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Cowboy Bebop: era meglio l'anime

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Il live action di Netflix non sfonda: troppe deroghe all’idea originale. Ai fan di Cowboy Bebop non resta che accontentarsi dell’anime del 1997

Non decolla. La versione live action del celeberrimo Cowboy Bebop, un anime che per molteplici ragioni ha fatto da spartiacque nel mondo dell’animazione (non solo giapponese), non riesce a costituire neppure un succedaneo degno dell’originale. Sono troppi i compromessi fatti da Netflix per cercare di allargare il pubblico potenziale della produzione, troppi compromessi e nella direzione sbagliata: il nuovo Cowboy Bebop non ha un’anima, e non perché il cast non provi a fare del proprio meglio. Semplicemente, quello che portano in scena non è Cowboy Bebop: ci prova a esserlo, ma con certe premesse non si poteva andare lontano.

ein, il corgie vero protagonista di cowboy bebop

Un finale aperto: ma è un capitolo chiuso

Che cos’è Cowboy Bebop (originale): è semplicemente un racconto di cinque anime naufragate nello spazio, alla deriva e su rotte divergenti. C’è un ex-mafioso, c’è un ex-poliziotto, c’è una donna che è ex di molte cose. Ci sono una giovane hacker e un buffo corgie, le uniche due luci che balenano su una comitiva e una società che sono sul viale del tramonto: la storia si sviluppa in un Sistema Solare che ha visto l’umanità colonizzarlo ma al prezzo del sacrificio del pianeta natale. In un certo senso assistiamo al crepuscolo della civiltà: e, nel conoscerlo, scopriamo che finisce per coincidere con la storia passata del genere umano.

spike, faye e jet di cowboy bebop

Ciò che è successo è che una catastrofe ha distrutto la Terra: l’umanità è riuscita, pur decimata, a continuare a perpetrare la propria esistenza su altri corpi celesti, da Marte in poi. Ma quel che si respira è un ritorno al Vecchio West, da cui il richiamo ai cowboy che è il soprannome affibbiato ai cacciatori di taglie tornati in auge, mescolato con un’improvvisazione quotidiana che è l’unico espediente per andare avanti. Il Cowboy Bebop originale è, soprattutto, un racconto di solitudine: è costruito di atmosfere rarefatte come solo in una biosfera artificiale possono esistere, è la malinconia ad aver sostituito in un certo senso la gravità visto che tiene insieme la storia e gli individui che la compongono.

vicious e spike di cowboy bebop

La reinterpretazione targata Netflix sconvolge questo equilibrio: i personaggi sembrano quasi vivere vite ed esperienze ordinarie, tipiche di una società all’apice del suo splendore, in cui i bassifondi in cui si muovono sono identici a quelli che potremmo trovare oggi in qualsiasi paese occidentale. Sembra quasi di assistere all’ennesima rappresentazione di una storia di gangster e pupe: peccato che non fosse questo il presupposto del racconto dell’anime giapponese. Il finale, poi, viene lasciato aperto per dare spazio a una eventuale seconda stagione: che forse ci sarà, ma che difficilmente potrà far cambiare il giudizio su quanto abbiamo visto.

Niente spoiler, siamo nerd

Non che gli sceneggiatori non ci abbiano provato: hanno imbastito un paio di colpi di scena che sono validi, sempre se presi fuori dal contesto. Si comincia con una ripresa letterale della prima storia dell’anime e poi si parte per la tangente, allontanandosi però purtroppo nella direzione sbagliata. Non che il cast non sia adeguato: nessuno dei tre protagonisti stona rispetto al ricordo di Spike, Jet e Faye. E la musica, beh, la musica è splendida. È la stessa dell’anime originale d’altronde: ma, con certe scene e certe messe in scena, c’entra poco e nulla. Manca totalmente la tensione emotiva di cui era complemento perfetto.

Davvero, non ha senso sprecare molte altre battute per questa nuova serie. Le scenografie ricordano quelle un po’ rabberciate di Altered Carbon, sempre prodotto marchiato Netflix, una bella storia con una messa in scena poco convincente. Certe parrucche e certi trucchi sono talmente sopra le righe che fanno il giro: il problema è che invece di diventare amabilmente camp vanno oltre, ritornano a essere inutilmente kitsch. Sembra di guardare un b-movie fine anni ’90, al massimo inizio 2000, prodotto a Hong Kong con l’idea di sembrare una pellicola hollywodiana: se ne avete visto qualcuno, sapete cosa intendo.

faye, spike e jet di cowboy bebop

Il punto è che quando la squadra originale si mise al lavoro sull’anime, l’ambizione era quella di cambiare il mondo (dell’animazione): il risultato era piacevolmente inaspettato, l’esatto contrario di quanto ha fatto Netflix. Che ha preferito giocare sul sicuro e tentare una rivisitazione più leggera, mancando il bersaglio. Non resta che consolarsi, dopo aver guardato Cowboy Bebop nuova versione, con il “vecchio” anime: che a guardarlo 20 anni dopo non ha perso un briciolo di forza suggestiva, di bellezza, di malinconia e fascino. Lo trovate sempre su Netflix, ha una bellissima storia e un finale altrettanto bello. E poi lo riguarderete, e lo vorrete riguardare ancora e ancora: così da consolarvi, e provare a dimenticare ciò che il live action avrebbe potuto essere e non sarà mai.

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