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IT: Capitolo Due è esattamente come ogni ripatriata: agrodolce, a volte goffo, pieno di battute e con un po' di amaro in bocca

Il primo capitolo di questo nuovo IT cinematografico mi aveva lasciato delle buone impressioni, pur con tutti gli adattamenti del caso. L’avevo inquadrato come una sorta di Goonies a tinte forti, con una buona dose di horror ma anche con la giusta capacità di inquadrare quel senso di avventura, giovinezza e amicizia che è parte fondante di un libro che è solo in parte un horror ed è spesso moltissime altre cose.

Tuttavia, quella era la parte facile, perché il vero scoglio su cui confrontarsi e su cui naufragava l’adattamento passato, era quella degli adulti, che per certi versi è molto più complessa da rendere. Mancano le stampelle della nostalgia, bisogna spiegare molto di più il mostro (e quindi depotenziarlo) e soprattutto nel libro questa divisione non esiste, o è molto più sfumata. Passato e presente si intrecciano e si rincorrono come due serpenti in lotta, come era possibile dividerle così nettamente?

La risposta è che era impossibile e infatti questo IT: Capitolo Due fa ampio uso di flashback e del cast di ragazzi per creare il necessario collante tra passato e presente, un collante fatto di traumi e di rimozioni che affioreranno via via che gli ex Perdenti trascorreranno del tempo a Derry. Il famigerato capitolo “degli adulti” è invece un capitolo in cui ogni tanto i ragazzi rubano ancora benissimo la scena e si ritrova quel legame tra le due epoche di cui parlavo sopra. A fare le spese di questa commistione sono i più grandi spesso schiacciati dal peso emotivo dei più piccoli e privi del background che veniva fornito nel libro.

L’inizio segue abbastanza fedelmente le prime pagine del libro, con la telefonata che scatena nel gruppo reazioni che ben conosciamo, portando rapidamente i protagonisti alla scena del ristorante cinese, che setta un po’ il tono di tutto il film: qualche salto sulla poltrona, momenti di nostalgia e parecchia ironia, quasi interamente sulle spalle di Bill Hader/Richie Tozier (sul quale viene esplicitata una cosa spesso lasciata in sospeso). Tutto il cast si dimostra assolutamente all’altezza del compito, forse giusto Jay Ryan/Ben Hanscom è un po’ troppo manzo e poco “architetto di successo col fascino di un uomo adulto” ma per il resto sia dal punto di vista fisico che recitativo siamo su ottimi livelli.

Quello che secondo me non funziona molto in IT è soprattutto la parte centrale, ovvero quella in cui i protagonisti devono rivivere il proprio trauma infantile, tornando nei luoghi dove hanno subito gli attacchi da parte di IT o in cui devono guardare in faccia il proprio passato. Al di là del fatto che alcuni siano meno riusciti di altri, ciò che un po’ lascia l’amaro in bocca è la ripetizione del medesimo schema: tizio arriva sul luogo, tizio si trova di fronte a una situazione tranquilla che improvvisamente vira verso l’allucinato/horror per l’arrivo del clown e tizio si salva per il rotto della cuffia. Il tutto viene ripetuto sei volte e in alcuni casi abbiamo momenti veramente perturbanti come Bev che torna nella casa natia, altre volte situazioni molto più tirate per i capelli come la scena di Ben a scuola.

https://www.youtube.com/watch?v=tOgHbLERjhI

Ciò che invece funziona alla grandissima, oltre alla recitazione, è un montaggio vertiginoso fatto di continui rimandi tra passato e presente, tra adulti che tornano ragazzi nel giro di una inquadratura, nei ribaltamenti di prospettiva in cui alto e basso si mescolano, si contorcono e si aiutano nell’offrirti visioni allucinate e allucinanti. Questo secondo capitolo è sotto questo punto di vista una sorpresa continua, una piccola scuola di regia su come tenere sempre attento l’occhio dello spettatore.

Dovendo fare i conti con le esigenze dell’adattamento il film ovviamente sfronda di moltissime parti e pur recuperando la parte più esoterica con il Rito del Chud e i nativi e pur essendo troppo lungo paradossalmente corre tantissimo, perché gran parte del tempo lo passa a ripetere la stessa cosa e quindi anche Henry Bowers, vero fantasma del passato, arriva, fa poca roba e sparisce velocemente.

Anche IT onestamente fa molta meno paura, e lo dice un fifone, a parte qualche scena più forte, ricorda più un Freddy Kruger già smitizzato, un mostro che sai già cosa fare nella maggior parte delle volte e che con tutto questo correre velocemente addosso agli eroi senza mai veramente prenderli perde presto il suo stato di minaccia, questo al netto del fatto che Skarsgård resta un mostro di bravura.

IT Chapter 2 trailer screen grab

Avevo grandissimo timore di come sarebbe venuto fuori il famigerato ragno, la trasformazione finale di IT, che per fortuna sfugge dalle tenaglie dell’imbarazzante per diventare una creatura mostruosa, ma ovviamente non più in grado di incutere quel terrore nero che solo l’ignoto e il perturbante può offrire. È là, in bella vista, un semplice mostrone come tanti, ennesima ripetizione di una boss fight videoludica. Quest porta con sé un altro problema: il finale. Dato per assodato che quello del libro è impossibile da portare su pellicola, sopratutto dopo tutti i tagli, Muschietti prova un'altra strada che risolta forse ancora più goffa di un eventuale tributo che fa decisamente storcere la bocca, nonostante alcune buone idee di regia. La cosa assume dei toni veramente "meta" se consideriamo che una delle battute ricorrenti di tutto il film è il fatto che Bill Denbrough, personificazione di King, non sa scrivere un buon finale.

Ecco, forse ciò che mi ha lasciato un po’ perplesso di questa seconda parte è il suo essere più avventura (cose che avevo detto anche della prima, ma qua è ancora più avventura), più scontro quasi supereroistico che un vero e proprio horror, è una bizzarra casa dell’orrore con un montaggio di altissimo livello in cui un attimo prima salti sulla sedia e quello dopo ridi per una battuta.

Sì, ok, qualche bambino ci lascia le penne in maniera cruenta, ma c’è sempre una sensazione di sfida, di lotta non poi così impari come sembra. Forse è semplicemente giusto, visto che di base IT è la personificazione del bullo, della paura, del potere che diamo agli altri di controllarci, dell’abuso a cui nessuno crede quando lo racconti. Anche il libro, a cui tutti si avvicinano pensando di leggere un racconto horror, poi si rivela un grandissimo trattato sull'amicizia, sulla crescita, sul trauma, sulla prevaricazione e su un sacco di altre cose che vanno oltre un clown dentuto. Un romanzo che però continua a dimostrarsi qualcosa di molto difficile da far uscire fuori dal suo ambiente naturale.

Il senso del film passa anche da questo ed è un bello schiaffo in faccia contro la nostalgia, perché la crescita, il diventare la versione migliore di noi passa anche dall’abbandono dei pesi del passato, riconoscendo in lui non solo le parti migliori, quelle che vogliamo ricordare, ma anche i momenti che vorremmo dimenticare.

Adesso sarei molto, molto curioso di vedere i due film assieme, per capire se riescono a trovare un equilibrio.

Questo articolo fa parte delle Core Story di N3rdcore di Settembre

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