Il male è passato dal lato Queer e ne è uscito fascinoso
I cattivi Disney e non codificati come Queer in lato negativo, riletti oggi in chiave positiva e esaltati per il loro più che azzeccato carisma.
“Dell’intrigo mi compiaccio, gode il mio caratteraccio, non c’è simpatia dentro me. Voglio essere turbe, bieco, fastidio, empio, laido e maxi odioso!”
Mr. Simpatia è la canzone che più adoro de L’incantesimo del Lago, l’immortale film di Richard Rich. Sarà che è cantata da Pannofino, sarà che ha quella musicalità molto americana, ma credo che il grosso dell’effetto lo ha fatto il personaggio di Rothbart e la sua eclatante gestualità. Danzatore nato, allegro e subdolamente infido, utilizza il proprio carattere per ricordarci con un ballo quanto la sua cattiveria sia la sua maggior ragione d’orgoglio a prescindere dal fatto che lo odi tutto il reame.
Stregone oscuro e capace di trasformarsi in un grande pipistrello, questo villain voleva solo ottenere il regno di Re Guglielmo costringendo Odette a sposarlo. E che c’è di male? Del resto Odette e Derek stanno insieme perché i genitori l’hanno costretti a incontrarsi per tutte l’estate, creando questo amore forzato di cui tanto vanno fieri. Derek ha sempre pensato solamente alla bellezza, un damerino di tutto rispetto unicamente bravo con l’arco e senza spina dorsale, incapace di riconoscere un falso dal vero e dal comprendere che in una donna c’è altro oltre il bel visino. Vero amore un corno.
Ma Rothbart, Rohbart aveva classe, senso dell’umorismo e capacità magiche. Il personaggio più caratterizzato di tutto il film nonostante avesse un’ambizione spropositata, sprizzando charme da tutti i pori grazie al suo atteggiamento tutt’altro che cupo e oscuro. Rothbart gode della luce della ribalta, vuole essere al centro dell’attenzione ed essere riverito da tutto il regno, ma con eleganza. A prescindere dai suoi crimini, il suo tempo sullo schermo ti porta naturalmente a patteggiare per lui perché difficilmente si fa percepire come nemico, piuttosto si presenta come una figura complessa e diabolicamente attraente. Eppure, dietro la vanità e personalità di Rothbart si cela un fenomeno che coinvolge in parte la realtà rappresentativa Queer.
Intorno al 1930 il famoso Codice Hays modificò radicalmente le regole della filmografia americana, sancendo e vietando gli utilizzi delle immagini sul grande schermo. Tra i punti del codice ce ne sono due in particolare che sono utili alla nostra questione: il primo è che qualsiasi personaggio risultasse cattivo non poteva passarla liscia alla fine del film, doveva esserci una punizione quantomeno implicita e che si vedesse sullo schermo. Il secondo riguarda la perversione, ovvero che qualsiasi argomento fosse considerato tale a quei tempi non poteva essere rappresentato su schermo in maniera positiva. Questo includeva omosessualità, transessualità, matrimoni o relazioni tra persone di razza diversa e la bestialità. Tale codice cambiò inevitabilmente la storia cinematografica e ci vollero tantissimi anni prima che i suoi veti fossero rotti.
Se guardiamo molti dei villain iconici della Disney e di altre case di cartoni animati, possiamo notare gli effetti di questo codice sul modo in cui essi venissero caratterizzati associandogli dei tratti Queer, dando l’idea che tali comportamenti fossero ascrivibile al male o al socialmente inaccettabile. Mentre da un lato avevamo principesse ed eroi stupidi come muli ma puri fino al midollo, dall’altro avevamo cattivi incredibilmente affascinanti ma che dovevano necessariamente essere sconfitti dagli standard considerati come “buoni”, facendo quindi passare i loro atteggiamenti come qualcosa da non imitare per tutti i bambini. Qualcosa di simile ai personaggi "flamboyant" del Wrestling di cui vi abbiamo già parlato.
Per quanto questo discorso sia vero e totalmente versante nella negatività, al giorno d’oggi possiamo dire che cattivi come Rothbart ci disgustino o non ci attirino? Che rappresentino ancora la parte più brutta della guida morale infantile? Certo, sicuramente le loro azioni non erano altruiste e molte volte coinvolgevano l’uccisione di qualcuno, ma a livello affettivo i cattivi sono riusciti a scavare molto di più nei nostri cuori rispetto ai protagonisti delle storie, specialmente se osserviamo i classici dell’animazione come Aladdin, La Sirenetta ed Hercules. Prima di giungere alla conclusione però, vediamo di fare chiarezza sul come queste caratterizzazioni nascevano nei meandri degli studi d’animazione.
Il fattore più importante per la creazione di un cattivo dell’epoca era quello di renderlo effettivamente contrapposto ai buoni. Per la Disney questo problema si poneva quando lo standard degli eroi prevedeva grandi tipi muscolosi estremamente solari, coraggiosi e dai vestiti spartani giusto per mettere in mostra quegli addominali scolpiti. In Hercules questo è più evidente considerato che, bhe, parliamo di una figura mitologica basata solamente sulla forza. Zeus e suo figlio sono tutto l’opposto di Ade: sempre con una lunga tonaca a coprirne il corpo, apparentemente mingherlino e dal viso allungato privo di una possente mascella scolpita.
Anche il modo di parlare differisce parecchio, dove il padre degli dei e l’erede utilizzano un atteggiamento diretto e perentorio, Ade ha una parlata più sofisticata e sbeffeggiante, allungata nelle finali e meno audace nel tono. Il registro orale è una delle caratteristiche più condivise tra i cattivi di questo stampo, proprio perché la loro mellifluità di lingua serve a rappresentare il sotterfugio, l’inganno e la corruzione che si dovrebbe celare sotto l’apparenza elegante. Tenendo conto di quanto detto prima, l’ambiguità (sessuale o presunta tale) diventa uno stigma di chi non riesce o non vuole appartenere alla società di “quelli normali”, finendo quindi per essere sconfitto moralmente da chiunque rispetti tutti gli standard che la società bianca americana (e oltre) richiede dai suoi cittadini, specialmente quando sono maschi. L’apoteosi del “Be a man!” che tanto piace ripetere ai padri a stelle e strisce.
Mentre da un lato avevamo principesse ed eroi stupidi come muli ma puri fino al midollo, dall’altro avevamo cattivi incredibilmente affascinanti.
Si potrebbe obiettare che casi come Aladdin siano tutt’altro che uno standard da seguire: un ladro arabo dalla forte avidità e in una costante condizione di povertà e nullafacenza. E in un certo senso è un’obiezione sensata, ma se si osserva la trama nel suo complesso si capisce facilmente come la sua redenzione per tutta la pellicola non significa altro che abbandonare la propria “vita” e convinzioni (criminali) per tornare sulla retta via grazie alla salvezza dell’uomo: il matrimonio. E come si può fare questo? Sconfiggendo qualcuno di ancora più cattivo: un visir scheletrico di nome Jafar che indossa una lunga tonaca, utilizza il make up, parla con toni suadenti, inganna le persone con il suo scettro e ha il viso estremamente allungato oltre che le unghie terribilmente lunghe. Naturalmente a lui non frega nulla di sposarsi e ciò lo allontana parzialmente dalla sfera eterosessuale e lo rende ancora più cattivo, considerando la sacralità del matrimonio. Guarda un po’, un’altra rappresentazione da manuale del Queer Coding. Lo stesso vale anche per Scar, il che è anche abbastanza significativo considerando l’impegno nel rendere il più ambiguo possibile un leone. Cioè, davvero?
La regola dei mingherlini viene rotta dal cattivo di Pocahontas, in quanto è palesemente un colonizzatore molto prestante e perfettamente rappresentativo della forza conquistatrice inarrestabile. Una persona così spietata dovrebbe essere un sanguinario mercenario a cui non frega nulla dell’aspetto esteriore, no? Come quello di Atlantis. Invece questo è il cattivo più fashion di tutta la storia disneyiana, avendo addirittura una canzone dove rende d’oro il suo abito mentre scende le scale con l’accompagnamento di piume di fenicottero, fiero del suo make-up. Anche qui, il design non lascia affatto dubbi. Lo fa anche il capo degli Unni di Mulan, che sebbene abbia poco tempo su schermo alle volte il suo atteggiamento richiama movenze eleganti e ragionate, tutt’altro che brusche o simili alla barbarie che dovrebbe appartenere a quel popolo in quel contesto storico.
Guardando alle figure femminili, queste caratteristiche non sussistono e, anzi, il design spesso e volentieri risulta molto più deciso e minaccioso rispetto alle controparti del lato malvagio maschile. Ci sono però eccezioni d’onore come Ursula, la quale è basata davvero sulla leggendaria drag queen Divine ed è più un omaggio che una visione negativa del fenomeno.
Eppure, inserendola come cattiva e trattando le caratteristiche Drag come elementi del lato oscuro si può associarla tranquillamente ai dettami dell’Hays Code, specialmente se contrapposta alla bella, magra e innocente Ariel. Ma è proprio da Ursula che possiamo plausibilmente partire con le considerazioni positive. Nel corso degli anni, la Disney e molte altre case produttrici hanno abbandonato le costrizioni di un codice etico ormai superato, iniziando a cambiare i design dei personaggi e della loro naturalezza.
Nonostante alcuni esempi poco virtuosi come Ralph Spaccatutto e la orribile scena di confronto con il mingherlino Re Candito ruotante intorno alla prestanza fisica e all’ambiguità del sovrano, l’apertura alla comunità LGBTQ è stata più decisa e meno negativa di quanto si possa pensare. Certo, siamo ancora molto lontani da una rappresentazione totalmente inclusiva, ma si sono fatti passi avanti che è impossibile non sottolineare. Gaston, storico villain de La Bella e la Bestia, nel recente Live Action è stato reso in maniera più significativa e “amichevole”, così come la dichiarata omosessualità di Le Tont è diventata parte naturale del suo personaggio, elevandolo dallo status di macchietta puramente comica.
Zootropolis è un’altra pellicola in cui connotati più fluidi e meno stereotipati hanno costituito il cardine del design dei suoi protagonisti. In particolare Nick condivide molti tratti con alcuni dei cattivi citati in questo articolo, come un vestiario più elegante, una parlantina “sassy” e un fisico mingherlino. Così come l’eroina è un agente di polizia in lotta contro lo stereotipo del maschio muscoloso come unico appartenente ai corpi di polizia. Rotture nette con il passato sparse per tutto il cast e che ribaltano i canoni dei film più classici, dichiarando che oggi come oggi non abbiamo più bisogno degli stampini che ci dicono che caratteristica o sessualità x siano inaccettabili. Bensì, la pluralità di rappresentazioni e la necessaria inclusività aiutano i più piccoli (e i grandi) a vedere un mondo migliore e a non considerare un determinato tratto come necessariamente legato a un’idea immorale della persona.
Perfino nel Marvel Cinematic Universe abbiamo visto come le movenze da villain disneyiano classico abbiano reso Loki un personaggio estremamente complesso, amato e particolare, evolvendolo nel corso delle pellicole in un elegante dio dell’inganno che fa della parlantina e della fluidità un vanto e un’arma. Anche lui, come Ade, è contrapposto a un muscoloso dio splendente, eppure quante volte Loki è riuscito a vincere su suo fratello? Parecchie. E quante volte i due si sono riappacificati per lottare insieme? Parecchie, e in tutte queste volte Loki non ha mai smesso di essere sé stesso, perfino di fronte alla morte. Considerando che adesso avrà una sua serie televisiva e il suo corso nel MCU, Loki è tutt’altro che un mostro senza cuore da cui non prendere esempio.
Con questi e altri esempi recenti si spiega la moderna attenzione alla rivalutazione della figura dei malvagi e della loro apparenza nel marketing e nei live action delle glorie del passato, nonostante la conservazione di alcuni tratti ormai diventati caratteristici. Cambia però la connotazione delle qualità intrinseche e cade l’eccessivo contrasto tra il lato buono e il lato cattivo, grazie a operazioni come Descendants, Cattivissimo Me o Megamind. Una rivalutazione e maggior consapevolezza del perché i cattivi sono così essenziali per ribaltare il messaggio dietro al design del passato e renderlo, paradossalmente, più positivo di quello dei fulgidi eroi ormai obsoleti, fuori moda. Citando ancora il Marvel Cinematic Universe, i malvagi puramente tali si contano sulle dita di una mano.
Rothbart, Ursula, Loki e altri mi piacciono perché se ne infischiano del modo in cui la società e i protagonisti li vorrebbero. Sono quello che sono e lo espongono fieramente, sbattendosene del fatto che i loro piani vanno sempre in fumo alla fine della storia. E non è forse questo il messaggio migliore da far passare alle generazioni future? Sii ciò che vuoi essere, fino in fondo, anche se ci sarà qualcuno che sarà pronto a denigrarti perché indossi una lunga tonaca, il tuo corpo è troppo grande per quei tentacoli, ti metti il make up o ti diverti a stuzzicare le divinità. E nel caso in cui qualcuno venga a protestare e a dirti che il tuo comportamento non è normale e quindi sbagliato, la risposta migliore è schioccare le dita, utilizzare il tono più sassy che si ha e affermare orgogliosamente che “Mr. Simpatia qui non c’è”.
Questo articolo fa parte delle Core Story di N3rdcore di Settembre