Buzzelli e gli altri. La fantascienza, il fumetto, i Sessanta
Coconino ristampa con HP le storie di fantascienza di Buzzelli. Un'occasione per riscoprire l'autore, il fumetto e la SF italiana dei '60.
Il volume“HP”, recentemente pubblicato da Coconino, raccoglie una nuova parte della produzione di Guido Buzzelli, autore fondamentale e misconosciuto del canone fumettistico italiano di cui avevamo già avuto modo di parlare.
In questo caso, si tratta della fantascienza, un genere che Buzzelli frequentò con particolare interesse e profitto. Buzzelli nel 1966 inventò, come ricorda Marco Taddei nella prefazione al volume, il fumetto indipendente, realizzando per la prima volta (almeno sulla scena fumettistica italiana) un fumetto non realizzato su commissione, “La rivolta dei racchi”, che infatti trovò una particolare difficoltà nel mercato editoriale dell’epoca, finendo per venire pubblicata sul catalogo del Salone di Lucca Comics, allora ai suoi albori.
Siamo in una fase cruciale del fumetto italiano, che in quella metà degli anni ’60 vede la legittimazione del medium a livelli prima impensati, non solo qui da noi. Sullo sfondo del trionfo dei fumetti neri, dalle tematiche mature e cupe (Diabolik nel ’62: seguì una legione di personaggi di vari livelli), abbiamo l’apparizione di un saggio come “Apocalittici e integrati” (1965), dove per la prima volta uno studioso accademico del calibro di Umberto Eco esamina i fumetti come oggetto degno di studio.
Abbiamo la nascita di “Linus” (1965), rivista del fumetto colto e impegnato, analizzato con categorie attente e raffinate sulla scia dello stesso Eco e dell’esperimento – isolato – del “Politecnico” (1947) di Vittorini. Abbiamo poi la nascita – proprio su Linus – della Valentina (1965) di Guido Crepax, apparsa tra l'altro all'interno del supereroico-fantascientifico "Neutron", mentre di lì a poco sarebbe nato il “Corto Maltese” (1967) di Hugo Pratt, forse la più alta espressione del fumetto d’autore di quegli anni, e di certo la più universalmente nota. La decade si sarebbe poi chiusa con il “Poema a fumetti” di Dino Buzzati, con cui anche un letterato di primo piano si avvicinava alla produzione a fumetti.
La legittimazione del fumetto, dopo quella stagione gloriosa, conobbe pagine alterne, e se da un lato oggi il grande successo del fumetto nel mercato librario (in un trend di continua crescita a partire dagli anni 2000, segnato dall’applicazione italiana dell’etichetta di Graphic Novel da parte di Igort) si è accompagnata a una generale nuova ondata di apprezzamento e valutazione positiva del medium e delle sue potenzialità, restano talvolta resistenze ambigue e residuali.
Per tale ragione è bene tornare a quella stagione gloriosa, che offre molteplici gemme al lettore curioso, e indubbiamente, tra tutti gli autori da continuare a scoprire, Buzzelli è quello più fondante e al contempo meno noto al grande pubblico.
Il tema di questo volume offre quindi spazio a una interessante considerazione: se gli anni ’60 sono stati sicuramente quelli in cui la cultura “alta” ha guardato con interesse e curiosità al fumetto, sono anche gli anni in cui una analoga attenzione viene volta alla fantascienza.
Lo stesso “Apocalittici e integrati” di Eco, oltre al fumetto, indaga – tra il resto – la fantascienza, e l’autore, nella sua rubrica “Diario minimo” (1959-1961), poi raccolta in volume, affronta talvolta degli ironici raccontini di fantascienza in forma di elzeviro. Ma sono anche gli anni in cui Buzzati scrive, in mezzo ai racconti prevalentemente fantastici, numerosi di tagli fantascientifico: “Il disco si posò”, e il primo romanzo maturo del genere in Italia, “il grande ritratto”, del 1960 (curioso anche foneticamente il distico Buzzati e Buzzelli). Il genere fu poi ripreso, a metà decade, da Italo Calvino, con “Ti con zero” (1965) e “Le cosmicomiche”, e da Primo Levi con le sue “Storie naturali” (1966).
Buzzelli si era interessato al fumetto di fantascienza già in opere giovanili come “I pionieri della Via Lattea” (1952), Alex l'eroe dello spazio (1952); aveva inoltre illustra le copertine di Flash Gordon nello stesso periodo. Inoltre, il giovane Buzzelli disegna la serie "I Marziani" e "Nolan, il pioniere dello spazio" (1953) per i testi di Gabriele Gioggi, editore della rivista “Mondi astrali” nel 1955, erede di “Mondi nuovi” e sempre diretta da Beltrametti con illustrazioni e copertina di Buzzelli.
Sono gli anni in cui la fantascienza, ancora solo americana, è arrivata in Italia con la collana “Urania” (1952) di Mondadori, coniando anche il termine che presenta, curiosamente, un sottile slittamento semantico rispetto alla science fiction anglosassone, che pone più l’accento sulla componente scientifica che sulla fantasia. Buzzelli, che si era formato – come molti della sua generazione – su Flash Gordon, il fumetto di Alex Raymond del 1934 che aveva avuto un effetto dirompente nel fumetto italico e nei suoi giovani lettori, sedotti per la prima volta ad una immaginifica space opera. Ne ho parlato indagando la "Buzzelliade", altro tassello del lavoro dell'autore (edito anche questo da Coconino).
Il segno di Buzzelli, che ovviamente dalla maturità ormai compiuta dai ’60 in poi ha una sua fortissima cifra autonoma, ha comunque un evidente debito con l’immaginario raymondiano: anche se è un debito che Buzzelli sviluppa nella chiave di una decostruzione dei contenuti (non tanto del segno), in modo sintetico nelle brevi tavole della Buzzelliade, e in modo più proprio in questa fantascienza di HP.
La produzione raccolta in questo volume è quella degli anni ’70, quando Buzzelli, dopo essersi affermato con le opere più autoriali degli anni ’60, in primis La Trilogia e Annalisa e il diavolo (parimenti raccolte da Coconino), affronta la science fiction su testi di altri, a partire dalla HP che dà il titolo alla raccolta, su testi di Alexis Kostandi (Francesco Cerrito), apparsa nel 1974 sul francese “Charlie” (e poi in Italia nel ’77, in volume nel ’79). Negli eterni sentieri dei giornali che si biforcano, Charlie deriva - come si nota dalla grafica e dalla ripresa dei Peanuts - dal Linus italico, e diverrà in successive trasformazioni la rivista satirica Charlie Hebdo, oggetto dei tremendi attentati del 2015.
In questo HP di Buzzelli appare una contaminazione tra western e fantascienza, secondo un gusto del pastiche tra generi proprio dell’autore, una tendenza che in seguito sarebbe stata una declinazione possibile dello steampunk, ma che all’epoca è a suo modo piuttosto innovativa. Per certi versi, un mondo post-apocalittico chiaramente già visto in molta fantascienza anni ’60, contraddistinta dal monito del regresso possibile in virtù dei rischi della tecnoscienza (in fondo, l’elemento fondante è l’affermazione di Albert Einstein all’indomani dell’uso dell’atomica, per cui la quarta guerra mondiale, dopo la terza di stampo nucleare, si sarebbe combattuta con lance e con pietre).
Ma il modo di idearlo e rappresentarlo ha componenti di originalità, in un western che, più che il western fumettistico di Tex e soci, guarda direttamente a quello ancor più sporco e cattivo degli Spaghetti Western dei ’60. Inquietantemente attuale, poi, come la parte di civiltà “avanzata” vive costantemente indossando mascherine chirurgiche.
“Morganna” (1974-1975) è molto interessante per come il tema sci-fi sia coniugato collegandolo invece all’alchimia, senza soluzione di continuità nell’albero genealogico di vecchi occultisti ed esoteristi e gli scienziati della modernità come novelli alchimisti.
Anche qui, un filone particolare, che ha il suo capostipite ne “Il mattino dei maghi” (1960) di Pawels e Bergier, ove il segreto dell’alchimia atlantidea perduta sarebbe in sintesi, da sempre, la conoscenza atomica tutelata in una discendenza sapienziale segreta. Nel fumetto, qualche debito avrà con questa tesi un grande classico quale Martin Mystere di Castelli nel 1982, mediando inevitabilmente tali idee al Pendolo di Foucault (1988) di Umberto Eco e al suo grande segreto delle “correnti telluriche” (non si sa se vero o cialtronesco, scientifico o magico).
Certo Eco conosceva il testo direttamente: ma è inevitabile una sua conoscenza anche di Mystere, fenomeno di costume di grande rilievanza a inizio anni ’80, in cui il tema dei segreti scientifici atlantidei è centrale.
Daniela Vianello e Buzzelli declinano la tematica invece in modo più ironico e svagato, concentrandosi sulle divertenti disavventure della giovane iniziata dagli occhi di gatto, in una storia godibile e seducente.
Zasafir, su cui Buzzelli lavora prima nel 1981, poi nel 1984-5, inizialmente in bianco e nero poi colorato, mentre il secondo capitolo viene realizzato direttamente nel sontuoso stile pittorico di Buzzelli, e resta però incompleto. L’opera, storia della ricerca da parte del protagonista Leo del pianeta della perfezione Zasafir, cui si contrappone il principio negativo Atesm, richiama per dichiarata intenzione dell’autore il mondo ingenuo e affascinante di Flash Gordon. Il segno di Buzzelli riproduce bene, con ineffabile ironia, quelle ambientazioni, quelle atmosfere, sia pure in modo ormai sardonicamente postmoderno.
Del resto, l’immaginario della Space Opera aveva trionfato al cinema, dove il Dune di Jodorowski (poi completato da David Lynch) aveva stimolato, nella sua incessante lavorazione, lo Star Wars di Lucas (almeno stando all’esoterista, regista e scrittore francese). Jodorowski, con Moebius, era poi tornato sui temi a lui cari in ambito fumettistico nel suo capolavoro, il vasto e complesso ciclo dell’Incal.
Non c’è un debito diretto di Buzzelli con quest’opera, che presumibilmente conosceva, data la sua fortuna e importanza già in quegli anni. Ma, a suo modo, è quasi un “suo” Incal, molto meno esoterico e più puramente divertito, negli anni in cui, sulla scia di Guerre Stellari, anche il cinema offriva a Flash Gordon un omaggio filmico (1980) di affascinante kitsch più o meno inconsapevole (mentre perfettamente conscio di sé è quello di Buzzelli, nell’imitare con affettuosa parodia il bric-a-brac fantascientifico anni ’30).
Chiudono il volume "Resurrezione", su testi di Grazia De Stefani, e "Una stella per Ganimede", con testi di Giorgio dell’Arti. Due brevi in cui Buzzelli ha il modo di sfogare ulteriormente il suo virtuosismo, che chiudono il quadro di un approccio ironico, consapevole e virtuosistico al fantastico, proprio dell'autore (e delle sue collaborazioni, per elezione).
Insomma, Sixties, Science-Fiction and Sequential Art formano uno snodo interessante da esplorare (e citandolo in inglese, anche allitterante). Questo volume può essere un buon punto di partenza per ulteriori esplorazioni: nello spazio bianco nessuno può sentirci urlare.
Dati bibliografici
Autore: Guido Buzzelli
Titolo: HP
Collana: Coconino Cult
Numero pagine: 296, a colori e in b/n, formato 21,5 x 29 cm, cartonato con sovraccoperta
ISBN: 9788876181566
39,00€