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Donne d’azione e non solo: La donna nel survival horror di Capcom

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Le donne sono un simbolo distintivo di Resident Evil, fulcro delle vicende non per la loro dinamica sessuale, bensì per la loro essenziale funzionalità ai fini narrativi.

Biohazard in arte Resident Evil, rappresenta senza troppe iperboli uno dei media franchise più influenti della storia del videogioco contemporaneo. Pilastro portante della grammatica videoludica non solo per quanto concerne la sua potente narrazione, sublimando dei concetti di Romeriana memoria, ma soprattutto per aver reinventato e sdoganato quel concept videoludico che oggi conosciamo come survival horror.

Ma come accostiamo Resident Evil alla core story di questo mese?

Sin dalla sua gestazione, Sinji Mikami – storico developer legato alla celebre casa di Osaka, Capcom – idealizzò e definì la platea di volti di Resident Evil sfruttando un binomio all’epoca non così scontato. Di fatto scelse di includere dei personaggi femminili nell’economia di gioco, inserendole senza distinzioni di genere, all’interno dell’unità d’élite delle forze di polizia di Raccoon City: la S.T.A.R.S.; dando così modo al giocatore o eventualmente alla giocatrice, di poter  impersonare un volto femminile la cui caratura comparava perfettamente la controparte muscolare tipicamente maschile. Ho quindi selezionato un ristretto ma fondamentale gruppo di donne, accostandole ai capitoli più significativi per la loro raffigurazione.

Jill Valentine – Resident Evil / Resident Evil 3

Jill Valentine è indubbiamente la Ellen Ripley del videogioco horror, idealizzata come un’agente incredibilmente capace, caparbia e con doti che definiremo non convenzionali persino per un corpo scelto. Non a caso dalla sua backstory canonica apprendiamo come la nostra agente si sia formata come ladra provetta, dando libero sfogo a un estro nello scasso non indifferente; abilità che verrà poi mutuata all’intero dell’esperienza di gioco.  L’iconografia rappresentata da Jill Valentine è imponente, basti pensare alla sola risonanza che il personaggio ha avuto all’interno del brand, contribuendo in maniera significativa alla declinazione femminile nello sviluppo dei capitoli futuri.  Al di là della sua componente narrativa, Jill ha indubbiamente il pregio di impersonare un volto che detiene orgogliosamente il suo essere donna, la sua femminilità. Questa de facto non è esteriorizzata in maniera mascolina, tentando in un modus del tutto maschilista di farle incorporare degli aggettivi propriamente maschili, bensì profila un aspetto degno di una donna coriacea ma ugualmente flessa a comportamenti femminili.

Per una migliore comprensione del suo io, consiglierei di leggere l’adattamento romanzato del franchise scritto dall’autrice Stephani Danielle Perry.

Questo corpus di caratteristiche vengono replicate nel terzo capitolo della serie, dove Jill diviene protagonista assoluta. In questo frangente la vedremo innanzitutto in un’iconica veste – peccato di molti maschietti – ma soprattutto in una situazione al limite del cardiopalma. Non è un caso che la denominazione nipponica del capitolo sia “the last escape”, suggerendo una fuga ben più estrema rispetto alla precedente. Qui Jill assumerà le fattezze di una combattente ancor più esperta e consapevole della realtà che la circonda, rendendo la sua nuova incarnazione persino migliore rispetto all’agente di polizia che sopravvisse nella villa. Capcom ci propone molte altre incarnazioni della meravigliosa Jill, alcune delle quali persino caricaturate, ma continuo a credere che l’icona di Jill possa più semplicemente riassumersi in sole queste due rappresentazioni.

Rebecca Chambers – Resident Evil / Resident Evil 0

Se Jill Valentine rappresenta uno dei personaggi primari dell’opera, nel corso del primo capitolo faremo la conoscenza di una comprimaria il cui valore sarà letteralmente indispensabile. Rebecca
Chambers è l’esatto antipodo di Jill, essendo al suo contrario un personaggio molto più introverso e meno sprezzante. Ciononostante, il valore che avrà modo di dimostrare è in misura di gran lunga superiore rispetto alla collega, essendo lei priva di qualsivoglia esperienza operativa, oltre a essere, senza troppi epiteti, una semplice ragazza.  Seguendo una linea narrativa tipicamente orientale, Rebecca è una diciottenne il cui q.i le ha permesso di laurearsi in tempi impossibili; de facto, è un chimico formidabile, nonché medico dell’unità. 

Al di là delle sue capacità intellettuali, proprio a causa della sua scarsa capacità combattiva – impersonando Chris Redfield – ci ritroveremo dinanzi una ragazza spaventata, apparentemente innocua, ma che ben presto si rivelerà essenziale per la prosecuzio della storyline. Perlomeno questo è il profilo che ci viene mostrato nel capitolo originale del ’96. Eppure, nell’ormai lontano 2002, su Nintendo GameCube approda il quinto capitolo della serie: Resident Evil Zero. Collocato teoricamente diverse ore prima degli accadimenti di Resident Evil, questo capitolo propone non solo un nuovo layout grafico, ma anche una nuova routine di gioco che, fra le altre cose, permette di utilizzare tramite uno switch – il partner zapping - due differenti protagonisti: Billy Coen e naturalmente Rebecca.

In questo capitolo la giovane ragazza sembra acquisire, data la veste di protagonista, un valore aggiuntivo non osservabile nel capitolo precedente, portando alla luce uno spirito e delle capacità che la giovane età non suggerirebbero. Rebecca è la perfetta commistione fra una mente brillante e uno spirito combattivo latente, capace se messa alle corde, di far emergere una combattività che solo una donna può avere.

Claire

Claire Redfield – Resident Evil 2 / Resident Evil Code Veronica X

Il primo capitolo di Resident Evil fu concepito senza la visione di un ipotetico sequel, eppure nello stesso istante in cui Capcom decise di avallarne lo sviluppo (che in seguito si rivelerà non poco travagliato), fu presto sottinteso che anche in questa nuova incarnazione del brand doveva esserci una donna.

In origine Hideki Kamiya scritturò una protagonista eccessivamente sopra le righe, Elza Walker, una roboante pilota professionista di motocross, che in seguito all’archiviazione di quello che oggi ricordiamo come RE 1.5, divenne nientemeno che la nostra Claire Redfield.  La sua stessa genesi in Resident Evil 2 è da ricondursi alla volontà dello studio di creare una paternità con il precedente capitolo, che proprio fra i suoi protagonisti trovava il fratello maggiore, Chris.  Claire è profondamente diversa dai precedenti volti femminili proposti dalla serie, essendo lei apparentemente estranea a ogni sfumatura di una vita al vertice della tensione.

Eppure anche in questo caso assistiamo alla sublimazione di un personaggio altresì normale, che nel corso dell’opera dovrà necessariamente fare affidamento sul proprio istinto di autoconservazione, mostrando una durezza e una prontezza degna della sua parallela bellezza, perché si, Claire incarna le linee e i tratti di una ragazza molto bella, il cui dolce profilo cela una personalità tutt’altro che leggiadra, ma incline a un forte dinamismo palpabile sin dal filmato introduttivo, in cui la vediamo arrivare a Raccoon City a bordo di una motocicletta custom.

Se in questo secondo capitolo Claire si mostra in splendida forma contribuendo a emancipare ulteriormente il gene femminile nel digitale, in Code Veronica X è portato splendidamente all’eccesso, sottolineando quanto allo studio stiano a cuore le sue iconiche donne.

Ada Wong – Resident Evil 2

Nel corso del ventesimo secolo abbiamo osservato quanto siano potenti il fascino e la sensualità femminile in guerra. Nella finzione, le moderne Mata Hari che hanno avuto una notevole rappresentanza iconografica, sposando appieno il concetto di femme fatale, sono egregiamente riassunte in Resident Evil nella figura di Ada Wong. Seppur moralmente incerta, Ada è senza alcun dubbio il volto femminile più potente e galvanizzante del franchise, tanto provocante quanto letale, una vera e propria femme fatale capace di operare su più strati di consapevolezza.

Per quanto sia mossa da interessi personali, Ada non è affatto sprovvista di un senso dell’etica, non a caso sono più le volte che si è rivela un personaggio di grande supporto piuttosto che una rivale.  Una donna carica di mistero e vacuità; dotata di un fascino paralizzante e forte della sua preponderante femminilità che sfrutta senza eccessivi sessismi. Ada - per quanto può concernere il commento di un uomo - è il denominatore femminile per eccellenza, osservando in lei tutti i tratti distintivi di una femminilità soverchiante.  Attenzione, si commetterebbe un errore nel credere che tutto ciò sia dovuto alla sua indubbia bellezza: Ada è maledettamente furba e intelligente, oltre a saper colpire con precisione e potenza, essendo altamente addestrata al combattimento.

Le donne sono da sempre un simbolo distintivo del franchising di Resident Evil, poste nel fulcro delle vicende non di certo per la loro dinamica sessuale, bensì per la loro essenziale funzionalità ai fini della storia. Proviamo soltanto a quantificare l’importanza che questi quattro volti hanno avuto e continueranno ad avere per la storica serie Capcom. No, non lascio indietro nessuna; sono state molte le protagoniste e comprimarie degli oltre trenta capitoli della serie: da Fong Ling di Dead Aim a Cindy e Yoko di Outbreak, senza tralasciare Sheva Alomar di RE 5 e la piccola (e poi adulta) Sherry Birkin. Insomma, sesso debole direi proprio di no.

 Un attimo, concedetemi una menzione d’onore a un’opera che geneticamente appartiene allo stesso ceppo famigliare di Resident Evil: Dino Crisis e la sua Regina. 

 

Questo articolo fa parte della Core Story di ottobre, dedicata ad Ada Lovelace e a tutto il mondo sommerso del nerdismo al femminile.

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