L'amore (o quel che resta) ai tempi di Netflix
Love, Lovesick e The end of the f***ing world ci raccontano che l'amore non è più quello di una volta, le principesse non vivono più nei castelli e gli schemi delle relazioni sono saltati
“L’amor che move il sole e l’altre stelle” scriveva Dante Alighieri a conclusione del suo capolavoro. Al fianco della sua controparte letteraria, in quel momento, c’era Beatrice, angelica donna amata senza mai essere ricambiato, fatto che non ha impedito al sommo poeta di posizionarla fra le eteree luci del Paradiso.
Ogni battuta sulla friendzone è vietata, non fosse altro che per evitare di cadere nel peccato di lesa maestà.
In ogni caso, va detto che l’amore è da sempre stato uno dei sentimenti più indagati nella storia dell’arte umana. Dante, Catullo, Romeo e Giulietta, Via col vento, Harry ti presento Sally (e va bé, la lesa maestà non è poi cosi grave), esempi di come una narrazione basata sul romanticismo e sulla passione abbia sempre avuto una fortissima presa. Come per ogni produzione artistica di genere, però, arrivati ad un certo punto, si è costretti a chiedersi: e adesso?
Cosa possiamo inventarci di nuovo, una storia che possa far battere i cuori di milioni di persone e che non ricalchi qualcosa già fatto in passato?
Perché il problema, se ci si pensa, è lo stesso per ogni forma di bene vendibile, ovvero la saturazione del mercato. E, per quanto queste tre parole bastino ed avanzino per far scemare ogni singulto romantico, è necessario confrontarcisi.
Negli anni, fermandoci solamente alla produzione filmica e di prodotti seriali, abbiamo visto ogni genere di intreccio amoroso. Principesse e cavalieri (con spade metalliche o laser, poco importa), amori eterosessuali e omosessuali, uomini con ragazzine, donne con animali più o meno antropomorfi che si sono anche portati a casa un Oscar, donne con fantasmi, ragazzine con fantasmi (non dimenticare donne con vampiri Nd Lorenzo), amori difficili da ricordare e con orribili titoli in italiano, migliori amici e peggiori nemici che si sposano, e qui mi fermo, perché le liste troppo lunghe non piacciono a nessuno.
E come poteva esimersi una delle realtà più potenti nel campo dell’intrattenimento dal vendere al proprio pubblico dei personaggi che, prima o poi, sarebbero finiti col dirsi “Sì, lo voglio!”? Su Netflix, però, ci sono in particolare tre produzioni che, pur continuando a solcare le rotte tracciate da ben più esimi predecessori, presentano elementi che si discostano da quelli classici della narrazione di genere.
Partiamo da Lovesick, serie britannica che ad oggi conta tre stagioni, forse la più classica fra quelle che prenderemo in esame. Qui non è tanto l’intreccio sentimentale ad essere originale, dato che frasi strappalacrime e occhioni languidi non mancano, ma la causa scatenante di tutto ciò che viene narrato. Gli eventi che porteranno Dylan, faccia da bravo ragazzo ed eterno insicuro, a rivelare i suoi sentimenti ad Evie, migliore amica in procinto di sposarsi (che era la più classica delle tre lo avevo detto, no?) sono da ricondurre al fatto che il ragazzo ha scoperto di avere la clamidia. Non proprio un’esplosione di romanticismo, insomma.
Da qui, lo spettatore viene messo al corrente di tutte le relazioni precedenti del nostro, affannato nella difficile missione di parlare alle sue ex partner della malattia, di modo che possano fare i dovuti controlli. Con questo espediente, non solo la relazione fra Dylan ed Evie viene inizialmente posta in secondo piano, anche se in maniera fittizia, ma chi guarda viene messo al corrente dell’intero bagaglio sentimentale del protagonista, acquisendo un punto di vista davvero insolito per una produzione del genere. In un continuo alternarsi fra presente e passato, vengono svelati sì, i trascorsi fra i due futuri innamorati, ma anche i rapporti intercorsi, di volta in volta, fra loro e le amanti di lui.
Piccolo fun fuct gratuito: Antonia Thomas, che veste i panni di Evie, è stata una delle attrici di Misfits, condividendo quel set con uno dei co-protagonisti di Lovesick, prima che lui venisse ucciso dopo neanche una decina di battute, ovvero quel Joshua McGuire, inteprete del favoloso Angus.
Al secondo gradino di questa ascesa verso l’amore romantico-ma-non-troppo, troviamo Love, serie dal titolo molto simile al primo di cui abbiamo parlato, ma monco della malattia (e se pensiamo che il nome iniziale di Lovesick era Scrotall Recall, forse è meglio così). Anche qui, gli elementi tipici del genere non mancano, ma si costruiscono tassello dopo tassello, arrivando ad una costruzione completa solamente nella terza, e ultima, stagione.
La storia che si va a delineare fra Mickey e Gus è costruita su delle fondamenta di profondo disagio esistenziale e morale, e questo è solamente uno degli elementi che, per quanto travagliata, la rendono decisamente reale. Lui è il più lontano possibile dall’archetipo della bellezza che siamo abituati a vedere sullo schermo in questo genere di storie (se non vi va di cercarlo su Google, basta che vi immaginiate un Woody Allen in giovane età e con i capelli scuri), lei affronta la vita come un Bojack Horseman qualsiasi, comprendendo nel pacchetto un ampio ventaglio di atteggiamenti autodistruttivi che tendono ad allontanare le persone care.
Due persone agli antipodi a cui neanche il più ottimista degli spettatori avrebbe dato, inizialmente, una minima chance di coronare un qualsivoglia sogno d’amore. Restando in tema Bojack, anche qui una Hollywood ben poco scintillante fa da sfondo alle vicende narrate, una città delle stelle che fagocita senza aver paura di risputare chi capita fra le sue fauci. Qui i sogni sono destinati ad infrangersi il più fragorosamente possibile, e solo l’appoggio che troveranno l’uno nell’altra permetterà a Gus e Mickey di mettere a posto in qualche modo le loro esistenze.
In Love, troviamo un raro esempio di serie conclusa dopo poche stagioni nonostante il successo riscosso, decisione che ha regalato a tutti noi un finale degno delle vicende a cui ci siamo lentamente appassionati. Al netto di paventate reunion che possono piacere solo ai nostalgici oltranzisti.
Ancora un ulteriore passo e ci troviamo di fronte alla schizofrenica storia d’amore fra James e Alyssa, protagonisti di The end of the f***ing world (asterischi a discrezione di chi legge). Dico subito una cosa: una delle più toccanti fughe d’amore che abbia mai visto è quella dipinta da Wes Anderson in Moonrise Kingdom. Un film in cui l’innocenza e la poesia di cui solo i bambini sono capaci devono confrontarsi con la durezza e l’incomprensione del mondo dei grandi. Ecco, ora immaginiamo quella stessa storia ma con una massiccia dose in più di psicopatia, e avremo questa produzione inglese che rovescia completamente ogni aspettativa che tutti abbiamo quando sentiamo parlare di passioni.
La vita dei due fuggiaschi è costellata degli elementi tipici dell’adolescenza, portati all’estremo. Alyssa si sente soffocare da una vita che non le regala una singola gioia e tutto ciò che vuole, e che le è impedito, è ricongiungersi col padre, immaginato come un principe salvatore (ma l’aura di cui si ammanta questa serie fa capire da subito che né un principe, né un salvatore troverà ad attenderla). James, semplicemente, dopo aver passato tutta l’infanzia a uccidere e torturare piccoli animali indifesi, ora vorrebbe provare l’ebbrezza di passare a prede che abbiano due gambe, due braccia e che sappiano proferire parola e Alyssa sembra essere la vittima designata.
Il tempo delle favole è finito, le principesse chiuse nei castelli non esistono più e quello che accade nel mondo al di fuori degli schermi, come da sempre accade, si riflette nello spettacolo.
Incarnazione perfetta di tutto ciò che non c’è di romantico a questo mondo, The end of the f***ing world tratteggia un rapporto malato e simbiotico fra due personaggi che cercano di ritagliarsi un proprio posto. In un continuo rovesciarsi di prospettive, i due impareranno a difendersi dall’esterno, scoprendosi complici in un mondo adulto di cui non vogliono, e non possono, fidarsi.
Molto di più ci sarebbe da dire su queste tre produzioni, ma ciò che è evidente è che ci si sta orientando verso un amore intriso di cinismo e di realtà, mi si passi il termine. Il tempo delle favole è finito, le principesse chiuse nei castelli non esistono più e quello che accade nel mondo al di fuori degli schermi, come da sempre accade, si riflette nello spettacolo. Con questo non voglio assolutamente dire che Love, Lovesick e The end of the f***ing world siano prodotti perfetti o originali al 100%, ma sicuramente fanno parte di una nuova ondata di serie tv che puntano ad una mitigazione di quello che è l’amore ideale, fiabesco e, per questo, irreale. Il punto di forza di questi prodotti, sta proprio nel saper rendere realistico un sentimento che di facile non ha proprio nulla, portando lo spettatore ad un livello superiore di immedesimazione. Sperando che nessuno inizi a chiedere appuntamenti solo per provare l’ebrezza di usare un coltello nuovo.