Crociata degli innocenti, un bel sogno senza speranza.
Coconino Press pubblica "La crociata degli innocenti" di Chloé Cruchaudet, appassionata e struggente rilettura di una oscura storia medioevale
"La crociata degli innocenti" di Chloé Cruchaudet, edito da Coconino Press nella traduzione di Francesca Scala, è una graphic novel di grande interesse. Con questo nuovo fumetto, la casa editrice torna nei pressi di un medioevo fiabesco, come quello esplorato nel notevole "Aldobrando" di Gipi, di cui abbiamo scritto qui. Ma se là era un mondo fantastico, pur con tratti di realismo, qui si parte da un reale tema storico, per quanto particolare e poco noto al grande pubblico.
La crociata dei fanciulli è infatti un reale evento storico, un momento cruciale, tutto sommato poco noto, della storia di quel complesso e controverso fenomeno che sono state le crociate. Il suo fermento ispirò il fervore che portò poi alla crociata del 1218, con l'avallo ufficiale della Chiesa e l'appoggio della nobiltà: ma l'aspetto più affascinante è il suo essere considerato da alcuni il primo grande movimento giovanile della storia, con migliaia di partecipanti. Già prima di questo evento i pellegrinaggi verso Gerusalemme erano diffusi nel mondo cristiano: l’ostilità dei nuovi signori turchi rispetto ai tolleranti dominatori arabi portò verso la fine del Mille a una “guerra santa” come pellegrinaggio armato, sotto Goffredo da Buglione, che nel 1099 “‘l gran sepolcro liberò di Cristo”, come canta il Tasso nella Liberata. Da allora, pellegrinaggi armati per difendere il regno di Outremer furono costanti.
Tra questi, quello del 1212 fu indubbiamente particolare: alcuni fanciulli annunciarono di aver ricevuto da Dio la missione di riprendere Gerusalemme, caduta nel 1187 sotto l’abile Saladino. L’avventura, pur accolta con sospetto dalle autorità religiose, catalizzò (forse proprio per questo...) un cospicuo consenso popolare, fino all’apparente successo della spedizione e del suo epilogo, di cui non parlo qui per non rovinare la lettura a chi non conosce l’evento storico di partenza.
Chloé Cruchaudet, autrice completa di testi, disegni e colori, interpreta il tema con una raffinatissima delicatezza, percettibile già dalla bella copertina, dove i fanciulli appaiono come giocosi pellegrini, in controluce sotto una luna incantata.
L’autrice non è nuova al tema del viaggio, già presente in un precedente lavoro, edito qui da noi sempre da Coconino: “Groenlandia/Manhattan”, il viaggio di un piccolo esquimese fino a New York ai primi del ‘900. Anche in “Poco raccomandabile”, storia sull’identità di genere sempre legata ad una vicenda storica, quella di Paul Grappe, appare l’attenzione dell’autrice alla storia, agli ultimi, alle narrazioni che implicano in vario grado una certa peregrinazione anche fisica.
Il segno dell’autrice è perfettamente congeniale alla storia. Fin dalle prime pagine ci accoglie un disegno morbido, soffuso, in vignette dai contorni sempre sfumati che evocano il fiabesco. E tuttavia fin da subito emerge il tema della povertà, della miseria, dell’aggressività infantile espressione di un disagio, della durezza estrema della vita nel medioevo, specie per i bambini. Il segno delicato quindi non edulcora la violenza, ma accentua al limite la partecipazione per le vittime innocenti e rende rappresentabile la durezza senza compiacimento.
Siamo di fronte a un tratto quasi simmetrico, si potrebbe dire, a quello di Art Spiegelman, che era aguzzo e nervoso quanto questo è tondeggiante e sfumato: ma la lezione di Maus nell’uso dell’iconismo del cartoon fumettistico per rendere dicibile l’orrore appare evidente, in una rilettura personalissima.
In modo sorprendente, la violenza subisce subito un'accelerata sorprendente: a spingere il protagonista verso la sua missione crociata non è dunque l’ascesi, ma l’abisso in cui è precipitato contro la sua volontà (quella conscia, almeno). La noce, che diviene reliquia guida (e ricorda quasi certe reliquie buffe del Decameron, come quelle di Frate Cipolla) è anch’essa legata a questa colpa originaria. L’Innocenza di Colas, il personaggio centrale di questo romanzo corale, è quindi ambigua: è innocente, sì, come vittima di una violenza sistemica che opprime i fanciulli, ma non dell’innocenza idealizzata, astratta di cui si vuole – e si deve – ammantare.
Colas cade poi vittima dello sfruttamento del lavoro minorile, diffuso nell’Europa medioevale (e, senza didascalismo alcuno, la sofferenza dei piccoli medioevali diviene allegoria abbastanza trasparente di altre sofferenze, ancora oggi, ai margini della società del benessere). E anche l’incontro con la Chiesa ha una ambiguità di fondo: vi è il male, nella violenza – in vario grado, come traspare anche più avanti nell’opera – del clero, ma anche nella fascinazione verso lo slancio verso l’assoluto. Le tavole, rispetto al consueto bianco e nero acquerellato in seppia, virano verso il colore all’apparire di Cristo, il Christus Patiens del gotico che può rappresentare per gli ultimi, in questo contesto, l’unica possibile proiezione salvifica rispetto al nulla cui la società li condanna. Nonostante tratti di questi temi anche cupi senza infingimenti, questo fumetto riesce comunque a trattarli con una levità che non porta mai a una pesantezza
L’avvio dell’avventura, in modo significativo, parte dalla negazione della Festa dei Folli carnascialesca: la crociata diviene per gli ultimi un lungo carnevale (riflessioni simili si trovano in Franco Cardini, “Quell’antica festa crudele”, sulla complessità nella guerra agli occhi dell’uomo medioevale, e nelle riflessioni sull’eresia filtrate da Umberto Eco nel suo “Il nome della Rosa”).
Se Colas rappresenta l’assenza di innocenza nel trauma che sta dietro alle sue ossessioni mistiche, Camille (che ha simili ferite, meno indagate...) rappresenta l’altro volto di questa ambigua innocenza degli Ultimi medioevali: l’ingannatore, l’imbonitore che sfrutta la credulità popolare per la sopravvivenza (anche qui, ritorna la figura del frate nell’opera del Boccaccio: ma là sono figure adulte e a loro modo vincenti: qui anche il giovane ingannatore è colto, anche, nel suo patetismo).
Il cammino dei fanciulli inizia così a snodarsi in quattro capitoli (dopo il primo, che è senza titolo) legati alle quattro stagioni, che corrispondono alle stagioni reali ma anche a quelle simboliche di questa mistica avventura: la primavera vede il graduale fiorire della crociata, tra giocosità e crudeltà infantili, in un mondo degli adulti tra l’ostile e l’incuriosito; l’estate ne è la pienezza, che però prelude all’inevitabile declino dell’autunno. Lo stesso legare lo sviluppo dell’opera al ciclo delle stagioni, del resto, segna l’ineluttabilità degli eventi e del loro progredire.
Ogni capitolo riporta in esergo una citazione da un poema cavalleresco o comunque un testo dugentesco, alternando Rutebeuf, Chretien de Troyes e un autore anonimo del secolo. Ovviamente ogni testo è congruente con quella porzione dell’opera, rafforzando il gusto fiabesco e quasi antico, sospeso nel tempo, di questa narrazione – benché il linguaggio fumettistico sia in sé pienamente moderno: si tratta di una riuscita suggestione, che passa forse soprattutto per una certa teatralità dei corpi e dei volti dei fanciulli, giocosa e giullaresca anche nel momento in cui si rappresentano scene drammatiche (ma, come ci ha insegnato Dario Fo in “Mistero Buffo”, l’arte degli ioculares può esprimere anche il dolore popolare). Suscita comunque ammirazione la varietà che l’autrice riesce a imprimere all’espressività di una massa così vasta di personaggi in un romanzo corale che, pur lasciando da un lato volutamente questi fanciulli anche in una massa indistinta, tranne pochi che spiccano, non ne fa affatto una massa amorfa ma sa cogliere nei vari momenti la gioiosa poliedricità dei caratteri, liberati sia pure per pochi stagioni dall’oppressione plumbea dell’adultità medioevale.
Rafforza la scansione in stagioni il sapiente uso del colore di fondo dei vari passaggi dell’opera: per quanto non vi sia una corrispondenza troppo didascalica, troviamo un viola freddo prevalere d’inverno, un grigio tenue in primavera, mentre d’estate la luce si fa soffusamente dorata e d’autunno si vira su una melanconica luce verdastra.
Interessante anche da notare un possibile livello meta-artistico: la Crociata dei fanciulli porta all’allestimento di un immaginoso racconto della crociata stessa tramite uno spettacolo di marionette e burattini, che ne crea una sorta di Leggenda Aurea sul modello delle arricchite apologie di Jacopo da Varagine: allo stesso modo in cui, in una direzione diversa, anche il fumetto di Cruchaudet imbastisce una rilettura letteraria, non storicamente filologica di questa epopea (i cui dati storici, oltretutto, sono particolarmente vaghi proprio per la sua natura popolare). Il teatro di figura era dal medioevo (e fino a tempi molto recenti, ancora tutto l’Ottocento, fino all’introduzione del cinema) il principale media popolaresco: esattamente come, in parallelo alla nascita del cinematografo, lo è stato il fumetto, che delle marionette ha ripreso, per certi versi, il tratto caricaturale e pre-cartoonesco.
Insomma, un’opera che riesce ad essere, al tempo stesso, semplice e complessa: un primo livello di lettura quasi fiabesco, pur intriso di una affettuosa malinconia verso gli Innocenti del titolo, e la tessitura di una riflessione storica, artistica e sul concetto quasi filosofico d’Innocenza a un secondo livello, che merita assaporare con una o più riletture.