Far Cry 6: più che rivoluzione, divertente anarchia in crescendo
Far Cry 6 è un gioco che prende la base della serie e la incrementa ancora di più, non rivoluzionando molto in favore di un caos maggiore. La nostra recensione.
Voglio iniziare questo articolo sparando all'elefante nella stanza e uccidendolo: se vi aspettavate un Far Cry rivoluzionario avete sbagliato porta. Far Cry 6 è, a tutti gli effetti, un capitolo che costruisce sulla base improntata per Far Cry 5 e su quelli che sono i punti cardine di una serie ben più che rodata, con ormai una folta schiera di capitoli alle spalle. Cosa è che cambia quindi? Il contesto, la narrazione intesa come spirito alla base delle motivazioni dietro il caos del giocatore e dulcis in fundo la caratterizzazione del cattivo. Se non vi piace quello che Far Cry come marchio ha da offrire, Far Cry 6 non vi farà cambiare di certo idea anche sfoderando il viso di Giancarlo Esposito in copertina, a meno di essere particolarmente interessati all'ambientazione che ricorda la storia di Cuba o del Messico.
Dal canto mio Far Cry 5 mi è piaciuto e anche affascinato per alcuni tratti.
Non a livello ludico, essendo io un tipo lontano dagli FPS di questo stampo, ma per la particolare cura nel creare un Montana infestato da strani cultisti drogati e così organizzati da aver creato un esercito privato.
Mi piaceva quell'aria da Jesus Camp andato troppo male e alla deriva militare, e bene o male si accoppia bene con quel mondo folkloristico di un'America rurale dove tutto è possibile.
E quindi la follia era all'ordine del giorno, tra droga visioni e via discorrendo. Certo c'era un discorso religioso e politico di fondo, un qualcosa di molto leggero e comunque collegato alla tipica iperbole a stelle e strisce. Infatti poi tutto è continuato con New Dawn che sfocia nel post-apocalittico, quindi è abbastanza esplicativa come immagine.
Far Cry 6 invece, per quanto dichiari e in effetti non sia politico, crogiola in quell'aria da rivoluzione tanto cara alla Casa di Carta e alle ricostruzioni messicane come Ghost Recon Wildlands. Abbiamo una dittatura al cui centro c'è lo schiavismo e la droga, dove la gente soffre di continuo ed è costretta a scappare da un paese isolazionista.
Un setting molto più serio rispetto ai pazzi di Far Cry 5 e per questo tutto sommato problematico nel momento in cui il gioco vuole bilanciarsi tra goliardia e riflessioni serie. Alla base la storia è quella di un orfano povero e oppresso che cerca la salvezza nel sogno americano, ma è esattamente quando si aggrappa a quella speranza come clandestino che è costretto a unirsi alla rivolta e cambiare il paese seguendo le regole della Guerrilla.
Come nel suo predecessore, lo scopo viene raggiunto eliminando i leader del regime di Castillo fino a liberare tutte le aree militarizzate e organizzare il grande assalto alla fortezza dorata di Esposito.
Uno schema già visto ma funzionale per raccontare le diverse sfaccettature di Yara e delle sue terre, sconvolte da tumulti che oserei definire come insanabili.
E qui arriva la storia della rivoluzione e degli ideali che la guidano, una storia che riprende tematiche reali e che parla di libere elezioni, democrazia, politica estera condotta dall'invasore americano e tutta una serie di spunti che Far Cry 6 butta sul tavolo apparentemente con cognizione di causa.
Poi però si ricorda che è un gioco dove la caciara è principio cardine e quindi tutto diventa un pretesto meramente ludico o orpello decorativo che arricchisce il sapore di un territorio esotico. Un po' come accade anche nel marchio di Just Cause per intenderci, con la differenza che qui abbiamo un cast molto più vivo e partecipativo, caratterizzato anche con dovizia e forse elemento migliore nel macroinsieme della narrazione.
Far Cry del resto è fatto di momenti, di scoperta e di storie sparse in una terra sconosciuta, tutti elementi che il sesto capitolo ha azzeccato suonando le mie corde più giuste. Tuttavia alle volte forza davvero la mano nel voler inserire tematiche che non credo approfondisca a dovere, non quando sulla piazza ci sono titoli che hanno dimostrato una superiorità nell'affrontare temi come l'instabilità politica e il bisogno di un cambiamento o dell'abbandono della patria.
Il forte di Far Cry 6, almeno sotto questo senso, è l'aver dato al personaggio di Giancarlo Esposito uno spessore più unico che raro, uno dei cattivi di Far Cry meglio riusciti sia come individuo singolo sia perché la sua visione - interna se si considerano i monologhi della sua campagna, esterna nel rapporto con gli ideali della resistenza - è costantemente messa in discussione dallo stesso figlio che vorrebbe far diventare come lui.
Qui il rapporto avrebbe potuto cascare nel banale, e all'apparenza può sembrarlo, ma via via che scoprirete i luoghi di Yara e le storie dei suoi abitanti, arriverete a realizzare quanto profonda e atipica sia la loro relazione, specie nel modo in cui essa imposta il tono di tutta l'operazione del gioco. Niente che rompa la finzione di base della guerrilla, sebbene abbia dei momenti topici di pura goduria o emotivamente capaci di spronare la vostra rabbia verso la dittatura di Castillo.
Per sfogare le mie frustrazioni contro il totalitarismo, il gioco mi ha proposto una lunga serie di armi convenzionali e non, tanto da convincermi che Far Cry 6 abbia il gameplay più divertente e vario della serie.
"Ma si fanno le stesse cose di sempre?" immagino sia una domanda plausibile, la risposta è sì: vi ritroverete a liberare le zone occupate e militarizzate, a dare la caccia ad animali strani, a vivere missioni strambe, a conoscere la popolazione locale, aprire tesori, risolvere enigmi, scalare montagne, insomma il classico open world stile Ubisoft.
E personalmente mi va benissimo, credo che i team della compagnia siano tra i migliori a creare mondi aperti ben studiati e ricchi di dettagli estetici molto più che apprezzabili, sebbene alle volte si siano dimostrati troppo zelanti a riempire la mappa di indicatori (vero Assassin's Creed Odyssey?).
Come per Valhalla, Far Cry 6 frena l'entusiasmo sulle iconcine e crea attività più contestuali e utili, lasciando la libertà di esplorare per il semplice piacere di farlo e ottenere qualche chicca meritevole di essere trovata. Insomma, niente eccesso sfrenato per allungare il brodo in termini di longevità, comunque assicurata da una mappa ancora più grande rispetto a quella di Padre Joseph.
Se però la minestra da mangiare è la stessa, farlo con un cucchiaio motorizzato, pieno di esplosivi e con un lanciafiamme sull'estremità decorativa è ben diverso che farlo con una forchetta targata Montana. Quel cucchiaio è l'essenza della guerrilla con cui Far Cry 6 ha cavalcato la campagna pubblicitaria fin dai primi secondi e lasciatevi dire che ha funzionato dannatamente bene perché ogni arma ottenuta dal Fai-Da-Te è pura goduria videoludica, tanto da non farmi rimpiangere di avere 400 accampamenti militari da ripulire. Anzi datemene ancora e ancora perché voglio creare caos con i rottami usciti da una cucina in disuso, magari scotchati con un po' di uranio impoverito.
Per voi noiosi ci sono comunque tutte le armi del caso che tanto amate, dai fucili alle pistole, con numerose varianti uniche da trovare in giro per Yara, ma vi perdereste il divertimento più sincero se non inserirete almeno una Fai-Da-Te in almeno uno dei tre slot per le armi principali. E poi c'è lui, El Supremo: uno zaino dai mille usi che è come se fosse l'abilità finale di un videogioco fantasy come Destiny o Borderlands. Si può personalizzare per adattarlo al proprio stile e ci sono abbastanza varianti da accontentare chiunque.
Ed è qui che Far Cry 6 mi ha fregato, con i suoi botti e i compagni animali che passano dal coccodrillo al gallo. Approcciando tutto con la puzza sotto al naso, aspettandomi un pasto che avevo già gustato fin troppo, non mi sarei mai aspettato di finire a voler ancora e ancora fare missioni in giro per il mondo di gioco. Mettono temi a casaccio, la dittatura è un pretesto per far casino nei panni di un movimento anarchico per sua stessa ammissione e certe cose sono così "cringe" da far il giro e diventare memorabili, ma diavolo se tutto questo è risultato comunque divertente a prescindere dai miei preconcetti. Il gioco è bello da vedere, è bello pad alla mano e fa quello che vuole nell'ambientazione che crea proprio come parco giochi, tanto che se volete staccare due biglietti per le giostre potrete farlo portando con voi un amico o un estraneo nella ormai consolidata modalità cooperativa, giusto per non privarci di una vacanza per due a Yara.
Si potrebbe criticare il fatto che non è esattamente una situazione da rappresentare in un tono così infantile, una critica legittima per come la vedo io, ma in quel caso credo che l'errore sia proprio approcciarsi a Far Cry avendo aspettative che non gli competono, o meglio si dovrebbe discernere critica culturale o sociale dalla possibilità di godere di qualcosa nella sua essenza da meri consumatori. Se si stacca la mente per un secondo, se si mette da parte un minimo di moralità nel voler creare delle rappresentazioni accurate (posto che comunque si respira un grosso rispetto o ammirazione per la cultura su cui si basa il mondo digitale), se si sommano tutti questi "se" necessari, allora si può felicemente osservare come Far Cry 6 sia il piede sull'acceleratore dell'anima del franchise recente, potenziando i suoi punti di forza esattamente come farebbe Juan con le sue stravaganti armi casalinghe: non sono proprio belle a vedersi, perdono qualche pezzo per strada, però quando ne premerete il grilletto solo un sorriso accompagnerà il massacro. E alla fine, i dittatori di certo non piacciono a nessuno.