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Il giorno più importante dei miei 15 anni

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Il momento più importante dei miei quindici anni.

È oggi, deve essere oggi, non può essere che oggi.

È la mattina del 3 novembre del 1996, tu odi novembre, è forse uno dei periodi peggiori dell’anno. I ricordi estivi si sono già sbiaditi, il piacere di ritrovare i compagni del liceo si è già annacquata in ore di lezione che odi, il Natale è ancora lontano, piove spesso.

Pioveva quel giorno? Non te lo ricordi mica.

Ma avrebbe potuto esserci un monsone e non te ne saresti accorto, perché era il giorno.
Capirai solo molti anni dopo che questo tuo ossessionarti su personaggi di fantasia e storie che ti piacciono è qualcosa che non devi nascondere, ma coltivare, capirai solo molti anni dopo che quelle storie hanno avuto impatto sulla vita di milioni di persone come te e hanno cambiato il mondo, creandone altri.

È il tuo primo anno di liceo, hai paura di tutto, ma tutto ti emoziona, tutto è scoperta. L’altro giorno sei stato per la prima volta dietro su un motorino e sembrava che il mondo fino ad allora non avesse avuto sapore.

Per ora quel fumetto con la costola azzurra è lo spazio in cui non ti senti diverso dai tuoi amici, dove non devi mascherare, nascondere e minimizzare quello che senti. In cui non hai paura che qualcuno ti prenda per il collo nei bagni.

È la prima volta che vivi la tua emozione per qualcosa a un livello così paritario. Anche di questo te ne accorgerai solo tempo dopo. E te lo ricorderai quando saranno gli altri a marchiare quella linea tra loro e lo strambo che si appassiona un po’ troppo ai giochini, ai fumetti, alle cose che non esistono.

Il liceo Scientifico Gobetti si trova su una collinetta, che domina il quartiere di Gavinana, dentro la villa di Rusciano. Non è il solito edificio grigio e triste in cui gli studenti si ritrovano ogni mattina per abituarsi a una vita dove il lavoro li porterà quasi certamente in altri luoghi grigi e tristi.

È una villa storica, ristrutturata dal Brunelleschi, appartenuta a Federico III da Montefeltro, bellissima dall’esterno ma totalmente inadeguata a ospitare degli studenti nel suo intrico di scale, aule piccole, una palestra che pare un corridoio (dove ti schianterai una spalla e il dolore lo senti ancora oggi) e la totale carenza di laboratori.

È come voler andare a fare la spesa con una vecchia auto d’epoca che perde olio.

Per arrivarci devi fare un paio di fermate di autobus che ti lascia in una piazza proprio di fronte a un’edicola. Ogni mattina scegli dove spendere quei pochi soldi che hai in tasca, sarà un fumetto giapponese, sarà qualcosa di americano? Sarà una rivista di videogiochi?

In altri giorni passeresti qualche minuto a guardare la roba esposta accanto agli strilli dei giornali, ma oggi non c’è altra risposta.

Mi dà Dragon Ball?”.

Stranamente non sei stato tu a scoprirlo, te l'hanno passato in classe, e dire che ti roba giapponese ti sei nutrito fin da piccolo, sei figlio di gente che guardava Goldrake, sei cresciuto con Daitarn, Kenshiro, I Cavalieri dello Zodiaco. Insomma, la formazione standard del fanciullo a partire dagli anni ’80, niente di eccezionale.

Qualche manga lo leggi già, ma non li chiami manga, o almeno, non sempre. Dragon Ball poi onestamente neanche sapevi cosa fosse. All’epoca per mancarti un pezzo di cultura bastava non ricevere un’emittente locale.

Comincerai a farlo dopo aver scoperto Dragon Ball perché… è diverso, si legge al contrario. L’atto stesso di aprire un fumetto dalla parte opposta e invertire il senso di lettura te lo fa percepire come qualcosa di alieno, speciale.

Le storie di un mondo lontano che arrivano da te come se fossero portate da una carovana di mercanti che ha percorso miglia e miglia. Un giorno sarà la norma, la giusta norma di un mondo che ha imparato a rispettare quello che arriva da altre culture, all’epoca era qualcosa di magico.

I manga ti colpiscono in modo differente rispetto all’Uomo Ragno e altri fumetti americani o italiani. Il tono è assurdo, capace di passare dal dramma alla commedia in pochissime pagine, il tratto cambia, le facce si deformano, gli occhi esprimono tantissimo, c'è tanta sofferenza, ma anche passione, il gusto del gruppo, non solo dell'eroe, non sai definire bene cosa ti piace di più.

Sembra quasi che Dragon Ball ti stia accompagnando dall'infanzia, all'adolescenza, e poi oltre. Ed è ovunque, è la vera lingua franca. Quando non sai cosa dire c'è sempre l'esperanto della Kamehameha.

E poi quei personaggi… Goku non sembra il solito tizio che mena tutti. Ride, scherza, sa essere fragile, l’hai visto bambino, ha preso un sacco di botte, si è sempre rialzato.

Scoprirai poi che il tuo preferito sarà sempre Vegeta, perché la società prevede che un uomo non esprima i suoi sentimenti se non in punto di morte, perchè ti è più facile nasconderti dietro rabbia e alterigia, ma l’energia di Goku, la sua capacità di affrontare sfide mortali col sorriso nel cuore, la sua voglia di miglioramento, l’energia che trasmette agli altri. L’hai sempre invidiata, l’hai sempre cercata, non la mai avuta, ma ti attira come una luce che attira gli insetti.

Oggi quella luce brilla più forte, perché è il giorno.

La grande differenza che separa l’oggi da ieri non è la passione di chi legge quelle storie, non è la capacità di parlarne, viverle, farle, proprie. L’unica differenza che percepisco è quella nell’accesso a quelle storie, a quelle informazioni. Oggi forse quella difficoltà è sepolta in altri spazi e in altri confronti, nel 1996 in quella difficoltà ci vivevi. Il nerdismo del passato era più una questione di perseveranza che di sapere.

Non la percepivi come tale, ma l’accesso alle informazioni era più vicino alla tradizione orale dei miti che al dibattito sulle informazioni. Il dibattito era tutto meno che globale, non c’era nessuno a indirizzare gusto, teorie e discussioni che non fossi tu e la tua cerchia di persone con una passione comune. Come i Fremen conservano l'acqua, così noi facevamo tesoro di ogni informazione.

Infatti sono settimane che segui le briciole di pane di quello che riesci a carpire. Una pubblicità sulla TV satellitare francese, le immagini di un videogioco giapponese, le teorie che ti arrivano da qualche rudimentale sito internet che ci mette mezz’ora a caricare. Ipotesi, teorie, l'amico dell'amico che giura che succede così.

Tutto viene spazzato via quando l’edicolante ti porge il numero 39, Il Guerriero Leggendario. In copertina c’è Goku serissimo, cosa molto rara, con i capelli biondi e sparati verso l’alto. Oggi una cosa del genere forse farebbe infuriare i fan che volevano evitarsi lo spoiler, ma un’altra differenza che percepisco col passato, e che in parte mi ha formato, è che dello spoiler non interessa a nessuno. Perché tanto sapevamo che sarebbe successo, c’era solo da capire come e quando.

Per arrivare a scuola c’è una salita ripida che attraversa il parco della villa pieno di ulivi, con lo sguardo che piano piano si apre verso Firenze e ti porta a guardare la cupola del Duomo come se fosse posizionata su una mensola davanti a te. Di solito arrivi col fiato corto, ma oggi i piedi volano e per tutto il tempo non vedi altro che quella copertina.

La vedi nella tua mente perché hai messo il fumetto nello zaino ma puoi quasi sentirne la sua presenza, l'energia che emana, l'aspettativa senza freni che fa il pari con la tua soddisfazione del rito di leggere Dragon Ball alla prima ora che coltivi da mesi, ma oggi di più.

Non apri, non vuoi sfogliare una pagina, perché il momento è sacro e va protetto, anche dalla tua fretta di ragazzo. In quel momento quel volume contiene tutto il tuo piccolo mondo di persona che per sua fortuna deve solo preoccuparsi di andare a scuola, non fare casini, sognare un futuro.

Il momento è sacro e va condiviso con gli amici con cui hai percorso questa strada.

E tra quegli amici ci sono anche Goku, Crilin, Piccolo, Dende, Vegeta.

Arrivi in classe, basta uno sguardo, negli occhi di tutto c’è il fuoco dell’attesa. La copia spunta da giacche e zaini, in mezzo ai quaderni, schiacciata tra i libri, opaca nelle cartelle da disegno, fa capolino dalle selle dei primi motorini. Senza nemmeno parlare ognuno la espone, come un saluto segreto.

È oggi, è oggi, è il giorno.

Dai che finalmente si trasforma.

Non ricordi che lezione ci fosse, la scuola in fondo ti ha sempre dato alcuni pezzi del puzzle per capire la vita, ma la maggior parte li hai trovati in giro. Di sicuro quel giorno la scuola non ha molto da dirti che valga più di quelle pagine.

Hai sempre letto molto veloce, oggi di più.

Ancora sguardi, sopracciglia che si alzano, la testa che annuisce lentamente, ci samo, ci siamo. Neanche il tempo di piangere Crilin che improvvisamente Goku è diventato biondo. Anzi, bianco, che il fumetto mica è a colori.

Nel cartone animato c’è tutta la fase di preparazione e urla. Nel manga no, una vignetta e la sua rabbia è la, ed è palese, totale. Sotto il banco le mani si danno il cinque. Quella merda di Freezer è spacciata. Dopo mesi e mesi assaporiamo il punto culminante di un cammino iniziato da un buffo bambino con la coda di scimmia. Dopo sarà sempre bellissimo, ci saranno Cell e Bu, ma sarà un'altra cosa.

Durante l’intervallo non la smettevamo di parlare. Quello non fu un giorno come gli altri, ma fu il giorno perfetto per avere quindici anni.

Avevamo visto tante volte fumetti di combattimenti, l’eloquio dei Cavalieri, la disperazione di Ken, altri ne avremmo visti e altri ne vedranno poi le nuove generazioni, ma la sfumatura che Dragon Ball riesce a mantenere tra il dramma e la commedia è un sapore speciale. Quel sapore che oggi unisce il quarantenne, il trentenne, il ventenne e chi arriverà dopo.

Il gusto di quando hai quindici anni, mi direte voi.

E avete pure ragione. Perché è un gusto che speri duri per sempre, e invece ti sfugge come le pagine di un manga, rapido e intenso come un the freddo d’estate.

Però ti restano le memorie, ti resta la consapevolezza di un percorso, di un cammino fatto di rabbia, amicizie, sfide, sconfitte, momenti in cui le hai prese, momenti dove t’è scattato il Super Sayan, dove hai pianto in silenzio guardando la pioggia, dove hai urlato, dove eri solo, dove eri con gli altri, dove qualcuno era Gohan e tu volevi solo essere Piccolo, dove piuttosto che continuare ti saresti fatto esplodere, dove quelle sfere del drago per far resuscitare qualcuno le avresti davvero volute, dove avresti voluto che il mondo alzasse le braccia per darti un po’ di forza.

Poi finisce che metti da parte anche Dragon Ball, è il ciclo delle cose, ma lui torna improvvisamente tornerà a farti visita, molti anni dopo, nel modo peggiore. E ti renderai conto che è stato uno di quegli ingranaggi che hanno lavorato in modo invisibile per farti diventare ciò che sei.

E non c’è morte che possa sconfiggere le bellissime emozioni di un cammino che ha cambiato così tante vite. Di un immaginario che non hai mai smesso di alimentare altre persone. Di quei poster nella mia stanza, di quella cicatrice che ho sul pollice fatta usando male un taglierino per assemblare una action figure di Gohan.

Ora che ci penso, Toriyama ha sempre affrontato la morte in modo naturale. Ok, c'erano le sfere del drago, ma anche la consapevolezza che la gente a un certo punto doveva andare, magari sol sorriso, un saluto e un bellissimo ricordo. Le foto dove Toryiama non ride sono pochissime e di ricordi bellissimi... fate voi.

Ma questo a 15 anni non lo sai.

Quindi speriamo che torni Crilin dai. E chi cavolo è adesso quel tizio rosa che ho visto dietro la confezione di un videogioco?

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