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Longlegs - inquietudini anni '90

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Longlegs è il nuovo film di Oz Perkins e arriva in Italia dopo aver fatto parlare molto di sé in giro per il mondo. Lo aspettavo moltissimo e non sono stato deluso.

Scusatemi, ma prima di parlare di Longlegs vorrei parlare di estetica. In particolare di quanto l’estetica degli anni ’90 è stata plasmata anche dalla figura dell’agente del FBI, il braccio armato della burocrazia.

La narrativa che ne tratta le gesta è sconfinata, coinvolgendo tutte le sfumature possibili, dalla critica all’apologia, la verità è come al solito arbitraria e cambia da situazione a situazione. Vero è che la narrativa sul Bureau nasce fortemente apologetica, come strumento di propaganda, un’immagine positiva dello Stato Federale che si prende cura di tutti i suoi cittadini, indipendentemente da dove essi fossero. La realtà ovviamente è più complessa e passa per la figura ambigua del primo direttore del Bureau, J. Edgar Hoover, ricattatore e colluso custode dei segreti d'America, patron del dossieraggio. Una nota bibliografica su tutte, American Tabloid di James Ellroy.

Per certe correnti di pensiero, la burocrazia è soltanto una forma in cui si manifesta uno Stato totalitario, cavilloso e spersonalizzante.

Ma perché gli anni '90 hanno fatto la fortuna del Bureau? le icone pop.
Anni disincantati e grigi, dove il buono non vince sempre e spesso la verità non è salvifica sono perfetti per raccontarne le vicende, tra uffici e missioni, in quella zona di confine tra cieca applicazione della legge e giustizia.

Negli anni ’90 abbiamo avuto Dale Cooper, Fox Mulder, Dana Scully e Clarice Starling: personaggi il cui successo a livello popolare ha travalicato i limiti ristretti del bacino di utenza, diventando icone, diventando meme, una categoria del pensiero nel quale è declinata la figura del “tutore della legge”, nella loro spasmodica ricerca di ordine, inconciliabile con la natura caotica della realtà.

Dale Cooper si perde nella Twin Peaks di Lynch cercando di mettere ordine in un mondo d’ombre.
Fox Mulder è l’agente del FBI antisistemico e complottista, una diretta filiazione di Dale, che cerca di ordinare una trama oscura che tiene dentro visitatori extraterrestri e apparato militare industriale, e Dana Scully è proprio l’agente adatto ad affiancarlo perché mosso da logica razione avendo studiato da medico.
Clarice Starling non è il primo agente del FBI raccontato da Harris, ma di sicuro è il più interessante ed è stato graziato anche da un film estremamente popolare come Il silenzio degli innocenti, che ancora una volta mette in scena uno scontro tra ordine e caos: i mostri, i serial killer, esistono e sono tra noi, ma se invece che essere completamente pazzi fossero estremamente lucidi e razionali come Hannibal Lecter? Tutto il loro rapporto si basa sul do ut des del guardare negli abissi dell'animo umano mentre l'abisso ti guarda dentro. Letteralmente.

Un lungo preambolo per parlare di quanto il look di Longlegs, nuovo film di Oz Perkins (figlio di Anthony), sia estremamente debitore dell'estetica degli anni '90 proprio a partire dalla sua protagonista, l'agente del FBI Lee Harker interpretata da Maika Monroe.

Longlegs è la storia della caccia ad un serial killer che ha ucciso numerose famiglie nell’arco di trent'anni. La situazione pare sbloccarsi misteriosamente quando sul caso viene messa una giovane agente che pare dotata di un intuito estremamente forte e forse sovrannaturale.

Le similitudini con l'adattamento di Jonathan Demme del romanzo di Thomas Harris, al di là della tematica trattata simile anche sotto il profilo estetico c'è un gusto mimetico nel replicare l'estetica livida del film di Demme, ma il pensiero vola anche a Seven, altra opera seminale del thriller disperato anni '90, ad esempio, nel rapporto tra i due detective.

Ma Longlegs è un film molto anni ’90 perché è ambientato negli anni ’90 ed è molto percepibile, sia dal taglio estetico che ha tutto il film, quindi look della ambientazioni – la scialba e generica provincia incolore degli States - , dei costumi, i tagli di capelli e la fotografia, estremamente curata ma non patinata.

Oz Perkins dirige con una sovrabbondanza di inquadrature statiche e tesissime, che gioca tantissimo con le messe a fuoco e con la profondità di campo, per creare una tensione palpabile nello spettatore che punterà a guardare negli angoli bui e sfocati apposta cercando di scorgere una figura che pare essersi mossa ai confini del campo visivo.

Il regista è bravissimo nel settare il mood della pellicola con pochissimi accorgimenti, adottando un'impostazione minimale, giocando con le simmetrie solo per poi negarle. Maika Monroe asciuga il personaggio al massimo, rendendolo fragile e nervoso, contraltare perfetto per ************ (SPOILER) che invece è molto sovraccarico e grottesco.

Il cast è ridotto all’osso, pochissimi personaggi, inquadrature praticamente vuote, formaliste, nel quale l’occhio dello spettatore può vagare liberamente non sapendo cosa incontrerà o quando, e poi stacchi di montaggio violentissimi, come per regalare sovraimpressioni dai coloro violenti a spezzare la paletta livida degli ambienti.

Longlegs è inoltre estremamente compatto, non si perde in chiacchiere, è compiuto e soddisfacente nella sua durata, e anche questo l’ho trovato estremamente anni ’90.
Qualcuno potrebbe criticare lo sviluppo troppo lineare e una prevedibilità nell’esito della trama ma dal mio punto di vista non è una cosa che ho patito.

La tendenza pare indicare come non ci sia posto per i thriller dritti, come se la dimensione di narrazione dello spaccato di Paese in cui i personaggi e le varie sottotrame si muovono venga considerato come un patrimonio da mettere a frutto, trasformando questo genere di storie in serie o miniserie che allungano quella che tutto sommato è una vicenda abbastanza lineare, spesso complicandola con una serie di distrattori che portano lo spettatore a spasso.

Mi sono lasciato molto affascinare dalla storia e dalle sue suggestioni, inquietare anche, nonostante sia scorretto definire il film un horror in senso stretto. Forse la questione dell’esistenza o meno dell’incidenza del sovrannaturale per lo sviluppo della trama può far storcere il naso ad alcuni puristi del genere, nel momento in cui pretendano dal film una coerenza molto stretta, o se si aspettano che alla fine del film tutto quadri.

Io invece ho preferito lasciarmi suggestionare dall’opera e dalla storia, godendo delle sue immagini, del suo crescendo e delle sensazioni che il film vuole lasciare, come il profondo senso di turbamento che pervade tutto il terzo atto del film.

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