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Il lungo Venerdì 12 del nostro scontento - Recensione

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Venerdì 12 racconta le disavventure di Aldo, trasformato in creatura mostruosa da un'orribile maledizione. L'unica cosa che potrà spezzare l'incantesimo è il vero amore, ma trovare il vero amore non è facile come sembra.

Venerdì 12 può essere considerato a pieno titolo uno degli aspetti minori della produzione di Leo Ortolani eppure, come tutte le opere di Leo, è un prodotto che partendo da un concept “piccolo” sia negli intenti che nel formato arriva come un bisturi ad incidere la piaga con estrema efficacia.
Ma procediamo con ordine.

Le vicende di Venerdì 12 iniziano come strisce estemporanee per la rivista L’isola che non c’è, poi ristampate su Rat-Man Collection dove trovano anche una conclusione piena e soddisfacente.

Venerdì 12 racconta la storia delle disavventure amorose di Aldo che, a causa di un carillon maledetto se regalato alla donna sbagliata, viene trasformato in un’orrida creatura deforme, costretto a celare le sue sembianze con maschera e impermeabile, a rimandare iconograficamente a Jason Voorhees, del celebre franchise horror Venerdì 13.

Ad accompagnare Aldo nelle sue storie c’è il suo inutile servitore Giuda, spalla comica, contraltare nei dialoghi e vero motore della storia in quanto propone la rottura dello schematismo fatto di routine, indolenza e autocommiserazione che sono le giornate di Aldo.

E poi c’è lei, Bedelia.

Bedelia è la protagonista femminile, la cosa più simile ad un’antagonista che questa storia ha.
Ortolani la tratteggia solo di rimando, è una presenza sostanzialmente evanescente dalla storia ma che vive attraverso i persistenti ricordi di Aldo, alla quale lui ha dedicato un altare con tanto di ritratto sotto al quale passa implorando gran parte del suo tempo.

Il carillon maledetto sarebbe dovuto essere un regalo del vero amore per Bedelia ma la sconfinata ingenuità di Aldo non gli hanno permesso di aprire gli occhi sulla vera natura della donna da lui amata.
Molto spesso quando si tratta di tratteggiare una figura femminile la si descrive come complessa, stratificata mossa da motivazioni condivisibili che permette ad una parte del pubblico di parteggiare per lei nonostante agisca dalla parte del torto, ma Ortolani per lei, in questo momento, non si spreca.
In questa fase della storia Bedelia è esattamente quello che appare: una donna facile.

Questa distinzione è veramente importante in quanto in tal modo non intende rappresentare una casistica specifica ma trasformando il personaggio in icona monodimensionale amplia lo spettro del racconto all’universo tutto di personaggi simili.
Ma il vero punto della vicenda non sono le motivazioni di Bedelia per comportarsi come tale, bensì il tragico perseverare di Aldo nei suoi comportamenti sbagliati.

La mostruosità di Aldo è il simbolo di come si riduce un uomo per amore, di come percepisce se stesso dopo essere stato rifiutato e di come viva la fine di una relazione felice o abusiva (come in questo caso) che sia.
Quando una storia d’amore finisce importa solo di chi soffre.

Possiamo dire che il mostro è il senso di inadeguatezza di Aldo manifestato esternamente che lo dequalifica prima come uomo e poi come essere umano.

Lo stesso Giuda ha una funzione chiaramente metaforica, è la personificazione di quella voce che nella nostra testa ci ripete le nostre mancanze, i nostri difetti accentuandoli e rendendoli inaccettabili a noi stessi, è la parte ipercritica della nostra coscienza che ci rinfaccia le nostre mancanze come se fossero errori imperdonabili.

Giuda è una parte integrante della maledizione che colpisce Aldo, a modo suo è il suo custode e il suo carnefice.

La serie tradisce immediatamente la sua origine da striscia estemporanea.
La narrazione orizzontale è presente solo in minima parte e nelle prime storie c’è uno schema ricorsivo che fa da recap al lettore occasionale e rende fruibile la storia a tutti.
Ma con il passare dei capitoli vediamo anche un cambiamento nello stile della narrazione che inizia a respirare maggiormente con personaggi e situazioni che ritornano, episodi divisi in più parti e quello che, a mio avviso, è un finale estremamente efficace nella sua risoluzione.

Uscendo dallo schematismo episodico si vede sul lungo periodo come Aldo alla fine intraprenda da prima con fatica e poi sempre con più convinzione un percorso di riabilitazione alla vita che pensava essersi conclusa con la fide della storia con Bedelia.

I vari episodi iniziano ad affrontare quelle che sono le varie tappe della vita di un single che si ritrova da solo e di volta in volta ne ride, perché è impossibile non ridere di questa goffa creatura resa goffa dalla sua presunta inadeguatezza al mondo.
Leo, con la sua solita delicatezza, ci aggancia con una storia ridicola per finire a parlare di noi, a ridere di noi e di tutte le lacrime che abbiamo versato per le donne che non ci hanno mai ricambiato e alla fine, fissando l’asterisco nero che è Aldo finiamo a ridere di noi stessi e di quei periodi che sono capitati a tutti almeno una volta nella vita.

Ovviamente Aldo è un idiota.

E qui arriva affilatissima la risoluzione finale, introspettiva, che porta Aldo ad uscire dalla sua tana, dal suo mondo fatto di ricordi falsati e aspettative negate.
Ovviamente Aldo è un idiota, in senso quasi dostoevskiano del termine, e della sua esperienza non ne esce più consapevole o veramente migliore e continuerà imperterrito a ricredere in alcuni degli errori che commetteva anche prima del suo periodo mostruoso, e anche in questo è estremamente umano, in linea con la poetica di fallibilità dei personaggi di Leo, nel suo essere irrisolto e quindi più credibile rispetto all’idealizzazione del personaggio alla fine del suo arco narrativo che si butta con successo alle spalle e ne diviene una persona completamente nuova.

Dal punto di vista meramente grafico, trovandoci davanti a storie scritte in momenti differenti della carriera di Ortolani, è come guardare ad un Bignami della prime due fasi della sua carriera e nel giro di poche pagine è veramente possibile vedere come il suo tratto e la sua sintesi si siano evolute nel corso degli anni.
Dai primi disegni e le prime storie notiamo lo schematismo della narrazione episodica verticale e un tratto estremamente più semplice e immaturo, così sono diversi i tempi comici fatti più di botta e risposta istantanei nel giro di una o due vignette.
Questo cambia quasi radicalmente nel momento in cui inizia il Leo Ortolani della sua "fase 2" sfrutta meglio il silenzio e i tempi di risposta dei suoi personaggi, gioca con le espressioni facciali e le tavole sono statiche o mute per ottenere un effetto comico ben preciso.
La stessa sintesi grafica si arricchisce, la dimensione delle vignette sembra ingrandirsi e i personaggi acquisire maggiori dettagli e varietà espressiva fino ad arrivare al Leo Ortolani pienamente consapevole dal finale della storia. 

La parabola di Aldo non è un racconto sulla banale attesa del vero amore e della funzione salvifica che dovrebbe avere per l'uomo irrisolto ma sul più complesso percorso che compie un individuo a voltare pagina, una riflessione introversa che si conclude proprio con una risoluzione di tipo "mentale" di estrema efficacia resa alla stessa maniera di un duello finale: la realtà contro i ricordi falsati dallo scorrere del tempo, il passato idealizzato contro la paura che provoca l’affrontare il presente.

In occasione dell'imminente uscita del nuovo lavoro di Leo Ortolani, Bao ha fatto uscire in questi giorni un bel volume che raccoglie tutti gli episodi di Venerdì 12.

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