi “dopo un lungo dibattere e cercare insieme", sarà dunque quella “fiducia in Dio" che, se non elimina dal mondo il dolore, aiuta ad accettarlo con moderazione (temperanza), sperando nell’avvento del bene, lontano sia dall’illusione proterva di chi si ribella fidando soltanto in se stesso, sia dal conformismo vile di chi asseconda il trionfo del male per amore del quieto vivere. Questa, secondo me, è la miglior prova di TEMPERANZA di tutta la storia della nostra letteratura."
Il Diavolo è Don Rodrigo, e di nuovo è perfetto.
La Torre è L’innominato, e questo di nuovo mostra una conoscenza fine dell'opera, perché l'Innominato nel disegno fissa la Torre in cui ha rinchiuso Lucia. Simbolicamente essa è "una costruzione, tanto materiale quanto sacra, che viene distrutta da una folgore": e come la Torre di Babele, il Castello dell'Innominato sta per "cadere" per la conversione del suo proprietario, anche qui, come a Babele, per intervento di un (qui immateriale) folgore divino.
Le Stelle rimandano a Don Ferrante, che seguendo l'Astrologia rifiuta le spiegazioni razionali sulla Peste. Nei tarocchi, sono il Destino.
Come se questo schivare il contatto materiale de’ corpi terreni, potesse impedir l’effetto virtuale de’ corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?” His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.
Come spesso in Manzoni, la condanna ironica e illuministica di Don Ferrante è un'arma a doppio taglio, perché nella stessa opera, teoricamente, Manzoni invece sostiene che, se la Provvidenza ha deciso di difendere due "ultimi", il potere terreno può fare nulla contro di "Giove".
La Luna è Don Abbondio (colto nella scena più "lunare" che lo vede protagonista, nella Notte degli Inganni). E si capisce l'esigenza di incastrare questo personaggio in un "a solo", dato il suo rilievo. Però, ritengo che questi due archetipi connessi, Luna e Sole si colleghino alle due figure principali del poema: la Luna per Lucia, e il Sole per Renzo. Tale parallelo è stato addirittura avanzato in sede di lettura esoterica del Manzoni, anche scollegato dai tarocchi.
Lucia, è la versione femminile del latino Lucius, che significa “Luminoso”, da lux, luce. Manzoni ne descrive l’acconciatura fermata da radiosi spilli d’argento (il metallo della Luna) come raggi di un’aureola (cfr. “I Promessi Sposi”, capitolo II). Renzo, Lorenzo, deriva invece dal latino "laurus", alloro, la pianta sacra ad Apollo, Dio ellenico del Sole.
Da qui, in una interessante lettura alchemica dell'opera. Appare poi evidente che il duplice archetipo è rafforzato, in chiave alchemica, dal fatto che Renzo e Lucia devono unirsi ma questa unione è un viaggio lungo, complesso e travagliato, come la Coincidentia Oppositorum che permette di generare il Rebis, l'Androgino, l'Ermafrodita in Alchimia (a cui si allude con l'unione sessuale tra i due amanti).
Renzo può essere avvicinato al Sole per simmetria; ma alcuni ermetici ipotizzano anche un simbolismo nel nome iniziale di Fermo (nell'eliocentrismo, il Re-Sole è fermo e gli altri vi ruotano intorno) e alcuni azzardano addirittura un anagramma Rozen che lo ricolleghi a Christian Rosenkreutz.
Ancora, altri evidenziano come l'androgino sia simboleggiato dalla Y (vedi la celebre incisione con Alberto Magno che, nei Symbola Aurea di Michael Maier, 1617, indica il rebis che regge la Y). E "Quel ramo del lago di Como" è l'ambientazione, e uno dei molteplici incipit, del romanzo. E il lago di Como è, ovviamente, un Y rovesciato.
Il Giudizio resta L’Angelo del Giudizio. E la cosa funziona, dato che tutta l'opera è incentrata, come arcinoto, sul manifestarsi della Provvidenza come giustizia divina.
Il Mondo correttamente pone Gli Sposi, il coronamento dell'opera con la trasmutazione dei Promessi in Sposi. Volendo, l'incisione del Gonin recupera anche la figura di Don Abbondio, che nella mia versione rectificata avrei omesso.
Il Mondo, naturalmente, appare come carta con figura singola, ma nelle letture iniziatiche si sottolinea spesso la natura androgina che essa manifesta, come segno dell'avvenuta concordia discors alchemica. E quindi è perfetto come coronamento dell'opera.
Insomma: come ho già detto, il rischio di sovrainterpretare in questi casi è sempre in agguato, e non si prenda queste righe in modo troppo letterale, ma come un gioco sulla scia del "Pendolo di Foucault" che costituisce per me la bussola dei miei divertissment. Forse c'è davvero un manoscritto a cui il Manzoni si è ispirato per i Promessi: e quel manoscritto forse sono Le Nozze Alchemiche di Christian Rosenkreutz.
Oppure non è così, e il Manzoni che ci hanno insegnato alle elementari, alle medie, alle superiori e all'università è quello vero. In ogni caso, mi pareva una variazione da proporre che potesse essere curiosa per i nostri venticinque lettori di Nerdcore. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.