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Kafkanya: storia di una veterinaria che voleva fare la streamer

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Kafkanya è una streamer atipica, che macina centinaia di views dipigendo, leggendo libri e doppiando film, le abbiamo chiesto di raccontarsi

Kafkanya è una streamer da quasi 40.000 follower che ogni giorno porta su Twitch un programma diverso da quello che normalmente ci si aspetterebbe su questa piattaforma: pittura, letture, prove di doppiaggio in diretta, recensioni di film e serie tv. Le abbiamo chiesto di raccontarsi, parlando con la bambina che era, di una generazione online che crea il suo palinsesto.

Vorrei poter alzare la cornetta di un vecchio telefono e comporre un numero altrettanto vecchio, di quelli che non è necessario scrivere sul retro di uno scontrino o su un block notes. Lo hai in mente da sempre. Chiamerei Virginia, vorrei sentire la sua voce in una linea degli anni ‘90. Lei risponderebbe senza remore scostandosi i capelli voluminosi (che non odia ancora). Vorrei sapere come passerà quella giornata, se sta ancora leggendo “Tartarino di Tarascona” o ha deciso di prendere un foglio per poi rimanere ore assorta senza decidere il soggetto del suo format, arrabbiandosi con se stessa.

Vorrei che si fermasse a parlarmi di come ha sistemato il salone alla bell’e meglio, approfittando dell’uscita dei suoi genitori. Sta tutta lì nella sua testa l’idea di fare un programma televisivo che non andrà mai in onda, giochi a premi chiamando persone che non esistono, di essere un’inviata del tg con una spazzola ad uso microfono. Molto pratico. Funzionava.

Mi potrebbe dire al telefono che volte queste puntate, forse per conservarle come ricordo. Se la mia voce potesse passare attraverso quella membrana vibrante, per cavi elettrici e considerevoli fili, direi a quella bambina di valutare quella sua passione come lavoro futuro. Ma non posso. Mi limito a immaginare le sue parole in una conversazione muta.

Voglio continuare a illudermi che possa continuare a parlare della sua recitazione casalinga, dei falsi programmi radio registrati su cassetta, dei pantaloni a zampa di elefante rovinati dopo la pioggia, della chitarra che non suonerà più. Ometterebbe di dirmi del successivo bullismo nei suoi confronti e il cambiamento inevitabile a cui sarebbe giunta.

Il desiderio di interfacciarmi con la me del passato è forte, ma in fondo giungiamo ad essere le persone che siamo solo dopo avvenimenti che casualmente sono entrati in casa nostra senza aver suonato il campanello.
Ho avuto la forza di lottare per riottenere il mio carattere estroverso (seppur con le sue fragilità) , la creatività e la spiccata indole del mettere a posto le cose. Probabilmente non ci riesco davvero a mettere le cose al loro posto, ma mi piace pensarlo.

Nel 2010 frequentavo Medicina Veterinaria, mi piaceva. Il primo anno era trascorso tra chimica, stanze con odore di cadaveri di animali, abbracci, piadine al bar. Parallelamente qualcosa stava aprendo uno spiraglio, creando uno spazio per poter uscire. Uscire dove? In realtà non ne sono sicura, ma penso che se avesse voluto contattarmi l’avrebbe fatto anni prima con chiamata a carico del destinatario. Chiamiamola fantasia, arte, uscire dagli schemi. Cavolo, mi ero ricordata cosa significasse.

Iniziai a fare cosplay proprio quell’anno, era estate e anche se non andavo in spiaggia avevo assunto una tonalità di sabbia bruciata in viso. Ho sempre avuto una grande passione per i personaggi degli anime, fuori dal tempo, molto caratteristici da non poter trovare spazio nella nostra società. Ma in verità il primo personaggio che ho interpretato è stato Ling Xiaoyu di Tekken, non sapevo tantissimo di lei, avevo giocato a quel titolo alcune volte e mi aveva colpito quella ragazza dai capelli nerissimi apparentemente innocente.

Sempre quell’anno partecipai ad un evento cosplay nella mia città, una grande novità per Bari. Il Parco Due Giugno non aveva mai visto così tante persone riunite fino ad allora. O forse sto solo esagerando io, probabilmente ci saranno stati altri casi più eclatanti.

Essere cosplayer, ossia vestire i panni di personaggi di cartoni/videogiochi o film, era per me il primo passo concreto per riprendere in mano la mia essenza, che intanto si stava facendo un drink in qualche bar in periferia. Ironico se ci pensate. Beh, servì. Dopo anni di Veterinaria giunsi alla conclusione che stavo soffocando, mi ero scordata fino a quel momento che ero stata una bambina che dipingeva, disegnava, amava la letteratura e soprattutto che poteva ridere con ancora maggior gusto. Lasciai la Facoltà.

Ricordo perfettamente il giorno esatto in cui il panico mi assalì, strisciando, facendo rumore e tutto ciò che ne consegue. Le persone mi dicevano che dovevo scegliere, non si può non scegliere nella vita, qualcosa devi essere.

Non mi davo pace perchè mi son sempre circondata di tutto e di niente di concreto allo stesso tempo: e ciò non toglie valore a quel “niente”.

Lo streaming è giunto in quella fase della mia vita in cui sentivo di essere insoddisfatta, di non poter comunicare alle persone, di non trovare la quadra di tutto. Come pezzi di conchiglie rotte sulla sabbia, poi diventano parte della sabbia. Io non volevo essere sommersa.

Alla fine del 2016 ho scoperto Twitch e la possibilità di essere me stessa davanti al mondo intero, senza limiti di spazio! Confini annullati, nessuna torre di controllo poteva bloccare il mio volo.

Qualche tè e piadina più tardi mi ero informata abbastanza sulle basi tecniche per procedere, il resto sarebbe venuto da sé. Il 26 Gennaio su  Twitch vide arrivò Kafkanya; il nome già lo usavo da un anno o poco più. Mi sentivo come una ballerina in sala che esercizio dopo esercizio imparerà una danza che mai si sarebbe sognata all’inizio di poter fare.

La praticità tecnica è stata presto affiancata da qualcosa di ben più difficile da ottenere, familiarità con una webcam, con una chat composta da diverse persone e tanti cervelli pensanti. Mi piaceva. Di lì a poco mi sarei svincolata dal farlo per hobby e sarebbe diventato un vero e proprio lavoro. Non ricordo il giorno esatto in cui ho realizzato tutto questo, ma ero commossa e incredula: questo lo ricordo ed in verità posso dire di provare ancora quei sentimenti. Non sono arrivata che ad uno dei primi gradini di una scalinata che sale senza che io possa vederne la cima.

Sarà la nebbia?

Se guardo giù trovo le rubriche di crafting dei miei cosplay, i gameplay di giochi che hanno dato del filo da torcere alle prestazioni del mio pc-catorcio, le live di disegno, il mimo sui titoli dei film (l’ho sempre trovato divertente e stimolante). Poi ci sono loro: i monologhi. Se ci penso sono a tutti gli effetti discorsi che porto avanti da sola, la voce è mia, la sento con chiarezza. Ma li rinomerei più propriamente “monologhi a più voci”, imbroglierei se mi prendessi il merito esclusivo.

La community è, e sempre rimarrà, fondamentale per me, come una silenziosa chiacchierona.

Parlo a lei e lei mi parla a sua volta, non ci capiamo sempre, ma in fondo lo streaming è come la vita, cambia solo che ho i pantaloni del pigiama.

Instaurare un rapporto quasi profondo con chi guarda è la chiave della mia felicità come streamer, non potrei chiedere altro che avere la possibilità di discorrere di facezie come di argomenti di rilievo con loro. Nella quinta scena del primo atto della Traviata Alfredo canta all’amata di “croce e delizia”: posso dire che non sono mancate situazioni difficili da digerire, inevitabili data la mia scelta di fare questo tipo di stream più personale.

Poi è andato tutto giù, ascoltando il consiglio sempre vero di Mary Poppins o più concretamente affidandomi alla mia indole pacifica e all’educazione che mi hanno insegnato i miei genitori.

Da un anno a questa parte ho introdotto la lettura, il doppiaggio e ancora più ampie rubriche dedicate all’intrattenimento intelligente. Penso che non ci sia responsabilità più grande che essere streamer. Soprattutto se si è molto conosciuti, la popolarità dovrebbe essere sempre utilizzata per dare il buon esempio ai giovani. O forse sono all’antica io, non escludo questa eventualità.

Sono giunta nel presente, non sentirei più nessuno all’altro capo del telefono. Me lo immagino davvero con i fili attorcigliati, un po’ sporchi perché toccati così tante volte senza nemmeno che qualcuno ci avesse fatto caso.

Non potrei chiedere alla me del passato nulla circa il futuro, io però posso e sono felice di poter dire che riesco a vedere in lontananza. Tante possibilità davanti a me, tante passioni che si possono concretizzare: dal doppiaggio alla conduzione televisiva. Lo streaming? Ci sarà fino a che avrò forza in corpo di mettermi in gioco e di comunicare qualcosa. Vedo davvero chiaramente l’orizzonte con questa ipermetropia che vive nella sua metafora.

 

Riaggancio.

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