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Call of Duty Vanguard - Come la morte e le tasse

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Call of Duty Vanguard rappresenta il ritorno della serie alla Seconda Guerra Mondiale in uno sparatutto competitvo online che per più di un elemento ammicca a Modern Warfare.

Completai il download in un tempo piccolo
Mi buttai sulla poltrona per sentirmi libero
Scelsi la skin come un pagliaccio
E bevvi vodka con tanto ghiaccio
Avviai la partita e mi mischiai alla lobby

Scattai in salita come fossi magico
E mi slanciai in avanti rimanendo in bilico
Mi acquattai per non oscillare
Cambiai l’ottica per mirare altrove
E provai a sparare per sentirmi errore

Dipinsi l'anima con un’arma anonima
E mescolai la vodka con Call of Duty
E pranzai tardi all'ora della cena
E mi rivolsi al DualSense come a una persona
Guardai le cutscene con aria ironica
E mi giocai i ricordi provando il rischio
Poi respawnare sotto le bombe
Dimenticai di colpo un passato folle
In un tempo piccolo.

Ho sempre compatito i redattori che si sobbarcano l’onore delle serie a cadenza annuale.

Sono i veri eroi della stampa specializzata che ogni anno, storto o morto, trovano da sfornare almeno 8000 battute su roba come la fisica della palla nel nuovo FIFA o come l’intelligenza artificiale della difesa abbia un comportamento più realistico perché va in un modo invece che in un altro che potrebbe rivoluzionare il gioco del cacio virtuale tutto.

Problematica simile secondo me se la pone anche il redattore che si accolla il Call of Duty annuale.

Da un certo punto di vista è più facile, banalmente perché ha una modalità storia, un’ambientazione che cambia a rotazione di tre anni e qualcosa da dire ogni volta, con una grossa spinta inventiva se la riesce a trovare sempre.

O almeno spero.
Perché io rientro in questa categoria, almeno per la percentuale nella quale sono tornato a giocare la serie con continuità da quell’inverno del nostro scontento che è stato il 2020.

Modern Warfare (2019) dava al giocatore tutto ciò che alla serie era mancato negli anni precedenti, lavorando per sottrazione. Sottrazione di tutte quelle brutture e quelle manie fantascientifiche che avevano trasformato il gioco in un flipper al massacro dove palline impazzite e vistose si sparavano addosso rimbalzando sui muri con armi improbabili e un comparto tecnico e artistico ben al di sotto degli standard raggiunti dall’altra parte da Battlefield e Titanfall 2.

E quindi Modern Warfare tirò una linea, segnando il passo di quelli che sono stati i capitoli degli anni successivi.

Nonostante ciò a Cold War ho giocato poco, pochissimo, considerando il monte ore che avevo accumulato in MW.

Definirlo un capitolo non all’altezza è riduttivo.
Tutto quello che avevo amato in MW non l’ho ritrovato in Cold War.
Le armi prive di gioia meccanica, anonime, leggere e senza personalità trovavano di fronte antagonisti anonimi, dalla caratterizzazione anonima quasi comica nel momento in cui le lobby pre partita erano piene di cloni che si prendevano tremendamente sul serio guardandosi in cagnesco, in una improbabile gara a chi fosse più testosteronico e reaganiano, anche gli avatar femminili.

Un time to kill alzato in maniera insensata che si traduceva, dal punto di vista del gunplay, nello sventagliare sparafagioli contro il tipo che dall’altra parte della mappa, con l’autoaim, ti brasava con fucile da cecchino ed eri a terra agonizzante aspettando che uno dei disgraziati della tua squadra passasse a rianimarti e non succedeva mai.

Una situazione deprimente.

L’arrivo di un nuovo CoD è quindi accolto da sensazioni ambivalenti.
Se quello vecchio non ti piace, abbassi la testa e aspetti che passi, se ti piace speri di poter incedere ancora in questo passatempo ozioso.
C’è da dire che questo è spesso permesso da un supporto post lancio che prosegue anche a distanza dell'anno di uscita e il nuovo capitolo non tronca mai del tutto i ponti con il precedente, con contenuti del battlepass che invogliano a giocare. Io stesso mi sono trattenuto su MW fino a che non so che problema mi ha impedito di accumulare punti esperienza durante le partite, e ho dovuto abbandonare anche quella “isola felice”, con scarso rammarico, data comunque la spropositata mole raggiunta dal mio backlog, nonostante l’abbia iniziata a spalmata su due console.

Per non parlare poi dell’onnipresente modalità Battle Royale che accompagna l’uscita di ogni nuovo capitolo con una nuova mappa e che accumula in un enorme databanse tutte le armi dei giochi precedenti permettendo una vasta personalizzazione dell’equipaggiamento.

Insomma, gli ultimi anni di Call of Duty sono stati quanto più ecumenici possibili, per piacere ai vecchi, strizzare l'occhio ai giovani e cercare di abbracciare quanto più pubblico possibile.

Nel grande piano triennale tracciato da Call of Duty, Vanguard rappresenta il ritorno alla Seconda Guerra Mondiale, l’ambientazione d’elezione originale del gioco che alla sua nascita si proponeva per un realismo allora inusitato per gli sparatutto in prima persona.

Vanguard propone le solite modalità di gioco che ormai rappresentano una trinità irrinunciabile per tutti gli affezionati di CoD.
Una Campagna, la modalità multigiocatore e la modalità Zombie, che a mio avviso, riscuote un successo immotivato e ritengo una perdita di tempo sia per sviluppatori che giocatori. Avete mai sentito qualcuno che gioca a CoD per la modalità Zombie? Io no, ma evidentemente esistono e si nascondono tra noi, perché altrimenti non si spiega.

Il gioco mette le cose in chiaro immediatamente: i due pacchetti dati che compongono la campagna sono da scaricare a parte e la prima cosa che puoi fare una volta avviato il gioco è cimentarti nella modalità multiplayer online provando un assortimento delle quattro grosse famiglie di “classi” non obbligate, disciplinate dalla tipologia di arma principale scelta.

Fortunatamente, arrivati al livello 4 si sblocca l’armaiolo e ci permette di mettere le mani sulle armi e smanettare con le modifiche apportabili alle bocche da fuoco.

Ma sicuramente, nel frattempo volete sapere di più anche della campagna, e quindi

La campagna

A Call of Duty Cold War riconoscevo che nella modalità single player riusciva a farsi giocare e, in alcuni momenti, anche a farsi voler bene.

Un po’ grazie all’ambientazione spionistica della Guerra Fredda che permetteva una discreta varietà di situazioni e, stranamente, di missioni che erano diverse dall’andare dritto da una parte all’altra di un grosso corridoio sparando a tutto quello che ci si poneva davanti, un po’ per tutti i trick mentali e le allucinazioni che da sempre caratterizzano la sottoserie Black Ops, io la campagna dell’anno scorso me la sono contestualmente goduta.

Quest’anno non mi aspettavo quel genere di interazioni ma, in un angoletto, un po’ ci speravo che ci avessero preso gusto a spiazzare il giocatore con una campagna non scontata.

La campagna di Vanguard è esattamente quello che vi aspettate giocando una campagna di CoD ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale.
Senza infamia e senza lode.

 

Prende i più classici dei cliché del cinema contemporaneo sulla Seconda Guerra mondiale e li spalma per le sue circa 5 ore di campagna.

C’è un po’ di Overlord nella scena con i paracadutisti, c’è molto del Nemico alle Porte genderswap nella sezione ambientata a Stalingrado con la tiratrice scelta Polina e l’immancabile momento Midway sul Pacifico.
Insomma, nessuna svolta imprevedibile, nessuna sperimentazione, un andare sul sicuro sotto tutti i punti di vista, con tanto di immancabile momento Sadico Cattivo Nazista dove tutti i membri del team sono inginocchiati e ammanettati e sta per scapparci il morto, ma solo dopo un drammatico pippone enfatico con accento Deutschland Über Alles.

Nonostante ciò, non ritengo la campagna inutile, nel grado che è comunque un’ottima palestra per familiarizzare con i controlli e con le interazioni sensoriali del DualSense di PS5.
Il peso delle armi ha un feedback immediato sul grilletto sinistro nel momento in cui avvicini l’arma all’occhio per mirare, e quindi armi più leggere saranno più facili da sollevare rispetto ai fucili da cecchino. Similmente il grilletto destro risponde della corsa diversa dei grilletti per azionare il meccanismo di sparo. Il pad reagisce anche ad una serie azioni contestuali come lo scivolare e sotto il profilo della vibrazione non risulta più di tanto esaltante o immersivo rispetto alla figata della reattività dei grilletti.

Comunque, tutta una serie di parametri e feeling con i quali dover familiarizzare, specie nel passaggio da Cold War o dalla generazione precedente di console.

Per quanto riguarda gli avversari, macinare nazisti nella campagna equivale davvero a giocare al tiro al piattello con i soliti sistemi di intelligenza artificiale che porteranno i nemici a fare capolino con la testa mentre li stiamo guardando giusto in tempo per farsi infilare una palla in mezzo agli occhi.
Le orde di nemici procedono in loop ordinati attivati da interruttori invisibile e quindi è inutile tenere una posizione o macinare montagne di corpi, dal momento che il gioco spinge perché tu avanzi, in qualsiasi modo.
Non ti trovi mai davvero in difficoltà se sposi questo approccio, al contrario una posizione troppo statica o difensiva si tramuta in una sfiancante guerra di trincea contro il loop con conseguente pioggia di granate, l’unico modo che hanno i nemici di stanarti dal tuo cantuccio sicuro.
Lo stacco tra come uno sparatutto in prima persona contemporaneo gestisce le IA degli avversari (stavo giocando a Wolfenstein The New Colossus prima di questo, tanto per restare in tema di nazisti) e un CoD nuovo è sempre imbarazzante.

Alzare il livello di difficoltà al massimo non è comunque una soluzione per chi vuole una sfida maggiore.

Altro elemento con cui la campagna ti permette di familiarizzare è la spaventosa mole di dettagli ed effetti che questa volta rimangono anche nella componente multigiocatore.

Pioggia, luci, fiamme, polvere, il comparto di effetti è davvero molto corposo e se la gode proprio nel mostrare mulini in fiamme e treni lanciati in mezzo alla pioggia battente per sfruttare l’hardware PS5.

Una volta che avete preso le misure del gioco (a me è capitato dopo Stalingrado) probabilmente vi sentirete abbastanza sicuri per approcciare quello che è il cuore dell’esperienza CoD: il multiplayer online.
Ebbene, la verità è che non siete preparati.

Il multiplayer

Pensavo di essere temprato ad un certo approccio dopo tutte quelle ore su MW, pensavo anche che tanto peggio delle situazioni incasinate in cui mi sono ritrovato in Wolfenstein non poteva essere, e invece sono rimasto inchiodato, letteralmente.

Il multiplayer di Vanguard è un’esperienza brutale.

Il Time to Kill è tornato ai livelli di Modern Warfare ma al servizio di un gioco molto più veloce che incede implacabile e ti sovrastimola.

Il conto delle uccisioni è mostruosamente elevato e ci sono partite che finiscono tranquillamente con top player che arrivano ad accumulare anche tra le 40 e 50 uccisioni, praticamente delle mietitrebbiatrici.

Ma brutale a più livelli.
I corpi dei nostri avatar vengono letteralmente ridotti a brandelli, sembra di essere sul set di Hacksaw Ridge, e mentre andiamo giù il nostro personaggio ha lunghi gemiti di agonia, protratto nel tempo fino al respawn, quasi a farti pesare la morte, dato che non c’è praticamente cooldown e il rientro è istantaneo.
Non so onestamente quanto questo senso di disagio sia voluto, o sono io che invecchiando sto diventando sensibile, o che bene o male anche un prodotto a vocazione così commerciale abbia assorbito la lezione di sound design di The Last of us part 2, sta di fatto che morire è davvero angosciante.

Consci dello shock culturale che un ritmo così elevato avrebbe causato nei giocatori di CoD con i riflessi meno freschi, i ragazzi di Sladgehammer (mai nome di studio fu così adatto) hanno inserito un’altra discriminante all’interno delle partite: la possibilità di scegliere il ritmo di gioco andando a modificare il parametro di numero di giocatori in partita.
Così si oscilla tra ritmo “Tattico” per pochi intimi (per quanto tattico possa essere CoD), “Assalto” e “Blitz” con nemici e alleati che schizzano ovunque all’impazzata per la mappa, il cielo e la terra sconquassati dalle serie di uccisioni (che fortunatamente non sono cumulabili altrimenti sarebbero cazzi).

A rimpolpare il minimo sindacale le modalità di gioco arriva Pattuglia, la versione mobile della modalità Postazione con il punto da occupare che viaggia per la mappa permettendo al team in attacco di giocare sulla traiettoria che il team in difesa deve percorrere per strappare il controllo.

Sotto il profilo delle modalità davvero nessuna novità corposa quindi, se non fosse che per mio sommo gaudio, adesso le partite di controllo non sono spezzate in due tempi (maledetti Treyarch) in partite più fluide e coerenti con lo spirito del gioco.

Ma perdiamo qualche riga a parlare delle mappe.

La cosa che più mi aveva stizzito di Cold War era la natura scatolare degli ambienti di gioco. Prendi un quadrato e chiamalo mappa, mettici delle scatole da scarpe rovesciate e chiamali edifici. Questo era il livello di level design toccato dalla scorsa iterazione di Call of Duty. L’ho odiato per la sua assoluta insensatezza spaziale nel porre il giocatore in ambienti anonimi che non avevano nulla di sensato a livello architettonico. Così una porta era piazzata in un posto piuttosto che in un altro non per qualche motivo progettuale sensato, ma perché così uno dietro poteva prendere e nascondersi a camperare per aspettare il malaugurato che si trovava a varcare la soglia. Tutti grandi campioni, insomma.
Quello che può sembrare un vezzo di uno che con lo spazio costruito e abitato ci lavora in realtà si riflette sul ritmo e sullo stile di gioco.
Se quell’ambiente è anonimo, la possibilità di cose che può succedere è risibile cosicchè io mi approccerò a quello spazio sempre allo stesso modo: lancio una stordente, entro in scivolata, sparo negli angoli alla cieca perché so già che qualcuno si nasconderà in quei posti.
Ecco, le mappe di Vaguard sono architettonicamente sensate, hanno una bella articolazione e sono molto caratterizzante per illudere il giocatore che quella che si sta attraversando non è una scatola, ma una casa con i suoi ambienti che, per quanto stravolti dal conflitto, sono riconoscibili come tali, forse dimensionalmente un po’ spinti, ma comunque funzionalmente riconoscibili e articolati su più livelli, proprio come accadeva in Modern Warfare.

Il numero delle mappe è molto elevato, per essere sono l’inizio del gioco, e ad ogni sessione di gioco che ho dedicato non mi è mai capitato di giocare due volte la stessa mappa nella stessa modalità, con lo stesso ritmo, tanto che il ritmo influisce sulla variabilità di gioco sulla stessa mappa.

Inoltre, appaiono rimasterizzate alcune della mappe che abbiamo visto in Call of Duty World at War (forse il titolo della serie che ho giocato di più online sulla X360) che si scontrano un po’ con la ratio nel gioco contemporaneo ma che comunque si prestano a momenti amarcord quando ti capitano davanti.
Tutto bello sulle mappe? Non proprio.
I punti di respawn in alcuni momenti ti mettono in difficoltà, specie quando sono affollati, specie quando proprio come accadeva tanto tempo fa, all’uscita della grotta c’è il tipo che ha sgamato il punto e ti aspetta con la solita mitragliatrice leggere a fare carne da macello della tua squadra. Non mi è capitato spesso, ma è capitato, e avrei preferito non dovermi arrischiare in azioni suicide per permettere agli altri membri del team di aggirare questo tipo di ostacoli virtuali.

Un paio di mappe per adesso si contendono il premio Shipment del “ci entro solo con un fucile a canna liscia sparando qualsiasi cosa mi si pari davanti e vaffanculo le regole della partita”: Das Hous, un rettangolo infame tutto al chiuso e stanze strette dove solitamente ci si finisce a contendersi il dominio della Postazione e Dome (remake da World at War) con un’articolazione ostile e punti di respawn troppo esposti.

Fatto sta che a ciascuna mappa, modalità, ritmo e giocatore, Vanguard propone un arsenale più che soddisfacente.

Non è solo il numero o la ritrovata varietà che mi fanno luccicare gli occhi (di nuovo, maledetti Treyarc che avevano relegato i fucili a canna liscia ad armi da fianco, ma io proprio non lo so che cazz vi è passato per la testa) ma anche una questione di equilibrio che non ha ancora fatto assestare il meta attorno a quelle due/tre armi che rompono il gioco perché troppo più forti delle altre.

È vero che i thompson hanno una certa popolarità ma non si è ancora scaduti nel monopolio incontrastato, né tantomeno nello strapotere tattico dei cecchini, probabilmente perché compensano potenza e portata con una maneggevolezza risicata.

E di nuovo, un assortimento di modifiche di nuovo “sensate” che non cozzano con il design del modello “liscio” dell’arma, aggiungendo l’interessante variabile tipo di proiettili e caricatori che, accoppiate ad un paio di modifiche sono in grado di cambiare completamente l’arma senza stravolgerne però la meccanica che resta riconoscibile e propria.

Se vi trovate sulla neve, accerchiati, il freddo gelido vi arriva sotto i guanti e notate che tutti i vostri nemici sono più veloci ad estrarre di voi e vi abbattono con troppi meno colpi, forse è il caso di cambiare caricatore, di scegliere un sottocanna che vi alleggerisca il peso e un calcio più confortevole.
Se in caso contrario pretendete più portata dai vostri ferri del mestiere, cambiare la canna, cambiare l’ottica e proiettili perforanti.
L’armeria di Vanguard è di nuovo (finalmente) la bottega del sarto nella quale cucire le armi a disposizione sulle nostre necessità e vocazioni.

Vanguard fa un’altra cosa simpatica, i vari avatar sono personaggi dotati anch’essi di una progressione a livelli sbloccabili che aggiunge gradi di personalizzazione man mano che si accumula esperienza, legando quindi parte degli sblocchi estetici a questa specifica progressione.

Da MW gioco prevalentemente con avatar femminili, non so se lo faccio per scaramanzia, o perché davvero credo al fatto che avendo una corporatura più esile offrano un bersaglio ridotto al fuoco nemico, sta di fatto che è diventata una specie di tradizione, anche perché casualmente i personaggi femminili mi paiono caratterizzati un pelo meglio rispetto alla solita riproposizione di maschi etero basic intorzati di testosterone da diete proteiche che mangiano tuoni e cacano tempeste.

Polina, ad esempio, si presenta chiaramente come Jude Law ne Il Nemico alle Porte e questo me l’ha resa immediatamente simpatica rispetto ai suoi commilitoni G.I.Joe.

Nonostante ciò, siamo comunque anni luce distanti dalla mediocrità degli avatar toccata in Cold War, pupazzi veramente anonimi ai quali era impossibile affezionarsi perché non comunicavano niente.

Da questa prima settimana di gioco mi sento piacevolmente soddisfatto, a volte addirittura colto da quella famosa meccanica gioia futurista che un bello sparatutto bellico sa regalare, nonostante l’esperienza non sia pulitissima e siano presenti delle asperità che denotano come il prodotto sia sostanzialmente un ibrido tra l’approccio duro di Modern Warfare e quello piacione (che casualmente fa rima con “cafone”) di Cold War.
È un po’ presto per dire se continuerò a giocarci fino al novembre prossimo, mi sento però di dire senza ombra di dubbio che per i giocatori di CoD degli ultimi anni si aprono due strade davanti.
Se riconoscete Modern Warfare del 2019 come il necessario punto di svolta di cui la serie aveva bisogno, allora molto probabilmente in Vanguard trovere pane per i vostri denti, se riuscite a dominare il grado di sfida proposto.

Se invece preferite l’approccio più cazzone e superficiale proposto da Cold War, vi conviene passare un altro anno su quello, perché l’esperienza si presenta come incredibilmente distante dal gioco dello scorso anno.

Spero di vedervi tutti nella lobby al mio fianco e che dio abbia pietà di voi se siete dall’altra parte dello schieramento.

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