Recensioni Urania - Mike Resnick: Orion - La Fortezza
Lo storico autore di Chicago torna sulle pagine di Urania con la sua Trilogia dei Senza Speranza; tre romanzi dinamici e colmi di situazioni all’limite del cardiopalma. In questo primo approfondimento, tratteremo il capitolo inaugurale della serie: Orion: La Fortezza.
Birthright è senza alcun dubbio uno dei palinsesti letterari più vasti mai concepiti e scritti, ecco perché il ritorno su Urania 1662 del cinque volte premio Hugo, Mike Resnick con un nuovo innesto al già colossale setting dell’opera magna che prende il nome di Birthright Universe è un evento da tenere sott'occhio.
Descrivere, così come enumerare l’intera bibliografia che compone questo macroverso è un’impresa assai ardua, degna di una discreta padronanza della filologia; basti pensare che l’intero corpus letterario avvalora oltre cento fra romanzi, light novel, novelette e racconti. In questo appuntamento andremo però a focalizzarci sul romanzo d’apertura della suddetta Trilogia dei Dead Enders (I Senza Speranza); un trittico letterario di recente pubblicazione composto da: The Fortress In Orion (2014), The Prision in Antares (2015) e The Castle in Cassiopea (2017).
L’introduzione necessita per sommi capi di una doverosa precisazione: l’intero Birthright Universe è scandito da una cronistoria perfettamente definita e meglio distinta da un calendario (presente come appendice in ognuno dei tre volumi editi da Mondadori). Per la seguente ragione, The Fortress in Orion è da collocarsi nell’anno 4026, nonché all’incirca il 7000 se si segue l’ordinamento gregoriano. Inoltre, l’intera saga è ancor meglio distinta da una corrispettiva associazione sociopolitica, che determina seguendo le dottrine classiche, la declinazione politica che l’umanità segue in quel dato momento storico. Questo primo scritto è collocato nelle fasi culminanti del periodo altresì noto come Democrazia.
Orion viene edificato seguendo una linea topica apparentemente semplice, di fatto l’opera sembra richiamare numerosi elementi stilistici: il classico romanzo d’avventura, il techno thriller e naturalmente la space opera. Ma procediamo con ordine. La guerra fra Democrazia e Coalizione (un’unione di razze aliene che si oppongono all’egemonia umana) è al suo apice. Nessuna delle due fazioni sembra prevalere sull’altra, ponendo la guerra in una chiara fase di stallo. A pagarne le conseguenze sono gli abitanti dei numerosi mondi della galassia, costantemente sotto il fuoco delle due superpotenze. Per questa ragione (e per altre) la Democrazia tenta l’impossibile promuovendo una missione altrettanto impossibile: sostituire la più alta carica della Coalizione con un clone ammaestrato. Fine. La missione viene affidata a un colonnello noto negli ambienti militari per i suoi metodi poco simmetrici.
Questo comporrà una squadra di esuberi di seria a, ognuno dei quali con una determinata sfera di competenza: informatica, contorsionismo, combattimento e abilità psy. La squadra dovrà a questo punto attraversare numerosi sistemi nemici per poi infiltrare il clone all’intero della fortezza più sorvegliata della galassia. Fin qui la narrazione potrebbe apparire classica, con rimandi concettuali più prossimi al cinema piuttosto che alla letteratura, eppure l’autore riesce ugualmente a redigere una diegesi solida e convincente, sfruttando con una certa dovizia la grande mole di archetipi che storie simili tendono a prevedere. La scrittura di Resnick è notoriamente alta, e qui non è da meno. Imposta il registro del romanzo su di una struttura prevalentemente dialogica, pur mantenendo costanti le funzioni descrittive delle azioni dei protagonisti. De facto il romanzo sembra mostrare molto e raccontare poco. Gli stilemi che si dipanano nella sua interezza, come accennavo sopra, richiamano più forme di scrittura: l’avventura, seppur mai ironica, compare come l’elemento principe della narrazione, alterando con valida destrezza, digressioni degne di nota.
Se l’avventura rappresenta lo scheletro progressivo della storia, gli elementi tecnici sono geneticamente figli di un techno thriller declinato alla fantascienza: la programmazione delle infiltrazioni e delle esfiltrazioni, la neutralizzazione di determinati target, portano tutti il segno distintivo di una narrazione di Clancyana memoria. Naturalmente entrambi i concept vengono eretti su un environment inequivocabile: lo spazio. Orion non va dimenticato, è un romanzo di fantascienza, che seppur contaminato da numerosi elementi “alieni”, mantiene salde le sue radici natie.
La science fiction è presente e viva. La grande definizione dei mondi su cui approdano, la tecnologia e le armi di cui dispongono, fino alla discreta modellazione di razze aliene fortemente devote a uno xeno sci-fi classico. Il tutto viene perfettamente amalgamato dall’autore americano, che riesce a stilare un melting pot convincente e (fortunatamente) coerente con l’anima del genere letterario che rappresenta. La definizione estetica dei protagonisti non coinvolge particolari virtuosismi; profili moderati sia nella forma che nei costumi. Nathan Pretorius, il nostro protagonista, rappresenta il classico uomo meticoloso, astuto oltre ogni limite e furbo come pochi. Ciononostante, è piuttosto evidente che, nonostante la sua indubbia inflessibilità dinanzi al dovere, non ami particolarmente gradi e uniformi.
Felix Ortega, letteralmente l’artiglieria pesante del gruppo; metà uomo e metà macchina (personalmente l’ho immaginato non troppo dissimile da Jax Briggs di Mortal Kombat). Cobra, l’escapista del gruppo, tanto prepotente e orgogliosa quanto anarchica. Pandora, in altre parole “la tizia sulla sedia”, la mente digitale del gruppo. Circe, descritta come un’aliena umanoide bella all’limite della sopportazione e nata con la singolare abilità di percepire tramite l’empatia le intenzioni di chi ha di fronte. Proto, la vera licenza poetica dell’autore, un’indefinibile alieno capace di proiettare ologrammi sorprendentemente credibili. Inoltre, al gruppo si uniranno il clone e il suo insegnante. Tutti i volti qui presenti verranno inseriti in contesti precisi e direttamente funzionali alle loro competenze, rendendoli sempre e comunque coesi.
La vera nota dolente di questo primo romanzo è rappresentato dal suo finale. Resnick pare cominci a perdere la pazienza proprio all’altezza del suo epilogo, affrettando la narrazione e mostrando gli eventi in una successione poco credibile e fin troppo appannata. Come se ciò non bastasse, gli unici attimi di respiro sono distinti da dialoghi ricorsivi e prolissi, mutando la rapida concatenazione dei dialoghi in una serie di caporali continue e poco soddisfacenti, così come la sequenza che va a raccontare. Un finale fiacco, verboso e mancante di esaustività. Fortuna che la tangente qualitativa del romanzo si rialzi dignitosamente con il suo seguito The Prision of Antares (Urania 1666).
Concludendo, Mike Resnick risulta sempre in buona forma, indubbiamente meno incisivo rispetto ad altri lavori, ma ugualmente in grado di proporre situazioni tanto avvincenti da leggere quanto da immaginare. La storia qui proposta sembrerebbe uno script poi riadattato in forma romanza, eppure proprio questa sua natura lo rende cinetico, ma al contempo comprensibile e non confusionario. Peccato realmente per un finale troppo impaziente.